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Domenica è sempre domenica? 3

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Il 18 aprile 2000 comparve su Il Giornale l’annuncio di un incontro al Palazzo delle Esposizioni di Roma sul tema: Può un libro avere la lebbra? Lettura, censura e tabù, con la partecipazione di Castelvecchi, Guerri, Mughini e Sgarbi. Accanto all’annuncio, la recensione di Guerri stesso a Mamma, “libro che parla di un incesto fra madre e figlio, fin dalla tenera età del bimbo. Mi rendo conto che a questo punto molti lettori, oltre a farsi passare la voglia di leggere il romanzo, possono anche smettere di leggere la recensione. […] Sull’Espresso è stato scritto che il romanzo avrebbe ‘fatto rimpiangere di avere imparato a leggere qualsiasi lettore sano di mente’, però il fastidio che restituisce la scrittura di Parente non è l’incesto, piuttosto è un fastidio ipnotico: chi prenda in mano questo libro, pur lamentandosene, lo leggerà fino in fondo (anche perché è brevissimo) […]. Si viene trascinati nel loro mondo, dalla coprofilia al sadismo più estremo, dal feticismo dei piedi alle poetiche sulla femminilità e sullo smalto per le unghie, dagli animali seviziati al mistero di un uovo di marmo rosso corallo che rivelerà il loro [?] reale e inquietante significato. Scandaloso o no che sia, Massimiliano Parente è uno scrittore fra i più interessanti apparsi negli ultimi anni, e da tenere sott’occhio soprattutto se, come pare, nel prossimo romanzo – su amore, letteratura e ‘fine dei sogni’ – accantonerà gli aspetti disgustosi della prima e soprattutto della seconda opera”.1

L’incontro del giorno dopo fu un flop tale, per mancanza di pubblico oltreché di contenzioso, che nessun giornale ne accennò in seguito, Il Giornale compreso.2 Ciononostante, in piena mitopoiesi, l’autore del libro sperabilmente maledetto così rammemorò su Libero del 23 gennaio 2008, piangendo la sorte che “toccò all’Ulisse di Joyce, processato per oscenità, alle opere di De Sade pubblicate solo nel Novecento da Jean Jacques Pauvert, a Pasolini dei Ragazzi di Vita, a Sodomie in Corpo 11 di Aldo Busi, e perfino, nel 2000, al mio Mamma, un altro capolavoro assoluto, alla cui censura giornalistica risposero con fermezza e tempismo, organizzando una memorabile conferenza stampa al Palazzo delle Esposizioni: Giampiero Mughini, Giordano Bruno Guerri e proprio lui (primo sostenitore e anche prefatore del romanzo), Vittorio Sgarbi, che per la cronaca mi conosceva solo come scrittore”.

Le centodiciotto pagine, di cui alcune bianche e diverse quasi, sono effettivamente introdotte da Sgarbi: “Chi, con animo sereno, leggerà questo romanzo rimarrà sconcertato. Per il candore, per la delicatezza di Massimiliano Parente, non per le ragioni opposte, non per l’inganno esibito agli ingenui dalla logica dei contenuti. Mentre alcuni tormentati, un critico dell’Espresso, Michele Serra, il sentimentale Roberto Benigni, la giornalista Angiola Codacci Pisanelli, potranno perfino scandalizzarsi e scrivere, ritraendo gli occhi dalla macchiata pagina, che Parente fa ‘rimpiangere di aver imparato a leggere a qualsiasi lettore’ […], essi sono cascati nella rete di Parente: anzitutto hanno letto il libro, l’hanno comprato. Diritti acquisiti all’autore. E in secondo luogo l’hanno comprato e letto né per attraversare un’esperienza estetica, né per morbosità, né per prendere esempio, che sarebbe ancora una nobile motivazione, ma per scandalizzarsi. Così imparano, non hanno neanche goduto […]. Michele Serra dirà, e Roberto Benigni sospirerà: c’è un limite a tutto, non ci si può spingere così avanti. Ma al di là di ogni limite, di ogni orizzonte dell’immaginario, c’è sempre un coraggioso Castelvecchi, che difende anche noi da Parente. Pubblicandolo. Perché Massimiliano Parente, analogamente a Sade e diversamente da Genet o Céline, è molto più tormentoso inedito. Inedito è osceno. Edito è didascalico. Certo occorre leggere i suoi libri apparentemente eretici/erotici come trattati non di anatomia, bensì di matematica. Perché Parente, nell’implacabile geometria della sua scrittura, è un geometra del cazzo, e non nel senso letterale [?], come vorrebbero Serra e Benigni […]. Parente, raggelandosi ancora di più, nello scarto poetico e stilistico intercorso da Incantata o no che fosse a Mamma, da geometra è diventato ingegnere, e Castelvecchi deve costruire parecchie villette. Serra e Benigni le vorrebbero abusive, Castelvecchi le costruisce con l’autorizzazione della sovrintendenza. E chi è il sovrintendente (del cazzo, s’intende)? Sgarbi, naturalmente. Sicché io sarei un sovrintendente del cazzo? In senso letterale, penserebbero Serra e Benigni. E anche qui sbaglierebbero perché io mi occupo di monumenti, non di villette. D’altra parte una cosa è scrivere e un’altra è agire, e in questo caso io e Parente siamo divisi soltanto da una preposizione: io scrivo introduzioni, lui scrive di introduzioni. […] L’ingegnere introduce il suo cazzo di inchiostro in buchi di inchiostro di bambini che non sono di inchiostro e non vedono inchiostro. Per essi queste introduzioni non esistono, e pertanto neppure il libro. Per farlo esistere occorrerebbe proibirlo, oppure renderlo obbligatorio nelle scuole. Soltanto nelle elementari. Dai sei ai dieci anni. In tal modo esso acquisterebbe una funzione […]. Chi pensa, leggendo questo libro, di dover rimpiangere di aver imparato a leggere, si chieda piuttosto quanto abbia davvero imparato a farlo, o se non debba ricominciare. Magari proprio da qui. Con gioia o con angoscia, cosa volete che ce ne freghi.”

