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Zed è morto. Intervista a Paolo Castronuovo

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La poesia non è mai stata portabandiera del mercato editoriale, è risaputo, e oggi purtroppo sembra prossima all’estinzione. “Non cresce più poesia”, come cantavano i Verdena, oppure la scelta della presa di contatto tra parole secondo specifiche leggi di metrica è stata sostituita dall’esigenza delle persone – resa tassativa dalla velocità e dall’abbondanza delle informazioni con cui i fruitori del web devono fare i conti oggigiorno ― di comunicare tramite immagini? Burroughs sosteneva che l’umanità prima o poi sarebbe ritornata ai geroglifici. In effetti, la nascita e la diffusione di Instagram sembrano avvalorare la sua previsione. Nella società dell’apparenza, perché la poesia merita di sopravvivere?

Ciao Roberto, mi accogli con un verso de Il Gulliver una canzone che mi piace molto, e con un autore che mi ha fatto da maestro. Non a caso Pasto Nudo rimane uno dei miei libri preferiti.

Comunque, nulla di più vero, la poesia non cresce più: questo dipende anche dalle manie di protagonismo di molti autori, che – lo ripeto sempre – si sentono arrivati, scrivono poesie su commissioni e per concorsi, non accettano critiche da chi scrive da più tempo, e così non cresceranno mai. Dicono di vivere per poesia, ma non vivono di poesia. Hanno una scrivania nella quale si accovacciano per svolgere un compitino e masturbarsi sui propri versi. Questi autori hanno come ideale la visibilità e non la crescita del proprio essere come fattore personale: studiano un paio di biografie da Wikipedia e si prestano a una mattanza da social. Instagram – tra i tanti – è il luogo più lontano dalla Letteratura. Ecco, la tua domanda è molto intelligente e riesce a incastrarsi ai miei vari concetti e teorie su cosa sia la poesia, e a cosa potrebbe servire nel 2020. A dire il vero, se mi chiedi del perché io continui a chiudermi nella mia stanza e a scrivere dinanzi a uno schermo che la illumina, non ti saprei rispondere. Potrei dirti però, che la mia è una necessità, e non l’urgenza tanto acclamata da critici e prefatori di mutilazioni di immagini (è ciò che fa il prefatore delle raccolte, o il critico di poesia: limita la visione al lettore, limita le sue interpretazioni. O anche l’imita. Se vuoi).

Nessuno saprà mai cosa un poeta vuole dire.

Nessuno credo abbia capito tutt’oggi Leopardi.

La poesia è estremamente personale, sta poi al poeta renderla universale per offrire un’interpretazione al lettore. Un’interpretazione diversa da persona a persona. Ognuno deve leggere la propria verità, perché “il poeta è un fingitore”, diceva Pessoa. Ognuno è padrone della propria verità e del proprio senso.

Le immagini però, sono fondamentali almeno per me. Ho una scrittura automatica, è un flusso che scorre, che è stato assimilato dalla vista o dalla svista di qualcosa o qualcuno: che può essere la donna incontrata al supermercato – che non rivedrai mai più – il dettaglio del corpo di una donna, un suo difetto, una busta che vola nel mercato appena sgombrato, la giostra che cigola di inverno, una cacca sul marciapiede. Tutto sta nel “come dirlo”.

Per i geroglifici, magari stessimo tornando agli egizi! Restano tutt’ora avanti di millenni, ma come ti dicevo, il panorama, o meglio il sottobosco, poetico editoriale è questo. Soliti nomi, soliti versi, solite immagini, poesie oggettivamente brutte che vincono premi. Non a caso non partecipo più a nessun concorso.

Ciò che conta per me è scrivere. Che io rimanga chiuso nel mio eremo e faccia girare i miei libri solo nei primi sei mesi dopo la pubblicazione per poi concentrarmi sui nuovi lavori che spesso non pubblico, poco importa. La scrittura sta nell’atto, non nella pubblicazione. E in quanto alla poesia: “la poesia non deve significare, ma essere” (A. McLeish).

