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Pippo Russo. Il Bene e il Bisi al Salone Immobile di Torino

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torino (2)L’Armata del Bene prende possesso del Salone. Per la sua ventisettesima edizione la kermesse torinese del libro sceglie di votarsi al tema dei temi, quello attorno al quale intere generazioni di filosofi da accademia o da osteria s’arrovellano dacché l’uomo assunse posizione eretta. E giusto per far capire quanto sul serio sia stata presa la cosa, ecco che è arrivata pure la scelta del paese cui dedicare l’edizione: il Vaticano. E questo è certamente il riflesso d’un tempo italiano contraddistinto dalla presenza di un Papa che “piace a troppi”, e che col suo fare simpaticamente paraculeggiante va a conquistarsi consensi presso ambienti insospettabili. Sicché la buchmesse torinese non poteva non risentirne, mettendo in subordine il buch e esaltando le messe.
Ma non è questa la cosa che qui interessa. A essere davvero degno di menzione è il fatto che gli organizzatori abbiano preso un po’ troppo sul serio questa missione per conto del Bene. Al punto da intestarsi una sorta di crociata non soltanto contro il Male, ma anche contro tutto ciò che vagamente somigli al Lato Oscuro della Forza. Per questo è stato espunto dal programma l’unico appuntamento che potesse mettere un po’ di pepe su una manifestazione altrimenti stracca come al solito e per di più turibolare, intrisa com’è di un neoguelfismo soft. Mi riferisco alla presentazione di Il direttore, romanzo edito da Chiarelettere e scritto da Luigi Bisignani. Uno che solo a sentirlo nominare vi risparmiate l’obolo di 45 centesimi che stavate per versare nella macchinetta del caffè, ché non si sa mai. Per di più, trattasi di un personaggio che qualcosina su Vaticano e dintorni (zona Ior, specificamente) potrebbe anche raccontarla, sviluppando una particolare declinazione di questo connubio fra il concetto di Bene e la Santa Sede. Specie se si tratta di Bene mobile e immobile. Chi meglio di lui avrebbe potuto illustrare qualcosa di veramente sfizioso su ciò?
E invece nisba. La guerra lampo fra il Bene e il Bisi si è conclusa con l’esclusione del libro scritto da quest’ultimo, costruito attorno alla figura immaginaria di un direttore di quotidiano che somiglierebbe un po’ troppo a Ferruccio De Bortoli. Ma dire che a perdere la guerra sia stato proprio Bisi sarebbe cadere in un tragico equivoco. Perché invece Bisi ha stravinto, e lo manda pure a dire. Annuncia che al salone ci sarà comunque, per dibattere di un libro su Giulio Andreotti (caffè doppio…) scritto da Alessandro Iovino. E aggiunge che le polemiche sulla mancata presentazione del libro sono state una pubblicità formidabile di cui hanno beneficiato le vendite. Praticamente ha fatto strike. Era in questo modo che volevano arginarlo? Per combinare dei pateracchi così bisogna essere davvero dei Geni del Bene.
Dunque, dichiarato il no contest fra il Bene e il Bisi resta poco altro in programma. Ci sarebbe Cacciari, ma di lui si sa che il meglio lo dà quando lo chiamano a intervenire in diretta televisiva da uno studio esterno. Allorché, mentre nello studio centrale il dibattito ferve, si vede lui sullo sfondo intento a sbracciarsi, fare le boccacce e mandare tutti affanculo in linguaggio LIS per far capire che dissente. Messo lì in carne e ossa, e per di più a presentare un suo libro, è emozionante quanto un episodio dei Teletubbies. Piuttosto, va segnalato un segmento del programma da cui potrebbero derivare conseguenze spiacevoli: quello denominato Scrittori in carcere. Tra venerdì 9 e domenica 11 maggio otto scrittori si rechereanno presso alcune case circondariali piemontesi a parlare dei loro libri coi detenuti. Domenica 11 maggio i reclusi del Quarto Inferiore di Asti si vedranno infliggere Fabio Volo. Soltanto quattro mesi fa la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo accusò il nostro sistema carcerario di sottoporre i detenuti a “trattamento inumano”. Sono certo che a strettissimo giro di posta arriverà un’altra sobria reprimenda: “Fate più schifo di Pinochet”.
@pippoevai

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