L’Introduzione è completamente strampalata (come si fa ad avere comprato un libro di cui uno sta ancora scrivendo l’introduzione?!), e va letta così: Sgarbi auspica che Serra e Benigni ne parlino a libro appena uscito, mentre cita una frase di Angiola Codacci Pisanelli, effettivamente inserita in un articolo panoramico sulle novità editoriali a venire apparso sull’Espresso un paio di mesi prima.3 Il tono di familiarità con cui viene tirato in ballo Alberto Castelvecchi si comprende invece alla luce di quanto dichiarato da Sgarbi a Nicola Cavazzuti di Affari italiani il 16 settembre 2008: “Parente è una persona spregevole che per mesi, in passato, mi ha chiesto di aiutarlo e che invece di ringraziare per quello che ha avuto ora pretende di avere altro. In questo senso è una puttana infelice, insaziabile. Come scrittore ha iniziato l’attività con me, che l’ho sostenuto e raccomandato a Castelvecchi, in seguito però l’ho perso di vista”.4

Castelvecchi deve aver accolto senza fatica la raccomandazione di Sgarbi, in quanto Mamma si adeguava a pennello alla svolta impressa due anni prima (col supporto di Francesco Coniglio) alla casa editrice da lui fondata nel 1994 sull’onda della nuova cultura giovanile espressa dal Web e dai centri sociali. Emblematico il caso di Aldo Nove, lanciato nel 1995 con Woobinda e ridicolizzato nel 1999 con Route 66 di Aldo Dieci, e più ancora quello del collettivo Luther Blissett, lanciato nel 1996 con Mind Invaders e scaricato nel 1998, allorché il loro Lasciate che i bimbi finì nelle reti della giustizia.5 Via libera invece al settore pornografico, sulla scia del successo ottenuto da Reverend William Cooper6 con Sesso estremo (sadomasochismo, bondage, fist-fucking, pratiche transessuali e con animali, pissing, coprofilia) del 1995 e Sesso estremo 2 (bee sting, cateteri, cocktail di sperma e feci, infusioni scrotali, peni fritti, zoofilia con formiche e animali di peluche, oxygen regulation, dildi applicati a trapani) del 1996. Così fioccano i titoli, da cui trascelgo: Carmine Castoro, Roma erotica: guida ai luoghi e agli ambienti dell’erotismo, dell’eccesso e della perversione (1997); Patrizia D’Agostino, Rocco Siffredi (1998); Riccardo Reim-Antonio Veneziani, Pornocuore (1999). Ma soprattutto Castelvecchi lancia una nuova collana di cultura gay, Enola, che così illustra su Caffè Europa in un’intervista a Chiara Lico del 3 giugno 2000: “L’idea è nata tra il febbraio e il marzo del 1999: avevo intuito che la questione dei diritti degli omosessuali sarebbe diventata una hot issue, un affare caldo, […] un tema in grado, potenzialmente, di spaccare anche una compagine di sinistra”. Primo titolo, di quello stesso giugno appunto, è Ragazzi al bar. Racconti omosessuali, silloge a cura di Antonio Veneziani che tra gli autori, oltre all’immancabile Reim, schiera il nostro Parente, di cui nella brevissima nota biografica si dice che “lavora in una casa editrice” (facile indovinare quale). È la storia di una seduta sadomaso in cui la vittima si vendica di uno stalker telefonico della sua fidanzata facendosi sodomizzare, La ciliegina sulla torta che non c’è: “‘Troia, troia, quanto sei troia…’. Non è vero che chiodo scaccia chiodo, chiodo chiama chiodo e io mi sono presentato a lui come ci si presenta dal dentista per farsi togliere un dente, non c’era imbarazzo, c’era il rigore di un letto posto in uno spazio quasi insonorizzato, c’era il senso di un duello di cui lui non avrebbe mai capito il senso. ‘Avanti, facciamo in fretta…’ come se lui ci fosse ma non del tutto, giusto il tempo di una concessione distratta, di un cartellino da timbrare senza compromettersi troppo né troppo poco, per persuadersi di avermi piegato a un piano preordinato da mesi. Così la mia schiena, piegata ad arco, e le mani a stringermi i fianchi in una morsa senza perché, muovendomi avanti e indietro cercando di andare ogni volta più a fondo, di infilarmi il suo cazzo affinché del mio silenzio non restasse altro che una parvenza di sconfitta o un chiodo di carne spropositato da piantarmi nel culo per tapparmi la bocca. Di sicuro crede io abbia scoperto chissà cosa, che abbia assi nella manica o registrazioni per incastrarlo pubblicamente, e tuttavia lo consola il vedere che sono solo un uomo nudo col culo all’aria. Si preoccupa della sua reputazione, ma pensa che se è qui a incularmi sotto mia richiesta il coltello torna dalla parte del manico e dalla parte sua, affinché la richiesta non sia altro che la preghiera di un frocio. / ‘Troia… troia…’. ‘Ridimmelo’, diceva lei. ‘Sei una grandissima troia’. Io ci stavo prima facendo finta di niente e ci sto adesso apparentemente non chiedendomi niente, neppure a cosa non sono stato prima e a cosa sto adesso, crede io sia lì a risolvere i loro rebus androginecologici, o a risolvere una parte di me stesso, povero scemo, povero cazzo testa di cazzo. Mi rivolta incastrandomi in nuove posizioni di rabbia senza smettere di scoparmi, non capisce, non capisce, crede mi piaccia a tal punto da farmi parlare o tacere in eterno, e ora mi afferra le caviglie mi solleva le gambe per lasciarsi cadere a capofitto non dentro di me ma dentro la propria immaginazione, chissà chi sono, adesso, chissà cosa vede, adesso, cerca un pianto a denti serrati, un singhiozzo e un dibattersi come di preda presa nei suoi artigli, assestando il mio corpo sotto di sé, aggiustandoselo sotto affinché io assuma la forma che lui vuole, affinché gli venga non la forza, che ha a dismisura, ma l’ispirazione per strangolarmi, per serrarmi ancora di più le mani attorno al collo, attorno all’assenza di un nemico o almeno di una complicità, di un ricatto preciso. Non c’è nessuno a reggergli la vittima dei suoi sogni di stupro ricorrenti stavolta, non c’è nessuno dei suoi compagni veri o finti a premere mani sulle bocche a soffocare urla, non c’è nessuno a circoscrivergli un destino, nessuno. Viceversa è terrorizzato dal mio fissarlo negli occhi senza opporgli resistenza, senza dargli la possibilità di capire dove voglio arrivare. Perché improvvisamente vengo, senza neppure masturbarmi, il ricatto si annulla nello zampillo scomposto delle gocce di sperma che gli arrivano sulla barba sui baffi e subito si pulisce schifato, ringhiando qualcosa tra sé e sé, e lo vedo bello e mostruoso. Dopo di lei si aspettava una denuncia, una vendetta riconoscibile, non certo il mio culo, figuriamoci il mio sperma […]. Il suo cazzo nel mio culo è l’unico presupposto che, pur confondendolo, gli dà sicurezza. Mi rigira per l’ultima volta, […] il culo mi si spacca, mi sento svuotato di tutto ma reperisco lo stesso qualcosa di simile a un flusso, a un desiderio afferrato al volo in un mercatino mentale dell’usato dove sono una troia qualunque, ‘troia, troia, quanto sei troia e puttana’, come lei che subiva, come lei che taceva, come lei che in fondo voleva, e allora anch’io entro nel suo harem come una perfetta femmina gravida di ordinari segreti che si lascia fottere da un maschio meschino avendo carpito tutto e della sua pochezza e della propria, per liberarsi di entrambe. Mi sollevo perfino a baciarlo mentre mi stringo avvinghiandomi a lui […]. Quando viene lui vengo anch’io, per la terza volta”.7

