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Federico Platania. La distanza del cielo

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 «Ma io non sono un intellettuale. Sono uno che una sera era depresso e si è buttato sul divano e ha visto “Finale di partita”. E da quella sera ha creduto di trovare una stella polare, qualcosa da seguire»

A tre anni di distanza dallo splendido Le resurrezioni, a mio parere uno dei romanzi più belli pubblicati in Italia negli ultimi anni, Federico Platania torna in libreria con La distanza del cielo. Si tratta di un testo esile eppure denso, complesso. Platania omaggia e insieme racconta la vita di Samuel Beckett, impastandola con una storia di invenzione. Ha quasi il sapore di una resa dei conti. D’altronde proprio a Beckett l’autore romano ha dedicato un sito internet, attivo dal 2003, che negli anni è diventato un punto di riferimento per tutti gli appassionati e studiosi di Beckett in Italia (www.samuelbeckett.it).

La distanza del cielo si apre nel 2026, nel momento in cui Federico Pacifici entra per la prima volta a Cooldrinagh, la dimora di famiglia in cui Samuel Beckett è nato e ha vissuto i suoi primi anni. L’indomani deve presenziare ad un convegno sullo scrittore irlandese, di cui ricorrono i centoventi anni dalla nascita. Beckett è, per Pacifici, l’ossessione di una vita. Lo ha letto, lo ha studiato, lo ha abitato e ne è stato abitato.

Pacifici è uno scrittore, ha alle spalle due raccolte di racconti pubblicate con piccoli editori e un romanzo pubblicato con Einaudi. Il successo, quello che sperava – e che credeva a portata di mano con il grande editore -, non è mai arrivato. E questo è solo uno dei dolori che si porta dentro, forse il più sopportabile. Gli altri dolori sono qualcosa che a stento si riesce a dire. A soli venticinque anni si è ritrovato padre di una bambina, e la donna da cui l’ha avuta è morta per una rara complicazione durante il parto. Quella bambina, Giulia, è cresciuta e a diciotto anni, durante un viaggio a Parigi, è scomparsa. Sono passati tanti ormai, della ragazza non si è più saputo nulla, le ricerche non hanno portato risultati.

Proprio mentre si trova a Cooldrinagh, però, Pacifici riceve una telefonata che riapre di colpo quel capitolo della sua vita. Ecco quindi che poco a poco, procedendo nella lettura, vengono alla luce i dolori più profondi, si scende nella vita di un uomo spezzato e insieme a lui si cerca una via d’uscita, un ordine che permetta di far pace con i fantasmi.

Forse La distanza del cielo è proprio questo, una storia di fantasmi. Sono fantasmi le donne che attraversano la vita del protagonista: quelle morte o scomparse (Barbara e Giulia), ma anche quella ancora presente (Anna), presente ma comunque perduta. E poi c’è l’altro fantasma, Beckett. Letta prima distrattamente, poi riscoperta quasi per caso, l’opera di Beckett è diventata negli anni una lente attraverso cui il protagonista si guarda. Anzi, ancora meglio, uno specchio. E come uno specchio funziona La distanza del cielo, che alterna continuamente la vita di Pacifici (il passato e il presente) alla ricostruzione della vita di Beckett. Le vicende dell’uno si riflettono in quelle dell’altro, si va così a creare una fitta rete di rimandi, di sovrapposizioni, di corrispondenze tra due vite distanti eppure in qualche modo unite. Quello che ne vien fuori, alla fine, non è un rigoroso compendio della vita di Beckett, ma qualcosa di più affascinante e di difficile raggiungimento: la mappatura dell’immaginario di un personaggio di carta.

Platania mette in scena l’esperienza comune a molti (almeno credo, spero) di trovare casa nell’opera di qualcun altro, un mondo da abitare e in cui sentirsi riconosciuti. Scritto benissimo, con una lingua misurata e senza sbavature, La distanza del cielo è un omaggio, un atto d’amore, ma anche un’intensa e riuscita riflessione sul dolore, sul potere consolatorio dell’arte.

Edoardo Zambelli

Federico Platania, La distanza del cielo. Un atlante beckettiano, Fernandel, 2021, 168 pagine, 13 euro

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