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Paese che vai

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Mio nonno Costante era fidanzato in quel di Tezze (VI) con la nipote del prete, detta perciò la Preta. La cosa era piuttosto avanti, solo che lei commise un errore: s’informò da un amico di Costante del patrimonio – e ciò bastò a insospettire il nonno, che la saggiò: “Se mi ami davvero, ridammi le gioie che ti donai”. Lei ridette, e restò senza. Se la prese a tal punto che, saputo della nuova fidanza del nonno (Lùssia, una delle quattro sorelle Morte, una più bella dell’altra), appostatasi all’uscita della chiesa, sputò addosso alla rivale, con gran scandalo ecc.

La Preta rimase zitella, a far da perpetua allo zio – ma con aggiornamento del mansionario, ossia diventò “mettiserve”, sensale di cameriere campagnole per facoltosi cittadini.

Alla sua morte, gli eredi trasmisero a Costante le lettere sue di fidanzamento: tra esse però ce n’era un paio “di lavoro”, scritte cioè alla Preta per aggiornamento dalle sue subalterne. Questa, del 13 aprile 1935, di tal Rosinda Culpi, recita così:

Incominciò il calvario, persino delle persone amiche piansero comprendendo la mia situazione. Domenica 24 sera. Il treno parte ed io pensosa cerco mettermi tranquilla, arrivo a Roma S. Anna ore 8 mattina, attesa alla stazione Termini da una cara amica che gentilmente mi offriva la colazione io non accettai per riprendere subito il dignitoso servizio di governante. La carrozza si ferma davanti al palazzo Via del Plebiscito. Bellissimo antichissimo, scendo accompagnata dall’amica. Il portiere e sua moglie chiedono: “è questa la donna del Duca?” Che passo grande! fu chiamata la cameriera una Toscana nevrastenica magrissima, salutai l’amica e come una condannata m’interno nel palazzo vedo una scala maestosa, ma la Toscana mi dice con parlare aspirato, non è questa venga con me. Ed ecco dinanzi a me la scala destinata al personale di servizio buia con delle ragnatelle secolari che avvolgevano la mia snella figurina! era piena di scarafaggi, di tanto in tanto mi fermavo per riprendere fiato, e la donna, su via mi diceva che fa? Ci sarà ancora molto da salire? In mano, teneva due grosse chiavi con tanto di catena ed io pensavo alla mia cella destinata. Chi si abbassa s’inalza. Ed era proprio così, m’inalzavo al solaio per custodire il canile del Gran Ducale. Ad un certo punto a mezza scala le chiavi furono messe in opera, ed ecco aprirsi la porta conducente a corridoi e salire ancora, dove due cucine all’antica rischiarate dalla luce di un luminale e una balconata con ringhiera e spranghe di ferro, come nelle prigioni, mobili vecchi sgangherati forni spiedi a catene e ruote al muro, una cucina economica grande come un salotto con padelle e marmitte di rame a pianta stabile. Vede mi disse la cameriera questa è la cucina dove farà da mangiare. Presa da un istinto di curiosità scopro dei tegami dove famiglie di topi mi saltarono per le vesti, sulle credenze pure un gorgheggìo di topi.

Ed ora quale sarà la mia stanza? Venga con me. Giù e sù per altre scale si apre un’altra porta, e sento la musica di una soneria completa. Robba da impressionare; la porta si chiude e tutto tace come nei castelli magici.