Tornando all’incontro romano pro-Mamma del 19 aprile 2000, la presenza di Mughini si motiva dai legami di amicizia con Parente già indagati: ma lì Mughini era in qualità di esperto. Su Penthouse infatti, a cavallo tra 1986 e 1987, aveva tenuto la rubrica Amori e furori, dove forgiava a ripetizione cammei di pornostar; la vena porno lo prese poi, patetica e soft, ne La ragazza dai capelli di rame (Rizzoli 1993), persistendo in Un secolo d’amore (Mondadori 1999), e dilagando giusto agli inizi del terzo millennio, dove appena formatosi il Berlusconi II° si sposa all’anticomunismo: così su Il Foglio Mughini, se il 21 giugno 2001 si vanta di essere “stato un anticomunista doc negli anni in cui questo aveva un senso, gli anni 70 e 80”,8 a distanza di giorni magnifica la generazione delle veline con Se son troie fioriranno. Non stupisce dunque la nomina sua nel marzo 2002 a direttore del semestrale porno-erotico Excess, come poi la baldanza con cui saluta su Panorama del 19 aprile 2002 l’uscita da Taschen di The Christy Report: “Per essere la prima volta che l’iconografia, se non l’apologia, della pornografia irrompe nell’editoria ufficiale, è un debutto sontuoso. Dopo la diffusione capillare prima dei videoregistratori e poi di Internet, lì dove i siti porno sono nell’ordine delle centinaia di migliaia e ce n’è per tutti i gusti […] capirete anche voi quale sciocchezza grande sia quella di chi dice che una cosa è l’erotismo, un’altra la pornografia”. Fino al colpo d’ala in La mia generazione (Mondadori 2002): “Li guardano gli uomini e li guardano le donne; non c’è mia amica alla quale li abbia mostrati che non ne sia andata in brodo di giuggiole. Niente, l’argomento resta tabù. Non c’è un giornale che ospiti una rubrica di recensioni di questi prodotti, e non si vede perché un video porno girato e interpretato da Rocco Siffredi dovrebbe essere culturalmente meno rilevante di un libro tanto celebrato quanto noiosissimo come La vita sessuale di Catherine M. … In tema di condanna ipocrita del porno e delle sue manifestazioni, è molto in voga l’argomento stupido su tutti che in materia di sesso l’importante è ‘fare’ e non ‘guardare’. E invece c’è qualcosa di divino nel guardare, un atto culturalmente assai più difficile di quanto appaia … Per guardare e valutare appieno uno strip-tease devi avere l’abito mentale e l’esperienza di un filosofo, ha scritto Denys Chevalier in un suo bel libro di molti anni fa. C’è il tempo giusto per ‘guardare’ un quadro di Matisse o un mobile di Le Corbusier, e c’è un tempo giusto per guardare Tracy Lords che smania mentre due o tre uomini fanno onore alla sua femminilità”.

Che Mughini e Sgarbi, frequentatori assidui degli stessi studi televisivi, si conoscessero personalmente, va da sé; ma già un primo momento di contatto fu costituito dalla comune partecipazione alla breve vita di Chorus, mensile di attualità finanziato da Leonardo Mondadori e diretto tra il 1989 e il 1991 da Guerri, al quale collaborarono tra gli altri Gaia de Beaumont, Aldo Busi, Ida Magli, Roberto D’Agostino. E in effetti il vertice di questo strano réseau, non a caso estensore della recensione a Mamma più invito, è proprio Guerri, allora neofondatore con la Magli dell’associazione antieuropeista Italiani liberi. Amico stretto di Sgarbi,9 è lui il teorico-pratico dell’excess, come si desume dal numero da un’intervista a Francesca Mazzuccato apparsa su Babilonia nel gennaio 2001: “Ho fatto spero quasi tutto con uomini, con donne e con trans, ma non voglio essere colpito dalla sindrome di Oscar Wilde. Busi, che io ammiro e amo, come persona e come scrittore, esibendo la sua omosessualità è riuscito a farci imbarazzare un po’ meno di vivere in questo paese, ma non a migliorare la condizione degli omosessuali italiani. Ha venduto qualche copia in più a dei froci cretini che non andranno oltre la sesta pagina di un suo libro e ha fatto passare la sua opera – presso gli stupidi eterosessuali – come l’opera di un omosessuale. Io in questa trappola non ci voglio cadere: se mi piacciono le grandi labbra o se mi piace prenderlo nel culo. Sono fatti miei. Detto questo, in ogni occasione ho sempre dichiarato che la sessualità deve essere quanto più libera e varia possibile, e che personalmente sono pronto a tutto oh, nell’ambito non criminale, intendiamoci! Che poi, ripeto, mi piaccia di più far sbattere due enormi tette contro un termosifone o succhiare un uccello sotto il termosifone, sono cose che ritengo private, tutto qui. Per concludere, vorrei aggiungere che a me sembra demenziale la lotta gay per avere pari opportunità (matrimonio, case comunali, successione eccetera). Il bello di essere gay è di essere diversi mentalmente dalla maggioranza”.10

