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Giulio Perrone: America non torna più

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In letteratura tutto è già stato detto. Viene quindi da chiedersi se valga ancora la pena scrivere. Azzardo un sì, purché l’argomento trattato trasudi verità e abbia uno stile capace di catturare chi legge tanto da farlo partecipe del sentire dell’autore.

Giulio Perrone ci è riuscito con il suo romanzo autobiografico America non torna più appena edito da HarperCollins Italia.

La stesura di questo libro l’ha ossessionato per anni, come lui stesso ammette, ma si sa, ogni cosa ha il suo momento per succedere e, volerlo cambiare, di certo non ne agevolerebbe la riuscita. Il tempo trascorso dall’idea alla stesura ha reso così giustizia al testo e al rapporto tra l’autore e suo padre. Un tema affrontato da più scrittori con sfumature e motivazioni differenti. Pensiamo a Kafka, McCarthy, Ford, Foer, Collodi, Austen, Dostojesky, Calvino. … «Forse tutto avrebbe potuto essere diverso», si chiedeva, quest’ultimo «se il crepaccio tra me e mio padre non fosse stato così fondo?»

Non è anche questa la domanda che ha assillato a lungo il nostro autore? Lui e suo padre, due generazioni a confronto, due mondi distanti, due intenti contrapposti: quello di un confronto e di un tentativo di avvicinamento da parte del secondo, dettati dall’amore, dalla responsabilità di essere genitore che finisce per essere simile a un controllo troppo protettivo e quello di una fuga, in cerca di libertà e di se stesso, da parte del figlio.

La narrazione inizia con:

“Se tutte le storie che mi ha raccontato mio padre fossero vere, sarei il figlio di Hemingway.

Crederci è dipeso da me. …

Storie lontane a cui il padre si abbandona. Ripercorre la sua gioventù, le amicizie, l’inizio dell’amore per la moglie, sentimento mai mutato nel tempo e gli errori commessi perché non vengano ripetuti dal figlio, lo stesso così distante da lui che fa solo la metà del suo dovere e coltiva passioni inconcludenti.

Giulio arruolato in Marina e fidanzato con Sonia sono due cedimenti al volere del padre entrambi destinati a non durare. Due tentativi per meritarsi la sua approvazione e sentirsene fiero. Ma è il calcio, attraverso la passione per la Roma, l’unico argomento di conversazione e di convergenza.

Degli amici di una volta, tutti con soprannomi che ben li caratterizzano, il padre ricorda episodi dal sapore goliardico, ma di America, di lui, non ama parlare. Di certo il più visionario, quello ‘oltre’, l’imprevedibile, il più intraprendente, il primo a buttarsi nelle avventure, il primo ad andarsene per non tornare più.

Forse il più invidiato.

Un uomo grande e grosso suo padre, consumato da una malattia subdola giorno dopo giorno a soli cinquantasei anni. Finzioni, silenzi e rabbia.

«Un uomo che non aveva mai voluto il sostegno di nessuno. Una roccia.

Ho sentito tutto il suo peso. Ho odiato quel peso, quell’innaturale necessità di occuparmi di lui.

E mi sono fatto schifo.»

In un rapporto complesso, fatto di conflitti, collera, ribellioni, come non sentirsi inadeguato e non provare sensi di colpa.

È il racconto di parole non dette, di gesti non fatti, di dolore addolcito dal tempo, di ricordi di un figlio che ha dato al primogenito il nome del padre, di confessioni non facili rese possibili dal percorso interiore compiuto dall’autore.

È un libro costato fatica, sincerità. A me sembrano già motivi sufficienti per leggerlo.

Carla Magnani

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Giulio Perrone: “America non torna più”, HarperCollins Italia, (pagg. 218 euro 17,00)

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