Sei un poeta, editor e al contempo un prosatore, tra l’altro alquanto prolifico. Knut Hamsun, nel suo bellissimo romanzo Per i sentieri dove cresce l’erba, affermò che lo scrittore non è adatto alla composizione poetica, mentre viceversa un poeta, che per definizione presenta molteplici aspetti di forma e fonetica nella sua opera, è in maggior misura idoneo ad abbracciare differenti modalità espressive. Leggendo il tuo ultimo libro, La falla oscura, ho apprezzato l’utilizzo di una prosa poetica atta a tratteggiare la condotta del protagonista, impegolato in una realtà che sembra sospesa, abbandonata nell’antiutopia di un mondo senza luce. Cosa rappresenta per te La falla oscura?

Nulla di più vero. Stai mettendo alla prova il mio essere contraddittorio: l’esempio più lampante lo si può leggere nelle poesie di James Joyce: autore che ammiro da sempre – ho letto Ulisse due volte – per la sua prosa, per le sue sperimentazioni, per i suoi linguaggi, ma in poesia Joyce è imbarazzante. La stessa cosa l’ho trovata traducendo delle poesie inedite di H. P. Lovecraft per un’uscita di una plaquette col mio marchio clandestino Occhionudo. Sono poesie estremamente semplici, retoriche, anche se sono una gran documentazione dell’autore, idem per quanto detto su di Joyce, o per il nostro italiano Moravia. Tre esempi di scrittori che mi piacciono molto, ma che in poesia lasciano molto a desiderare. Non hanno l’occhio del poeta.

Il paragone inverso lo si può fare con Mircea Cartarescu: nasce come poeta, e finisce con essere lo scrittore postmoderno più grande del pianeta. Il poeta ha occhi diversi, non ha quella scrivania di cui ti parlavo prima. Il poeta corre, cammina, è sempre in movimento e ha la penna snella, prolifica.

Per quanto riguarda La Falla Oscura non ho esagerato con la prosa poetica, come feci con un mio vecchio romanzo del 2014, Streghe Ignifughe. Ho usato sì, le mie basi poetiche, ma sono stato più secco e crudo rispetto a quest’ultimo per scelta. La vena pulp, surrealista, e a tratti “fetish” – per come la intendo io – è rimasta. Così come l’eros, ma qui parliamo più che altro di contenuti.

La Falla Oscura invece è la grande metafora del Malessere umano. La depressione di cui ho sempre sofferto e da cui finalmente mi sono spogliato di vergogne e segreti. Ognuno ha un male interno, l’importante è non farne un vanto. L’ostentazione del dolore è patetica e infantile. Bisogna stringere i denti. Restare vivi fuori anche quando si muore dentro. Il corpo deve mantenersi eretto (ride).

Il nome ποησις appare per la prima volta in Erodoto col senso di creazione poetica, e significa per l’appunto “il fare dal nulla”. Secondo Aristotele, l’agire dell’uomo deve essere considerato da due prospettive diverse: quella produttiva e quella pratica. “Come potrei sopportare di essere uomo se l’uomo non fosse anche poeta, solutore di enigmi e redentore della casualità” si chiedeva Nietzsche riguardo la sorte del poeta. Pensi che il futuro della poesia sia intrinsecamente legato al destino dell’umanità? Non credi che quest’ultima, svanito un giorno qualsivoglia appiglio etico, corra il rischio di soccombere alle sollecitazioni del tutto materialistiche indotte dalla pluralità dei consumi?

Tralasciando le origini della Poesia, hai mai visto l’etica in un mondo consumista come il nostro? Io mai. Di etica si parla soltanto, nel campo ambientale, alimentare, faunistico, umano, ma in realtà è crollato tutto. Le torri che ergiamo non le facciamo con le ossa degli avi, o dalla cenere degli insegnamenti – o perché no – dal nulla, ma con microchip e pixel volti a smagnetizzarsi e a spegnersi.