Tre anni dopo, Guerri torna sull’argomento in un’intervista a Sabetti Fiorelli su Sette del 13 maggio 2004: “Per mancanza di paraculismo ho litigato con due miei carissimi amici: Aldo Busi e Leonardo Mondadori. Ho avuto dei periodi di forte attività omosessuale però sempre infinitamente meno rispetto all’eterosessuale. E comunque mai con un amico. Con Busi abbiamo vissuto insieme tre mesi senza che succedesse niente. Mai avuto un amore omosessuale. Mai un rapporto continuo. Mordi e fuggi, non sono tipo da discoteche. Piuttosto cespugli, bagni. Dark room. Non vedi chi c’è e chi tocchi. Ottimo. Alle donne poi piaccio. E molto. Io sono bellissimo, simpatico, intelligente, famoso, ricco”.11

Infine chiude icastico il 18 ottobre 2004, nella rubrica Anticentro che teneva personalmente sulla prima pagina del suo quotidiano: “Solo chi è stato ben scopato può scopare bene”.12

Tornando a Parente, da quanto sopra è verosimile che la cena conviviale con Busi sia stata organizzata da Guerri. E tornando all’articolo su Mamma di quest’ultimo, cui il libro tra l’altro è dedicato accanto a Busi e a Sgarbi stesso: qual è il mistero dell’uovo di marmo? Lo svela il protagonista in chiesa davanti a una Madonna con Bambino di Guercino: “mamma mi ha finalmente rivelato il segreto della foto in disguise che abbiamo in sala, lei come la Madonna ma con quella certa luce nelle pupille, e io, nudo tra le sue braccia, omologo al piccolo Gesù, io bambino dall’espressione beata eppure scomposta, quasi sorpresa in un fremito anomalo. Mamma non ha parlato, le è bastato mostrarmi l’oggetto del segreto per svelarne l’atto, l’uovo di marmo color corallo apparentemente mai visto eppure improvvisamente familiarissimo, e inumidirlo di saliva perché qualcosa cominciasse a combaciare con qualcosa, perché riuscissi a vedere all’improvviso lì, sotto l’angolo sfuocato della foto, ricomporsi dall’illusione una forma, un gesto, un movimento, una dilatazione abituale della carne, e nella navata forse non c’è nessuno quando ci abbracciamo e baciamo e mi sbottona cintura e pantaloni mentre con la mano può scivolare dietro e inserire nell’ano, insieme all’uovo di corallo, anche il senso di una rivelazione, nell’ano mio e del bambino, del Gesù bambino della foto, l’ano del piccolo dio che si richiude per poi riaprirsi subito nell’espressione di un piacere o turbamento psicologico o iconologico [?], e non c’è tempo di piangere né di accorgersi né di non accorgersi troppo, il tempo della sensazione è quello del massimo schiudersi dello sfintere infantile profanato e quello dello scatto, anzi dell’autoscatto, perché non c’era nessun fotografo dietro l’obiettivo: l’attimo del lampo del flash, del flashback, l’attimo di un piccolo mistero svelato”, (p. 73).

Non poteva mancare S. Giuseppe: “‘non puoi ricordarti di tutte le volte che io e papà ti portavamo a letto con noi’. ‘Lo so, me lo hai raccontato spesso’. ‘Lui su di me, e tu tra di noi, sul mio seno, ed io ti tenevo stretto, e gemevo, e urlavo baciando la tua bocca in continuazione. E prima ancora, quando gli facevo pompini mentre ti allattavo, e lo eccitava da matti, questa cosa, vedere tu che succhiavi me e io che succhiavo lui, e c’era quel momento in cui lasciavi il capezzolo e mi chinavo su di te e dalla bocca della mamma bevevi tutta la sborra del papà’”.13

I bimbi crescono, le mamme non invecchiano: “‘Ti lavavo tutto il corpo, con la spugna e il bagnoschiuma alla vaniglia, poi toglievo il tappo, l’acqua cominciava ad abbassarsi e io non resistevo, la mia mano scivolava lì, però lo trovavo già duro, avevi appena dieci anni ed era già duro […]. Amavi le mie mani vero?’ ‘Sì’. ‘Le mie unghie rosse’. ‘Le tue unghie rosse’. ‘Non eiaculavi ancora sperma, ma venivi con delle deliziose goccioline biancastre […]. E quando sborrasti per la prima volta, te lo ricordi?’ ‘Sì che me lo ricordo’. ‘Il tuo sperma bianchissimo. Zuccherino. Da quel momento presi a succhiarti regolarmente, ed erano anni che non lo facevo. Presi a succhiarti sempre. Ti sfinivo di pompini” (pp. 22-23).

