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Antonello Saiz racconta “Memorie di un dittatore” di Paolo Zardi

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«Ero pronto a sfondare la porta del potere con la forza: abbassai la maniglia, ed era aperta… Non è un caso che gli uomini di Stato che si sono dimostrati i più abili siano sempre stati considerati delle mezze tacche, prima che salissero al potere. Tuttavia pochi sembrano porsi quella domanda che a me è sempre sembrata necessaria: perché Hitler, del quale ora si dice fosse un imbianchino, un fallito, uno psicopatico, un ignorante, sbaragliò tanto facilmente la concorrenza? Oppure: perché in Italia comandava Mussolini e non uno dei tanti intellettuali che sarebbero poi andati a riempire le prigioni ai confini dello Stato?»

Paolo Zardi, Memorie di un dittatore, Giulio Perrone Editore 2021

Domenica 9 maggio insieme a Caterina Bonetti, fondatrice di Scintille Bookclub, abbiamo presentato Memorie di un dittatore, di Paolo Zardi. Lo ha pubblicato Giulio Perrone Editore a fine febbraio, mentre Paolo Di Paolo lo ha proposto allo Strega 2021.

Un vero peccato mortale che questo piccolo gioiello di scrittura non sia entrato nella dozzina dei finalisti.

Un romanzo scritto con uno stile inconfondibile, capace di intercettare temi essenziali della nostra società e che, solo per il grande controllo stilistico nella scrittura, meritava di finire direttamente in cinquina.

Paolo Zardi è uno scrittore prolifico e di lungo corso, che di professione fa l’ingegnere informatico. Si è imposto come una voce singolare, riconoscibilissima e convincente, già dai tempi di XXI Secolo, uscito per Neo Edizioni.

Un libro divertente e quanto mai attuale il suo ultimo romanzo, che si mostra come una spiazzante meditazione sul potere.

Il protagonista è un uomo che per dieci anni ha governato un paese ridicolo, la nostra Italia del futuro, in un regime dittatoriale, dopo una ascesa politica irresistibile e dopo aver minuziosamente pianificato tutto in ogni particolare.

Come si costruisce il consenso? Cos’è il potere? Fin dove ci si può spingere per esercitarlo? Questi i tre temi intorno a cui si sviluppa tutto Memorie di un dittatore. Assolutamente non un manuale politico e neanche una interpretazione della politica attuale, ma la confessione fiume di un uomo feroce e determinato, senza particolari talenti e qualità.

Il nostro dittatore è convinto che la democrazia non sia obbligatoria e, pur venendo dal nulla e dedicando tutta la sua vita al potere, per una serie di cause fortuite riesce a piegare alle sue volontà un intero paese, trascinando una intera nazione in stato di schiavitù oltre che in imprese folli.

Senza rimorsi e scrupoli questo autentico cialtrone ignorante ci racconta, sornione e sibillino, non solo le sue memorie ma, a suo modo, pure la storia di tutte le dittature. Lo troviamo nelle prime pagine del libro a raccontare la propria storia di ex dittatore in esilio su di un’isola tropicale in mezzo all’oceano.

Non sappiamo, e non sa neanche lui, in quale dei due tropici sia piazzata questa isola, ma dalle sue parole impariamo che è stato deposto dopo che ha scatenato una guerra assurda e sanguinosa contro il Congo, peraltro confondendo il Congo Brazzaville con il Congo Kinshasa.

Vive all’interno di una villa bianca, decadente, appartenuta a baroni tedeschi, che diventa il suo regno e la sua prigione in giornate noiose e tutte uguali in cui vaga per lunghi corridoi, saloni austeri e una enorme biblioteca.

È proprio qui che fra i tanti volumi, trova un libro di racconti di Michele Mari datato 1997: Tu, sanguinosa infanzia.

Quel libro innesca in lui il desiderio di tornare sulle tracce della sua vita, di andare indietro con la memoria ai tempi dell’asilo con le suore, dell’educazione borghese, degli scontri politici al liceo, dell’ascesa al potere e del declino.

Un autentico cialtrone, dicevamo, che dopo poche pagine trasforma Michele Mari in Mario Micheli o prende a calci il volume Canale Mussolini, di Antonio Pennacchi, o peggio ancora, è convinto che il dittatore per antonomasia, Hitler, sia morto di vecchiaia in Argentina.

È così attaccato al potere che arriva a vessare anche Fernando, il maggiordomo assegnatogli, servitore giovanissimo e selvatico, rozzo nei modi e pessimo cuoco.

Sgradevole, il nostro dittatore, lo è anche nei riguardi di Miranda, la giovane donna di Fernando, dal destino tragico.

Unico ideale di un simile personaggio è il potere. Come Napoleone a Sant’Elena, deposto e confinato, continua a bramarlo. Quando il medico, che sorveglia la sua salute e va a fargli visita costantemente, gli prospetta la possibilità di un suo ritorno in patria, è disposto a rimettersi in gioco e cambiare casacca.

La smania di potere sembra essere impossibile da abbandonare per questo dittatore, che considera come processi naturali la soppressione degli avversari e la manipolazione delle masse.

Nonostante il suo essere costantemente sgradevole, crea empatia con il lettore. La cosa fa specie perché incarna al meglio il peggio dei suoi sudditi, e risulta essere il meno presentabile di tutti oltre che il più inverosimile. Eppure è capace di cavalcare le insoddisfazioni del popolo, le paure e i deliri, assecondando al meglio la pancia del paese.

«Sapevo odiare meglio, con più naturalezza» arriva a dire. Riesce persino a fare le scarpe a Bresquar, il suo predecessore. Quest’ultimo, in punto di morte, gli dice: «Sei un mostro».

Zardi ci restituisce, tra continui rimandi a dittatori del passato, lo splendido ritratto di un uomo solo e inquieto, con tanta infelicità addosso che trabocca da tutte queste pagine di bella scrittura.

Pagine anche molto divertenti ma che, se lette e interpretate con attenzione, sono un chiaro richiamo etico alle nostre coscienze e alla nostra memoria.

Antonello Saiz

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