In poche parole: siamo fottuti.

Questo anche per completare la risposta alla prima domanda.

Parlaci dei tuoi poeti e scrittori di riferimento.

Sono sempre stato appassionato di Beat Generation, su tutti, Burroughs e Ginsberg, veri sperimentatori del movimento, molto più del loro padrino Kerouac di cui, per personale gusto salvo solo Sulla Strada, ma non posso esimermi dal dire che è stato uno dei più grandi autori degli anni ’50. Burroughs però ha sperimentato davvero tutto, dalla scrittura e il cut-up alla pittura, alla cinematografia e alla musica. Ginsberg è sicuramente tra i maggiori poeti americani.

Altri miei riferimenti letterari sono Cartarescu e Moresco. Entrambi da lodare perché scrivono su piani temporali diversi come spesso faccio anche io.

Poi ci sono Bréton, Céline, Mansour, Giacinto Spagnoletti, Michele Pierri (sempre oscurato dalla sua retorica moglie Alda Merini che non ha fatto altro che mercificare la sua malattia seppur grave), Andrea Zanzotto, Sanguineti, Amelia Rosselli, e tutti i poeti del Gruppo 63.

Amo quasi tutto ciò che leggo. Ed è così vasto il range che ti dico i primi nomi che mi passano per la testa.

Cosa stai leggendo e cosa stai scrivendo ultimamente?

Ultimamente sto leggendo tutte le poesie di Dario Bellezza, avevo letto solo due raccolte sue, che a quanto pare restano le migliori: Invettive e Licenze e Morte Segreta. Credo sia il miglior poeta che l’Italia abbia mai avuto.

Poi in coda ho Casa di Foglie di Danielewski, Sebald, Tondelli, Bolano… Ognuno legge solo il 40% della propria libreria… Siamo acquirenti compulsivi.

In scrittura sto scrivendo poco: sto curando gli opuscoli di Occhionudo come accennavo, e ho raccolto le mie poesie migliori in un unico scritto. Un lavoraccio, tra scrematura, scelte ed editing. Ho messo in subbuglio oltre trenta raccolte di poesie tra pubblicate e inedite per farne “IL” libro di poesia. L’ho intitolato La Croce Versa.

In prosa invece ho riscritto di sana pianta Streghe Ignifughe, ho rivisto approfonditamente La Falla Oscura, e ho aggiunto un inedito La Grazia dei Cetacei, rendendo il tutto una sorta di romanzo-mondo (o di trilogia) scritto su piani temporali diversi, in un universo totalmente folle, il titolo provvisorio è: La Città del Delirio. Per entrambi troverò un editore che mi soddisfi.

Nel frattempo si edita e si scrive.

Per ora i miei libri disponibili in commercio sono le due sillogi: Labiali (Pietre Vive, 2016) e L’Insonnia dei Corpi (Controluna,208), e il romanzo: La Falla Oscura (Castelvecchi, 2018), il resto è tutto fuori catalogo, ritirato dal commercio e rinnegato. Credo che solo così – rivalutando i propri errori – la poesia e la letteratura possa crescere.

Mai sentirsi arrivati.

Roberto Addeo

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Paolo Castronuovo è poeta, scrittore, editor. In poesia ha pubblicato: Labirinti (Stampalibri, 2009); Filo Spinato (Scorpione, 2010); Ambaradan (Libro d’artista, 2014); Labiali (Pietre Vive, 2016); L’insonnia dei Corpi (Controluna, 2018). In prosa i romanzi: Streghe Ignifughe (Lupo, 2014) e La Falla Oscura (Castelvecchi, 2018). Ha rinnegato e tolto dal commercio i primi libri acerbi. Cura gli opuscoli artigianali di Occhionudo.

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