Al cinema ovviamente mamma lo masturba, ma perlopiù guardano la tv, canali con fustigazione mortale di cavalla incinta, uccisione di maiale da parte di Mistress Chloe ecc.,14 o mettono uno dei 150 video didattici di genere crushing che applicano facendosi costruire una pedana per schiacciare animali sempre più grandi, o lui la riprende ovviamente nuda con gran zoomate su sesso e piedi mentre racconta di come la sodomizzava l’operaio comunista licenziato da suo marito industriale: “in quel furgone, su quel materasso squallido, in quella posizione e con quell’onda che incalzava serrandomi in una presa dei fianchi e della Bastiglia, nemmeno ci avrebbe creduto, tuo padre, o sarebbe morto d’infarto, detto tra parentesi magari, e più lo pensavo più godevo, più anelavo che il mio operaio mi rompesse il mio culo borghese riempendomelo di risentimento giacobino o bakuninista o marxista-leninista o quello che era, da una parte mi sentivo una specie di rivoluzionaria, sognavo tutti i Danton e i Marat e i Robespierre e però, all’idea del Terrore, attraversavo anche il gusto, il colore, il piacere di tutte quelle teste che cadevano, mi calavo in un’ideologia e, spinta operaista dopo spinta operaista, mi ritrovavo sempre sul versante opposto, io decapitatrice assolutista, io castratrice radicale del Reich, io deputata di fiducia del Führer nel circoncidere gli ebreini asportando, sui tavoli operatori, per calcolato sbaglio, non la pellicina giudaica ma tutto, posellini e palline, oppure ostetrica autorizzata ad essere un tantino disinvolta nei cesàri [?], sventratrice ufficiale di gestanti sioniste, e però mi bastava un niente per tornare libertaria e riformatrice, nobile regina delle natiche, di un mio culo aulico, violentato dal basso e quindi sanculottissima, e dio quanto venivo, non smettevo di ripetergli fottimi fottimi fottimi fottimi fottimi e non smettevo un secondo di venire, perché… insomma… questo è il mio più intimo pensiero politico sociale, voglio dire, come inculano questi alienati o desublimati freudiani moraviani non incula nessuno, e allora, noi donne avanzate, dominanti e impegnate, forse varrà anche la pena di dare il nostro contributo per tenerli laggiù buoni dove sono, o no?”.15

Da grandi poi viaggiano per i continenti, non disdegnando luoghi infidi come il Ruanda: “in abiti da esploratrice, in ginocchio, piegata in avanti, gomiti piantati per terra, nel nascondiglio della grotta occultata dalla vegetazione sotto la cascata, gonna di lino e mutandine abbassate, lei, inculata dalla nostra guida hutu, inculava a sua volta, con la canna della pistola munita di silenziatore, i piccoli tutsi rapiti, uno per uno, disposti l’uno fianco all’altro, e tirava il grilletto al culmine del piacere”.16

Ed è così che, più o meno beati, si presentano al lettore nell’incipit, ovviamente in medias res e indipendentemente dai flash-back: “Lì così, sul pavimento, bendato, imbavagliato, lubrificato, polsi legati alle caviglie, testa sul cuscino, non è la prima volta né sarà l’ultima. Il rumore degli scatti della serratura, aveva chiuso a cinque mandate e le sento scorrere al contrario tutte e cinque, sento aprirsi e richiudersi la porta e girare di nuovo la serratura, e ancora passi, fruscio di abiti, un breve parlottare a bassa voce. Il televisore è acceso sul canale Hard 77, l’audio del film, gemiti e sussurri e brevi frasi, è originale [?]. Nella stanza irrompe il pianto di un neonato, e la mano di mia mamma ricomincia a masturbarmi. La sua voce dice ‘Rilassati amore’. Un uomo, dietro di me, dice ‘Posso?’. Mia mamma gli risponde ‘Sarà bravo’. Il cazzo dell’uomo, entra subito. Le mani dell’uomo piantate sui miei fianchi. Una ragazza del film grida ‘fuck me fuck me’. Il cazzo dell’uomo sempre di più. ‘Che culetto di burro, e lo prende bene, guarda come se lo prende’. ‘Lui è bravissimo’. Vorrei gridare. Cerco di gridare. ‘Fuck my ass, fuck my ass’. Mi escono le lacrime dagli occhi. Mia mamma mi accarezza la schiena, i capelli, ma i colpi sono violenti e veloci. Mi ricordo adesso del neonato, il neonato piange, il neonato strilla. Lo sento vicino, forse sopra di me. La ragazza del film grida. Il cazzo dell’uomo spinge forte e nell’attimo in cui si arresta per rimbalzare indietro dall’intestino in un lampo mi trapassa a intermittenza il cervello. Mia mamma non mi tocca più, dice ‘è tenerissimo, guarda, guarda come è tenero’. La percezione del mio corpo è indistinguibile dal dolore, e il dolore è indistinguibile dal suo opposto, perché mia mamma ricomincia a masturbarmi, non per molto, ma quanto basta a ricondurmi in una dimensione incerta dello spazio e della carne, non proprio una boccata d’aria presa risalendo dal fondo del mare ma quasi come potersi avvicinare al pensiero di eiaculare venendo squartati, come se la carne stessa squartata eiaculasse un godimento nel suo essere squartata. Le urla del neonato si fanno stridule, cerco di capire cosa succede, e in realtà lo so, cerco solo di vedere mentalmente, più che il penetrare fatale della lama vorrei dettagli più significativi, il modo di tenerlo in braccio, il modo di impugnare il coltello, vedere le mani, le sue mani le sue mani le sue mani. Un urletto più acuto degli altri e… ecco… no, ancora un altro. La ragazza del film urla. Ora lei e l’uomo urlano. Toccami mamma toccami, ti prego toccami. Non esiste orrore se mi tocchi. Non esiste orrore che tu non sia capace di trasportare nel desiderio, nella necessità estetica del suo accadere. Perché tu sei donna, e sei bella, e sei perfetta. Non ho più idea di dove sia il cazzo dell’uomo. Scomparso nel bruciore. Ancora dentro di me, lo sento, ma dove, in quale punto del corpo. Ecco, ora è successo, ora non ci sono dubbi. Non riesco mai a individuare il secondo preciso, arrivo sempre troppo tardi o troppo presto, l’ho perso di nuovo. Ora il liquido caldo mi sta colando sulla schiena. Immaginabili e innominabili cose calde e molli. Poltiglie palpitanti sulla mia schiena, e silenzio. Aperto. Lo ha aperto. So come ha fatto, dalla pancia è arrivata all’ano, con una rotazione netta, perentoria, elegante e naturale. Il respiro affannato dell’uomo. Il respiro affannato di lei. Mentre le sue dita abili e perfette, bagnate e calde, riprendono a toccarmi, stavolta velocemente, pollice e indice e medio sulla punta per darmi piacere subito”.17

 
 
NOTE

1. Il terzo romanzo, Canto della caduta, non parlerà affatto di ciò, come s’è visto già dalla recensione di Crespi. La quarta di copertina del secondo intanto batte il chiodo della recensione sull’Espresso: “Scioccante vicenda di un amore proibito tra una madre e suo figlio, Mamma è un romanzo estremo ed essenziale: una storia, è stato scritto, ‘i cui particolari faranno rimpiangere di avere imparato a leggere qualsiasi persona sana di mente’. Tutto accade sulla pagina senza lasciare al lettore la possibilità di sottrarsi al fascino dell’orrore narrato. Siamo in una dimensione nuova, di là da ogni pornografia”. “Massimiliano Parente è uno scrittore fra i più interessanti apparsi negli ultimi anni” è frase guerriana che comparirà in quarta di Contronatura.

