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John Fowles anteprima. L’Albero

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Torna in Italia John Fowles, autore del capolavoro La donna del tenente francese, per Aboca Edizioni col saggio-biografema L’Albero, nella traduzione di Miriam Falconetti. Un delizioso viaggio nella mente e nei sentimenti di un autore di fama globale che con delicatezza sospinge la nostra mente all’interno dei boschi narrativi e reali del nostro pianeta.

John Fowles è un errabondo del significante, si perde in scenari passivi ma che in realtà sono proattivi, le foreste. La staticità del paesaggio sul piano reale va a scontrarsi con la potenza dinamica del mondo metafisico, metaforico e allegorico, il risultato di questo saggio-ibrido (tra memoria personale e trattazione literary) è un pellegrinaggio nel caos verde.

Stupisce l’abilità di brancolare lucidamente in un labirinto di ambientalismo, biologia letteraria e naturalismo introspettivo, una ricerca autentica e personale delle potenze dell’atavica natura, un approfondimento delicato e cristallino in sub-mondi folklorici, emotivi, zen.

Cristiano Saccoccia

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Gran parte della scienza e dell’erudizione del Seicento e del Settecento sembrano stupidaggini obsolete se ragioniamo secondo i dettami della scienza moderna: le digressioni personali, i ragionamenti prolissi, le interpretazioni errate, il continuo mescolare le discipline umanistiche con la scienza vera e propria, citando per esempio Orazio e Virgilio nel mezzo di un trattato sulla selvicoltura. Tuttavia, un presupposto generale, per quanto inconscio, che stava dietro a quasi tutte le teorie scientifiche pre-vittoriane – vale a dire il fatto che queste teorie fossero presentate da un essere umano “intero”, in tutta la sua complessità, a un pubblico di altri esseri umani “interi” – venne liquidato troppo presto come un mero fenomeno storico che, nel migliore dei casi, testimoniava un amabile dilettantismo e, nel peggiore, mera stupidità. E da nessuna delle due alternative avevamo qualcosa da imparare. Non è colpa degli scienziati moderni se, oggi, la gran parte del loro discorso formale è di natura tanto astrusa che soltanto colleghi altrettanto specializzati possono sperare di comprenderlo; non è colpa loro se quel discorso diventa ogni giorno più meccanico e le parole si riducono a rotelle di un ingranaggio, trattate come sostituti di poco conto di altre formule puramente scientifiche; e neppure è direttamente colpa loro se la loro visione della conoscenza empirica – il valore cruciale che danno a qualsiasi fatto comprovato o dimostrabile – è penetrata fino a dominare la visione collettiva della natura – e la nostra educazione a riguardo. Il nostro errore sta nel supporre che la natura intrinsecamente limitata del metodo scientifico corrisponda alla natura della nostra esperienza quotidiana. L’esperienza quotidiana, dal momento del risveglio, un secondo dopo l’altro, è a tutti gli effetti estremamente sintetica (nel senso che è istruita da esperienze combinatorie o costruttive) ed è costituita da una complessità di elementi: ricordi passati e percezioni presenti, tempi e luoghi, storia personale e collettiva, che rendono impossibile, per la scienza, analizzarla. È essenzialmente “selvaggia” nel senso che mio padre odiava tanto: antifilosofica, irrazionale, incontrollabile, incalcolabile. Di fatto, assomiglia molto alla natura selvaggia, nonostante i nostri continui tentativi di trasformarla in un “giardino”, di inventare sistemi sociali e intellettuali per disciplinarla. Quasi tutta la ricchezza della nostra esistenza personale deriva da questa consapevolezza “confusa”, sintetica ed eternamente presente, della realtà sia interiore che esteriore e, ancor di più, dal fatto di sapere che sfugge alla capacità analitica, o distruttiva, della scienza.

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