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Karen Powell anteprima. Il fiume dentro noi

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Il romanzo d’esordio della britannica Karen Powell, Il fiume dentro noi (E/O Edizioni), è una storia potente e atavica come il tempo stesso, una narrazione di sangue, amicizie distrutte e segreti pronti a raffiorare. I fiumi non separarono soltanto la terra, spesso le loro acque si frappongono tra la vita e la morte, il silenzio e il dolore, la solitudine e i legami. Nello Yorkshire del nord lo sperduto paesino di Sarome è bagnato da un fiume. Tra le sue onde il giovane Alexander insieme a due amici trova il corpo del suo amico Denny Masters, tenutari altolocati della zona. Alexander è anche il solo erede della ricca famiglia.

Il racconto è affastellato da rilevazioni, segreti, drammi relazionali perennemente tenuti in equilibrio da nuove istanze riguardo la morte di Denny. Domandosi, è stato davvero un incidente? Con una prosa poetica, quasi sublime e allo stesso tempo corroborante, Karen Powell ci accompagna in una storia di giovinezze interrotte, famiglie spezzate, incomprensioni e amori logoranti. Con un’atmosfera lugubre e sensuale non bisogna fare altro che immergersi nel fiume fino a scoprirne i segreti sepolti.

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Cristiano Saccoccia

Danny Masters tornò a casa un pomeriggio agli inizi di agosto. Qualcosa si agitò sotto la superficie dell’acqua, in un punto in cui il fiume finalmente si calmava e poi si apriva in un ampio laghetto, verde bottiglia sotto la volta degli alberi. All’inizio si muoveva lentamente, e un passante incuriosito si sarebbe forse fermato a guardarlo meglio, pensando che fosse l’ombra di un uccello o di un ramo che oscillava sopra il laghetto. Poi si formò un vortice, profondo, crescente, dai contorni confusi, e infine eccolo riemergere scattante come una boa, con l’unico occhio superstite spalancato per lo shock della liberazione. Per un po’ galleggiò indisturbato, con i piedi che toccavano la sponda del fiume, le braccia sollevate sopra la testa come se si stesse godendo il calore dell’estate, dopo il fango, il buio e il freddo penetrante della caverna in cui era rimasto incastrato negli ultimi giorni, con solo creature cieche a tenergli compagnia. Gli insetti ronzavano e correvano sulla superficie dell’acqua con operosità febbrile, avvertendo un’avvisaglia d’autunno perfino in una giornata come quella, al culmine dell’estate.

La pelle di Danny cominciò a scurirsi per via dell’esposizione all’aria. Banchi di pesciolini gli sfrecciavano attorno. Tre figure spuntarono sul sentiero lungo il fiume, dirette verso il villaggio: due giovani, uno biondo e uno bruno, e un po’ più indietro una ragazza di circa diciassette anni, con i capelli chiari e il passo leggero. I due giovani erano immersi in una discussione, e fu la ragazza a vedere per prima il corpo, che si era impigliato in un letto di canne sul bordo del laghetto, proprio sotto il sentiero. Con gli occhi sgranati, guardò un piede, senza scarpe né calzini, dalla pianta cerea e raggrinzita. Un’unghia indebolita e mezza staccata oscillava come una porta sui cardini. Thomas Fairweather, il ragazzo bruno, doveva essersi accorto che lei si era fermata. Smise di parlare e si voltò, seguì con lo sguardo quello della sorella, oltre le rose selvatiche che in quel punto crescevano così scure da sembrare quasi nere. Era un fenomeno legato alla composizione del terreno: nessuno sapeva né si curava di sapere altro. «Oh, Cristo!» esclamò Thomas, e poi si parò davanti alla sorella, frapponendosi tra lei e la riva del fiume. «Non devi guardare, Lennie». Thomas si lanciò un’occhiata intorno, come se fosse alla ricerca di un colpevole nella tranquillità dei boschi che li circondavano. «È meglio se vai a casa». Lennie era immobile, con una mano sulla bocca e la brezza a sfiorarle l’orlo verde del vestito nuovo, che le ondeggiava attorno alle ginocchia. Gli insetti sembravano avere interrotto la propria frenesia. «Torna a casa» ripeté Thomas, con voce ferma adesso, afferrandola e spingendola lungo il sentiero, nella direzione da cui erano arrivati. «Ma non è…?». Le parole le si bloccarono in gola. Aveva ancora gli occhi fissi su quell’ammasso fradicio di stoffa verde, con una scarpa sola. Dove finiva il verde e iniziava l’acqua? «È morto da giorni». Una conferma di ciò che i suoi sensi avevano già capito

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