2. L’unica recensione fu di S. Vassalli, su Il Corriere della sera dell’8 maggio 2000: “Mica facile fare scandalo, oggi. E col sesso, poi! Ho tra le mani un libriccino che penso sia stato scritto e pubblicato per fare scandalo, e che ha mancato il suo scopo. Peccato. Gli ingredienti ci sono tutti: dalla prefazione di un professionista dello scandalo come Vittorio Sgarbi alla postfazione di Riccardo Reim che cita Bataille e Pasolini. Soprattutto, nel libro, c’è l’incesto con tutte le efferatezze e perversioni a cui si può accompagnare, sia da parte della madre (‘Non solo te la facevo addosso, ma te la cucinavo… Avevo mille ricette per te, tutte con l’ingrediente dell’anagramma della madre. Una volta, pensa, te l’ho perfino scritta’) che da parte del figlio. L’autore deve avere avuto tra le mani l’opera Psychopathia sexualis di Krafft-Ebing, e deve avere preso molto da lì. Nella sua prefazione, l’onorevole Sgarbi prevede che ‘chi leggerà questo libro, si sentirà trascinato nel baratro pagina dopo pagina’. Può darsi che a lui sia andata così. A me è venuta soltanto la curiosità di saperne di più sull’autore”. Notevole il lapsus di “scritta” per fritta (tra l’altro mami oltre che merda frigge feti vivi estratti da animali). Nella nota in appendice Reim afferma: “Era giunta l’ora di negare le leggi alle quali la paura ci assoggetta. Con Mamma Parente porta a conseguenze forse ancora più estreme il discorso”.

3. Come capita spesso, i giornalisti ricevono in anteprima dagli editori le bozze dei libri. Serra e Benigni invece il libro, non che comprato, manco lo videro.

4. E rincara: “compro un po’ di copie come Comune di Salemi per regalarle alla comunità gay piagnucolosa di cui fa parte: insomma, per fare dell’elemosina verso questo volgare millantatore e diffamatore”. Le copie sono di Contronatura, appena uscito per la Bompiani, mentre il motivo della sfuriata è che Parente aveva pubblicato sul Riformista le e-mail in cui Sgarbi lo invitava a pubblicare su Libero un articolo dove candidare lui stesso a ministro della cultura. In realtà Parente si era già sdebitato con un articolo sul Dom del 4 giugno 2005: “se lo incontrate per strada, a Roma, se volete vi porta a casa sua, a Piazza Navona, chiunque voi siate, amici, nemici, sconosciuti. Più democratico, più raffinato, più trasgressivo, di un centro sociale. A Sgarbi il Leoncavallo gli fa una sega. […] artista vero e post-umano, laddove, di conseguenza, i suoi libri non sono libri ma opere d’arte, protesi cartacee della sua carne in movimento perenne […]. Se state lì a sottilizzare, non avendo capito niente della genialità artistica di Sgarbi in particolare, non avete capito niente neppure dell’arte in generale”. Quanto al legame di Sgarbi con Castelvecchi, v. su Panorama di fine 2008 la risposta a S. Lorenzetto che gli chiedeva chi fosse degno d’essere considerato suo pari: “Francesco Cossiga, lo storico del mobile Alvar González-Palacios, l’editore Alberto Castelvecchi”. Quanto infine al fatto che Sgarbi e Parente alla fine del 1999 non si conoscessero di persona, ciò poteva valere tutt’al più due anni prima, allorché Sgarbi introdusse il primo romanzo di Parente uscito per ES a gennaio 1998.

5. “Ben vengano gli alieni se ci schiuderanno nuovi orizzonti e se ci libereranno del No Future capitalista, delle false culture alternative, dell’underground e dell’overground con tutte le loro miserie umane e post-umane, degli ex-carabinieri butterati [Castelvecchi era stato carabiniere] che si riciclano come editori ‘di tendenza’ quando l’unica tendenza di cui siamo testimoni è lo s/fascismo del quotidiano. Ben vengano gli incontri ravvicinati di qualunque tipo, ben venga il contattismo ma non i Contatti (intesi come collana [della Castelvecchi]). Qualunque cosa pur di farla finita con tutta quest’agonia, col sado-maso sfiatato e innocuo a misura di fighetto, con l’erotismo che non lo fa drizzare, coi piedi e la loro puzza, le lettere angosciate ai personaggi dei fumetti nazional-popolari, le stiracchiate guide ai de/generi musicali del momento, la Nuova Era che è poi la solita vecchia merda pacificatrice e desistenziale e, last but not least, con l’idraulica dello Stato (leggi: le infiltrazioni), con le spie che ti si canterebbero per un tozzo di pane spalmato di merda, et cetera ad nauseam”, messaggio infilato da Luther Blissett in Associazione Astronauti Autonomi, Anche tu astronauta!, Castelvecchi 1998 (su tutta la vicenda, cfr. Quaderni rossi di Luther Blissett, n. 3, gennaio 1999, con replica finale in Benvenuti ’sti frocioni 3, Wu Ming 2000: “l’editore lestofante Castrinovi – capitolino scopritore di talenti mancati, nonché ex sbirro ed ex titolare di un’agenzia di investigazioni private”. Lo stesso Parente, a proposito de La macinatrice il cui protagonista Torrenuova da più parti era stato individuato in Castelvecchi, a G. Iannozzi rispose il 10 settembre 2005: “Torrenuova esiste, o quantomeno è auspicabile. Come la mamma di Mamma”.

6. Pseudonimo (cui non è estraneo Castelvecchi stesso) dove reverendo è slang per “sesso estremo”, mentre W. Cooper era un prete anglicano di metà 800 noto per un Trattato sulla flagellazione.

