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Galateo minimo: cosa fare e non fare durante la presentazione di un libro di poesie

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La presentazione di libri è un rito a cui ogni autore, volente o nolente, a meno di non essere Pynchon, deve partecipare. L’inverno è un periodo abbastanza magro per le presentazioni, più o meno quanto Ferragosto, quindi proporre una riflessione su cosa fare e non fare durante le presentazioni dei libri di poesie, potrebbe risultare utile, a quei poeti che intendono portare in giro il libro per stagioni più proficue. Mi occuperò solo dei libri di poesia e solo in contesti di associazioni, enti pubblici e librerie.

Perché la presentazione di un libro avvenga, gli elementi necessari sono tre: autore, pubblico e presentatore. Tutti e tre hanno ruoli differenti, il primo e il secondo giocano da protagonisti e il terzo da regista. Solo che spesso i ruoli si confondono, offrendo uno spettacolo, se non imbarazzante – comico.

Presentatore/presentatrice

Chi presenta un libro riveste un ruolo che ha una totale simmetria con quello del cameriere. Quando al ristorante vi servono da mangiare, i camerieri non si piazzano mezz’ora davanti al tavolo, col piatto in mano, a declinarvi la bontà degli ingredienti, il mix di sapori, la mise en place, un elenco dettagliato di cos’hanno provato assaggiando il piatto, che continuano imperterriti a tenere in mano. Devono essere discreti, coinvolgenti, ospitali. Non siete al ristorante per sentire parlare il cameriere ma per mangiare. Così nelle presentazioni. Ci sono casi, e anche molti, che sfiorano l’assurdo, dove l’autore parla solo gli ultimi cinque minuti, solitamente arreso, e per non creare incidenti diplomatici, ringrazia chi presenta per aver detto tutto, ma proprio tutto, e legge una poesia. La serata finisce: autore sconsolato, presentatore soddisfatto e si spera giunto il momento del rinfresco. Chi è seduto ad ascoltare si chiede perché il presentatore non ha pubblicato quel libro, facendolo fare a qualcun altro (l’autore appunto), se aveva così tante cose da dire al riguardo.

Autore/autrice

Chi è venuto ad ascoltare ha deciso di dedicare quell’ora alla presentazione, invece di fare qualsiasi altra cosa: leggere un libro, tornare a casa, fare la spesa, bere fuori, stare connesso su fb, camminare – qualsiasi altra cosa. Ha donato il suo tempo nella creazione di un rito collettivo basato sull’ascolto, ponendo così il libro e la presenza di chi l’ha scritto, come il fulcro della creazione di una comunità provvisoria. L’autore questo impegno lo deve riconoscere a ognuno, con tutta la cura e il rispetto di cui dispone. Sforzandosi, se necessario, perché quell’ora passi nel modo più piacevole possibile. La misantropia o la timidezza devono essere estromesse per l’apertura, la condivisione, la spoliazione. Le poesie vanno prima preparate e lette molte volte a casa perché l’unica vergogna da provare non è quella gozzaniana di essere un poeta ma di non saper leggere i propri versi, come è impensabile che un musicista non sappia leggere lo spartito che ha composto. Sembra un’ovvietà ma se lo fosse, in più di un’occasione di letture collettive, non mi sarebbe capitato di assistere a metà del pubblico che si alza e se ne va, senza che il poeta, anzi i poeti, in questione, si accorgessero della cosa. Da evitare anche frasi come “adesso provo a leggervi degli inediti”. Al pubblico seduto non resta che pensare che l’autore poteva “provare” a casa. A tale proposito, ho volutamente perimetrato la durata a un’ora. Ritengo una durata che sfori questo limite passibile di denuncia per sequestro di persona. Io eviterei anche i quartetti d’archi se non si lavora in precedenza con la veste musicale e a quel punto, se proprio volete la musica perché sapete la presentazione essere di una noia mortale, evitate proprio di farla o collaborate con un dj. Ancora più dannosa si rivela la presenza di attori tromboni. Non capiscono gli accenti, le basi della metrica, gli enjambements; riescono, in sorta di trance autocelebrativa, a dare l’afflato mitico pure al novenario pascoliano, col vizio di interpretare e non semplicemente di eseguire. Distruggono qualsiasi cosa anteponendo il proprio narcisismo al testo.

Pubblico

Il pubblico è il co-protagonista dell’evento, importante quanto la presenza dell’autore. Difatti non comprendo perché in certe locandine si trova la scritta “sarà presente l’autore”, quando l’unico problema rimane la presenza o meno del pubblico. Se uno dei presenti ha scritto delle poesie, studia lettere, o ha pubblicato per una casa editrice di paese, non significa che per questo, quella persona è diventata automaticamente un collega di Pusterla, Anedda, Buffoni. Personalmente, abolirei il momento finale, dove gira il microfono tra il pubblico per dare spazio alle domande. Si assiste sbigottiti, ogni volta, all’affamato di microfono, che invece di fare una domanda, parte con un monologo di un quarto d’ora, tenendo in ostaggio autore e altri presenti, per sentirsi rispondere: non ho capito la domanda – forse perché non c’era. Personaggi imbarazzanti del genere li conosciamo dalle elementari e non c’è bisogno, in età adulta, di dare ancora spazio a modalità da trolling inconsapevole a questo disagio. Se ci sono delle curiosità impellenti, o qualcosa da chiedere, dopo la presentazione c’è tutto il tempo.

Si scrive per un pubblico che non c’è, diceva Deleuze, ma quando il frutto della propria scrittura, targato col codice ISBN, lo si accompagna per farlo conoscere, qualche accorgimento può fare la differenza tra serata disastrosa e serata riuscita. Affido a chi mi legge altri corollari di questo galateo minimo.

Julian Zhara

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