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Giovanni Gusai anteprima. Come in cielo, così in mare

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Come in cielo, così in mare è il primo romanzo di Giovanni Gusai, uscito per i tipi di SEM Libri.

Una storia radicata nel non detto, nei segreti e nelle verità sporche di nostalgia che si annidano tra i paesi dimenticati di una Sardegna ebbra di storie, un ritorno alla terra di Grazia Deledda, Questo nostos è un viaggio generazionale, padri che fuggono e figli che restano. Antine è soltanto un giovane uomo, ha finito gli studi di architettura ma durante i festeggiamenti della laurea scopre della scomparsa di sua nonna paterna, una donna che non ha mai conosciuto. Perché suo padre lasciò la terra natale, la Sardegna, ben trent’anni fa. Antine dopo il funerale della nonna decide di fermarsi in quelle contrade sconosciute, di abitare la casa dei suoi nonni sardi nel paesino di Locòe. Nel mentre gli abitanti mormorano, le voci ovattate dei segreti infestano la mente di Antine che è alle prese con nuove scoperte da comprendere e la sua umanità da difendere mentre il silenzio avvolge la sua famiglia da decenni. E prendendo in prestito le parole di Gesualdo Bufalino, una storia di “isolitudine”.

Cristiano Saccoccia

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Né per i gas di scarico delle automobili sparate lungo il viale, né per il pallore delle insegne al neon, né per le instancabili acrobazie delle zanzare fameliche. Neppure per il sushi da asporto abbandonato a metà sul tavolo della cucina. Quindi né per la fame né per la nausea. Avesse dovuto affrontare una sola di queste cose, o anche tutte insieme, quella notte Antine Farina avrebbe comunque dormito. I fumi del traffico notturno si sarebbero infiltrati nella sua stanza, le luci fredde avrebbero impedito l’oscurità totale. Forse la solita ansia gli avrebbe portato via qualche ora di sonno. Se quella fosse stata un’altra notte, sarebbe riuscito a sopportare tutto: i rumori le zanzare i neon la puzza la nausea e la fame. Fuori, l’asfalto rigurgitava l’aria bollente assorbita durante il giorno, facendo di Milano un inferno appiccicoso. Un ammasso di aria torrida e unta, cosparsa come un liquido denso su ogni superficie: lenzuola, pelle, cuscino. L’unica strategia da adottare contro l’onnipresenza del caldo nemico era una metodica immobilità. Antine stava dunque steso sul proprio letto, davanti alla finestra spalancata e con il ventilatore acceso puntato addosso, a grondare sudore nell’attesa vana di prendere sonno. Si era coricato molto presto. Conosceva l’afa soffocante delle notti in città, e nei suoi ventotto anni 8 di vita aveva sperimentato diverse tecniche di adattamento: docce fredde, bevande fredde, ventilazione forzata – fredda. Aveva così appreso, suo malgrado, la loro completa inutilità. Il caldo viscido della metropoli lo avvolgeva inesorabile. Avrebbe voluto avere la lucidità per ripetere a se stesso la struttura della discussione. Sudava anche dalle palpebre. Sulle mani, tra le gambe, sotto il collo, tra i capelli. Non pensava ad altro. “Sto sudando e sono fermo. Se mi sposto di un millimetro, sudo ancora di più. Se azzardo il minimo movimento con una minuscola porzione del corpo, peggioro la situazione. Devo stare fermo. A un certo punto prevarrà la stanchezza e dormirò. È solo questione di tempo. Devo stare immobile. Non c’è altro modo. Non devo muovermi. Per nessuna ragione.”

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