7. La morale, in chiusa: “E non c’è niente da raccontare, in questa storia, né un inizio né un finale, solo una conclusione tratta in anticipo che non avrebbe trovato neanche il modo di viversi se non avesse combaciato nelle [?] frasi lasciate a lei e a ogni altra donna, sono le parole d’ordine impartite da ogni maschio ordinario a se stesso e a ogni femmina ordinaria, sono un codice implicito che a forza di riascoltarlo, oltre ad aver scaricato fior di schede telefoniche, mi ha restituito la sensazione di scaricarmi sessualmente e ideologicamente illuminandomi su quella debolezza di viltà che, per un abbaglio sociale sistematico e riuscito, viene chiamata virilità, la forza apocrifa dei deboli. “Troia troia troia” gliel’avrà detto tante volte quanto lo [quante io!!!] l’ho taciuto, e una volta svelati i veli [?], una volta riascoltate un milione di volte le centinaia di frasi identiche degli eterosessuali, degli omosessuali, dei sessuali [?] di sempre, per ridurle all’osso di una ragione o banalità finale, io mi sono sentito incluso, e con ciò non mi sono tramutato, come maschio, né in peggio né in meglio, ho continuato anch’io ad avere dentro i loro pensieri così uguali ai miei e a quelli di qualunque altro maschio e anche di ogni altra femmina, perché se non altro ho fatto questo passo, di lasciare tutto immutato e fuori di me e dentro me, convocando l’essere umano più ovvio in un cazzo e anziché convocare una cavalleresca resa dei conti da amante tradito spiazzare la logica invitandolo a scoparmi, lui a rappresentanza di tutti gli altri incluso me stesso, per continuare a pensare alla donna troia, la mia e quella di chiunque altro, ma per una volta pensandola da dentro, diventandola, guardare un maschio negli occhi e farmi trombare scientificamente con cognizione di causa, da maschio a maschio, da femmina a maschio, da vuoto a vuoto, e vedere cosa ne sarebbe restato. È rimasto tutto come prima, io stesso a convogliare sangue per scopare le donne pensandole troie, con gli stessi istinti e gli stessi feticci, ma con l’impressione, finalmente, di poter far diventare questo tutto niente o il suo contrario, in qualsiasi momento” (pp. 86-88).

8. Continua: “mi dovrebbero fare Cavaliere della Repubblica per meriti anti-comunisti […]. A solo pronunciare la parola ‘anti-comunista’, ancora nell’87, rischiavi di essere espulso dall’ambiente umano e intellettuale che era naturalmente il nostro. Non uno dei grandi giornali trattò amicalmente Compagni, addio”, pamphlet di cui l’autore affermerà in La mia generazione (Mondadori 2002): “non ci fosse stato quel matto di Giordano Bruno Guerri alla testa della Mondadori, mai e poi mai avrei potuto pubblicare un libro dal titolo Compagni, addio”. Un picco d’impudenza fu raggiunto il 22 febbraio 2002, quando su Sette uscì un’intervista a Mughini di tale William Gori, rivelatosi poi l’intervistato stesso.

9. Guerri, su Il Giornale del 12 settembre 2002 a proposito del film a episodi 11 settembre 2001: “Nell’intervallo fra i due tempi me ne sono andato […]. All’uscita, accasciato (ebbene sì, accasciato) sui gradini davanti alla strada c’era Vittorio Sgarbi, che stava vedendo il film con me e se n’era già andato. Benché lui e io cerchiamo sempre – per gusto di polemica, per stimolo d’intelligenza – di cercare e esibire il poco che ci divide ignorando il molto che ci unisce, è bastato uno sguardo per capirci e dire all’unisono le stesse parole: ‘Sono tutti antiamericani!’”. Sempre su Il Giornale, 13 settembre 2005: “Sgarbi, del quale dico subito che in Italia – a Destra, a Sinistra e al Centro – ci vorrebbero dieci, cento, mille Sgarbi. La sua intelligenza, le sue conoscenze specifiche, la sua capacità di guardare oltre gli schemi e di rompere le convenzioni sono il sale che manca a tanta politica italiana […] male ha fatto la Destra a emarginarlo progressivamente fin quasi all’annichilimento. 
Sgarbi – si offenda quanto vuole, se vuole, ma non è nei miei scopi – è come Curzio Malaparte […]. La Destra non ama i solisti extrapartito, preferisce la mediocrità fedele e sicura […]. Berlusconi stesso tolse la trasmissione a Sgarbi? A me la tolse la Rai di Enzo Siciliano, che più di sinistra non si poteva. Brutta faccenda, ma peggio ancora è che la Destra non me l’abbia restituita. Mi era stato affidato un quotidiano politico come L’Indipendente per togliermelo dopo dieci mesi […] non per questo passerei a Sinistra, per poi dovere convivere con idee, valori e posizioni di base che non condivido: l’egualitarismo, il buonismo, l’europeismo a priori, la linea morbida con un indistinto mondo musulmano […]. Sgarbi si dovrà pentire di nuovo, e propongo fin da ora di riaccoglierlo a braccia aperte, senza recriminazioni”.
10. La Mazzuccato l’aveva introdotto così: “Attualmente scrive su Il Giornale e su Anna, rubrica Il guastafeste. Ci conosciamo da più di cinque anni. È con lui che per la prima volta sono entrata in un locale gay e per mano mi ha portato nella dark room. È lui che mi ha messo una donna nel letto la prima volta, e in sua presenza ho sentito il contatto, il profumo, la bocca le mani e la pelle di un corpo gemello del mio”. Sul mensile gay, dove Busi teneva una rubrica, era apparso l’anno prima il programma di Italiani liberi.