Quanto per arrivare nella mia stanza? Venga su via con me. Si passano salotti da pranzo, gallerie saloni con delle pitture antichissime, e di grande valore, solo che averlo un quadro avrei potuto chiamarmi io pure una signora, file di antenati Giulios, Pius, di tutte le età rimasi estatica per le grandi ricchezze, ancora scale buie, sgangherate più di prima, in quel mentre l’abbaiare dei cani ineggiavano al mio arrivo; stupita e perplessa chiesi se io dovevo passare quel canile. Certo. E su ancora avevo una grande paura ed ecco una gabbia come quelle del giardino Zoologico. Il cancello di ferro si apre e i cani mi saltono addosso; tutta tremante domando un bicchiere d’acqua e una sedia, dopo aver viaggiato tutta la notte, e giorno. Un’altra chiave grossa mi apre la mia stanza, vicina alla gabbia, un letto di ferro, lavandino, sedia, un comò, da dare alle fiamme e un piccolo specchio. Assieme ai cani io dovevo rimanere, quale destino crudele! Pazienza e coraggio: una cosa buona le lenzuola finissime, materasso bianco, cuscini morbidi. Domandai un caffè, un vecchio servo me lo fece avere. Così pure le mie valigie, e la coperta da viaggio, che appena messa all’aria nella terrazza il cane me la fece a pezzi. Ora bella mia l’accompagnerò dal Duca per la presentazione, mi disse e sù, e giù, per le scale. Porte imbottite di cuoio e velluto rosso, doppie serrature. Si bussa. Il Ducale m’attendeva. Un uomo scarno, piccolo, in occhiali, una stanza grande con alcova, tappezzata di elmi, scudisci, teste di cani imbalsamate, quadretti artistici, un letto da campo messa modesta e con molta signorilità. Sono ricevuta molto bene, modi nobilissimi. Senta mi disse, “Lei ha passione dei cani? Io sì, Eccellenza, questo mi fa molto piacere.

Allora il Duca fa chiamare il cane lupo Klaus e Bobi – bellissimo finissimo intelligente e fece un mondo di feste. Pure a me diedero baci, volle sapere il mio nome, a lei li raccomando tanto più di me stesso, sono tanto buoni i paciocconi miei, si affezioneranno anche a lei.

Regime di vita. Sono stati tanto ammalati. “Il mio Bobi era ridotto un eccehomo, ma ora migliora, però alla mattina prima del latte hanno bisogno dell’acqua del tetuccio tiepida, a mezzogiorno l’emostide e Klaus la dinamose. Adalgisa le farà la consegna di tutto ciò che deve servire per i cani. Penserà prima alle mie bestiole e dopo a me. 1 Kilo carne muscolo di I Qualità, a pezzettini, da dividersi nei pasti della giornata, brodo di ossa scelte, 1 mazzo di bietta allesso, riso abrustolito in forno con olio di oliva, filoni di pane soltanto la crosta arrostito, latte 1 litro con acqua e 4 biscotti della salute. Venne il Duca in cucina per insegnarmi come dovevo fare: “Badi, sa di non viziarmeli. Bobi vorrebbe si desse da mangiare in bocca, non faccia alcuna distinzione, perché Klaus è molto intelligente, e potrebbe soffrire”. “Va bene Eccellensa, spero di accontentarlo”.

Mi si conduce in guardaroba per consegnarmi, museruola, catene, spruzzatori, spazzole, pettini e scattole medicinali, pillole vermifughe. La cameriera mi insegna. Dovevo lavargli occhi ogni mattina con acqua speciale, pettinare Bobbi e spassolarli, saper dire come andavano di corpo se densa o liquida. Ma un giorno Bobbi aveva i vermi, e mi si accusò d’avergli dato il latte troppo presto, da formare caciotta. Telefonavo ogni mattina al Dottore per avere l’infermiere e facevo le iniezioni e li portava in casa di cura a fare il bagno. Alla sera, il Duca faceva fare la passeggiata e quando non era assente, il piccolo dormiva con lui ed il grande in anticamera sulla dormeuse con cuscini di velluto. Io dovevo alla mattina dare l’acqua del Tetuccio e poi portarli sulla terrazza e dare al Duca la relazione delle funzioni corporali.

Un giorno il duca portò via a cacciare Bobi, quindi Klaus s’ammalò per l’avvilimento, chiamai d’urgenza il Dottor, e quando al ritorno Sua Eccellensa trovò il cane con chiazze mi disse ch’io non ero capace di governare i cani perché non sapevano spiegarsi, e con dispiacere mi risolsi a lasciare la troppo delicata ed elevata mansione. Più di quello che avevo fatto per le sue bestie non sapevo fare. Mi pagò il viaggio di ritorno in seconda classe e mi trattò largamente.

 Lasciai la casa del Duca.

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