11. Confrontando le due interviste, si desume che la rottura con Busi avvenne attorno al 2002, come già per Parente oltre che per Sgarbi stesso, che il 23 ottobre di quell’anno a Chiambretti c’è insulta Busi, invero provocato. Nella seconda intervista Guerri affronta anche l’argomento droga: “Con L’Indipendente uscivamo il primo aprile [2004] e mi sono inventato uno scherzo. Una lettera di Giuliano Ferrara: ‘Come augurio ti do un piccolo scoop: domani mi dimetto’. Se l’è presa. Giuliano non è spiritoso. Da allora mi chiama pitipiti. Da Pitigrilli, autore che sicuramente non ha letto. Ha mandato avanti il rozzo Marcenaro per denigrare il concorrente. So che hanno dedicato una riunione al problema di come sputtanarmi. Qualcuno ha proposto di dire che sono un maniaco sessuale, che non me ne faccio scappare una, il che è vero. Ma poi hanno deciso di no, perché questo mi avrebbe reso fascinoso, vincente e paraculo. E allora è saltata fuori la coca. La cocaina risale ai tempi in cui facevo la trasmissione in tv, 1995-1997 [Italia mia, benché]. Era la paura della telecamera. Per tutto il mese prima della trasmissione ho avuto un incubo. Si accendeva la lucina rossa ed io dicevo: ‘Buongiorno’ e poi scoppiavo a piangere”. A. Marcenaro su Il Foglio del 2 aprile 2004 aveva salutato l’esordio della concorrenza consigliando alcuni slogan (‘Indipendente, non si perde una pista’, ‘il quotidiano che vi dà la polvere’, ‘il giornale che fiuta e rifiuta’, ‘per una destra ad alta tiratura’) e il cambio di nome in Indipenaso. Nel 2000 era uscita per Bompiani la ristampa di Cocaina di Pitigrilli. Guerri ritorna in argomento su Il Giornale: del 12 ottobre 2005: “Chi ha già tutto cerca il bene più raro e prezioso, impossibile da comprare: sentirsi d’improvviso e ‘gratis’ più intelligenti, euforici, nel giusto, in uno stato che ti alza di un metro sopra i tuoi simili. Rivelo qui qualcosa sul mio libro ancora oggi più venduto e continuamente ristampato: Antistoria degli Italiani [1997] fu studiato e scritto e levigato e reso così eccezionalmente bello e intelligente, proprio nel mio periodo di massimo uso di cocaina. Tant’è che subito dopo mi disintossicai. 
Non ringrazio chi mi fece provare la prima volta (a quarantaquattro anni, a New York [nel 1994])”. Nel luglio 1988 invero l’allora moglie Gaia de Beaumont era stata arrestata per detenzione di stupefacenti.

12. In un’intervista a Babilonia del luglio 2006 si bea dell’aforisma: “Quello è stato il massimo perché lì andavamo a dire non solo che gay è bello ma che se mancano certe esperienze non si è uomini completi”, imputando ad esso la rottura con l’editore I. Bocchino e la conseguente chiusura de L’Indipendente (consigliere del ministro delle comunicazioni Gasparri, manterrà comunque la presidenza della Fondazione Bordoni).

13. P. 47. In solitario ancora: “‘La mamma cacava sul suo bambino, svuotava la pancia sul suo bambino’. ‘Fino a che età me lo hai fatto?’. ‘Fino a un anno, un anno e mezzo circa, quando hai cominciato a non entrare più nel water […]. Mi masturbavo. Godevo. Cacavo e godevo. Ne avevo sempre tanta di due o tre giorni. La trattenevo perché adoravo ricoprirti, vederti annaspare sotto per poter respirare’” (p. 69). E in sintesi: “Non c’era molta differenza tra lavarti, prendermi cura di te, allattarti, vestirti, coccolarti, prepararti la pappa, farti pompini e scoparti con il dito” (p. 80).

14. Ciò non toglie che esercitino in proprio: la mamma possiede collezioni “di code di cagnolini, di membri infantili sotto spirito, di perette di gomma, di clisteri, di vibratori e divaricatori anali e vaginali, di forbici e di coltelli” (p. 61), e una volta di nascosto fa un’iniezione letale al cane di un bambino in spiaggia: “Ci allontaniamo e ci nascondiamo dietro le dune, ho un’erezione pazzesca. La scopo da dietro, con il cuore in gola, tenendo d’occhio la scena” (p. 49). Personalissima infine un’altra preferenza materna: “‘Lasciar uscire l’aria è uno dei piccoli piaceri che mi porto dietro dall’infanzia’. Mani che allargano le natiche prima di spingerne un’altra più forte della precedente che si effonde nell’aria e nelle narici e arriva alla mente come una lancinante madelaine. ‘So farne sia classiche sia silenziose, esercitando il mio sfintere, e la fragranza è sempre definita. Adoro modularla fuori quando un ragazzo o un uomo è impegnato a leccarmi il culo’”(p. 36).

15. P. 95. Che non si tratti di opposti estremismi, mamma l’aveva già detto chiaro: “Quando godo sogno campi di concentramento di donne incinte da sventrare, ed estrarne il bambino cui aprire a sua volta la pancia” (p. 60).

16. P. 118. Più fiacchi in aereo per Tokio: in toilette la masturba e le pulisce il culo con la lingua, dopodiché lei a compenso gli porta un bicchiere di pipì. Già meglio in Tailandia, dove affittano per 100 dollari un neonato cieco: “Il fallo con cui lei sta cercando di penetrarlo è obiettivamente troppo grosso, ‘questo stronzetto è strettissimo’ dice, ma di colpo sorprendentemente riesce a infilarglielo, e allora prende a scoparlo con decisione, sempre più a fondo, senza accontentarsi mai, lo scopa fino a farlo vomitare, vomito e sangue, e fino a che non glielo fa uscire dalla bocca” (p. 81).

17. E chiude: “‘Gridi di bambino gridi di donne gridi di uccelli gridi di fiori gridi di travature e di pietre gridi di mattoni gridi di mobili di letti di seggiole di tendine di pentole di gatti e di carte gridi di odori che si graffiano gridi di fumo che pungono alla gola gridi che cuociono nella caldaia e i gridi della pioggia d’uccelli che inondano il mare…’, così dice il poema spagnolo che ama recitarmi spesso, prima degli istanti finali […]. Io, qui, sono l’ultimo a gridare, i miei muscoli si tendono e si rilasciano sempre fuori dal tempo dell’atto e della sintonia, e comunque di me non si dimentica mai, mamma. Il neonato, in compenso, non si sente più” (dove il poema sono in effetti appunti di P. Picasso scaricati dal web in una traduzione pessima).

 
 
Le prime due puntate qui: http://www.satisfiction.me/domenica-e-sempre-domenica-1/

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