Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Tundra e Peive. Intervista a Francesca Matteoni

Home / Rubriche / Cronache di un libraio indipendente / Tundra e Peive. Intervista a Francesca Matteoni

Questa settimana vi raccontiamo del libro “Tundra e Peive” di Francesca Matteoni, uscito il 17 febbraio, e che rappresenta la vera grande novità del 2023 in casa nottetempo:  il primo romanzo della collana Terra. Una fiaba contemporanea per adulti in cui la fantasia sembra essere l’unica strada percorribile per meglio comprendere fino in fondo la realtà, e salvarla dalla distruzione.

#

Francesca, insieme ai Lettori dei Diari di bordo ti avevamo lasciato alle atmosfere malinconiche e alle immagini poetiche di radici, crescita e metamorfosi della magnifica raccolta di poesie dal titolo “Ciò che il mondo separa”, pubblicata da marcos y marcos nell’estate del 2021. Ci racconti come è nata l’idea di questo strano romanzo dal titolo “Tundra e Peive” e come sei arrivata, poi, a nottetempo a parlare di vite e luoghi remoti e delle cause dei mali che affliggo la natura, inaugurando una nuova Collana con questo tuo libro?

È stata una lunga genesi. La prima visione risale addirittura al 2005, quando abitavo nel sud di Londra e frequentavo alcuni dei parchi dell’area, uno dei quali è anche il luogo di maggior ispirazione per la storia. C’erano un folletto e alcuni spiriti arborei e, naturalmente, un gatto. Ma non sapevo che ne avrei fatto. Nel 2013, sempre durante la mia vita londinese (anche se ero a nord, questa volta), scrissi la prima stesura. I personaggi c’erano già: ma era tutto ingolfato, involuto, e i mondi del libro faticavano a nascere. La storia ha continuato ad accompagnarmi mentre scrivevo altre cose: poesie, racconti, saggi, che in qualche modo nutrivano anche questo libro. Molte delle riscritture sono dipese dalla preoccupazione di renderlo fruibile, vista la stranezza dei protagonisti, piuttosto inusuali nel panorama italiano, sebbene proprio folletti e creature altre abbiano popolato la scrittura di Anna Maria Ortese, per me fra le più grandi. Poi ne ho riscritto buona parte a Visby, sull’isola di Gotland, durante un soggiorno per scrittori, due mesi prima della pandemia. Ancora una volta l’ho messo da parte. Infine nella primavera del 2022 ero in contatto con nottetempo per un libro assai diverso con nottetempo, un saggio, quando è venuta fuori la presenza di questo testo. Alessandro Gazoia lo ha letto, mi ha proposto la collana terra, ha saputo comprendere le mie difficoltà e ha anche suggerito un titolo più completo (all’inizio il file era salvato solo come Tundra) – il titolo, direi, che indica la forma elettiva dell’amore. All’idea di uscire in terra ero un po’ commossa, perché non è scontato che si associ direttamente la fiaba al discorso ecologico, mentre per me sono inscindibili.

In questo piccolo spazio su Satisfiction ci piace molto soffermarci sulla trama e i personaggi che animano le storie che presentiamo. Talia, Bess, Tundra e Peive sono i protagonisti di questa fantastica avventura nel tempo e nello spazio. Ci vuoi raccontare nel dettaglio qualcosa di più su di loro?

I quattro nominati sono senz’altro quelli che attraversano i maggiori cambiamenti. Ce ne sono altri, meno mutevoli, che li accompagnano. A questa lista vorrei aggiungere un quinto, Testadilepre, autore di poesie, non necessariamente incluse nel libro, che sono l’unico modo che ha per ricordare e trasmettere la sua storia disperata e secolare. Talia è colei che seguiamo fin dall’inizio, banalmente perché non sa chi è davvero. La sua missione è personale e collettiva: solo scoprendo legami affettivi dimenticati, affrontando traumi e accettandoli, potrà fare qualcosa anche per la città e gli alberi. Ha dodici anni, perché dodici, come diceva James Matthew Barrie, l’autore di Peter Pan, è la fine di tutto. E solo quando arriviamo alla fine possiamo iniziare a raccontare. Crescere è il racconto, tradimento, o ritrovamento di qualcosa di prezioso, misterioso, stupefatto e puro (come la crudeltà) che conoscevamo nell’infanzia. Per la storia di Bess mi sono ispirata ad alcune confessioni di streghe nella Scozia del sedicesimo e diciassettesimo secolo: per questo nei suoi ricordi appaiono creature e geografie celtiche. È una donna di mezza età, un’abitatrice di  soglie. Vede cose che altri non vedono, ricorda vite precedenti, e questo è fonte di sapere e di dolore. Appartiene alla stirpe delle Antiche, dove l’antichità è data dalla memoria, capace di spingersi oltre le morti. Tundra e Peive non possono essere disgiunti. Il loro amore è più forte e gioioso di qualsiasi cosa accada. Dico gioioso, perché la gioia non è uno stato raggiunto, ma un modo di scegliere la vita dentro e nonostante tutto. Ho voluto che fossero loro i rappresentanti dell’amore e del coraggio per due motivi: il primo è biografico. Sono la me bambina, la me che cercava folletti e temeva per gli altri animali. La me che ho deciso di difendere sempre. L’altro è più generale e politico, se vogliamo: in una società che annega nel culto della persona, scegliere due tipi talmente marginali da essere percepiti come ridicoli dal senso comune è la mia piccola rivoluzione. Non sappiamo mai, davvero, cosa e chi ci salva. A volte chi salva non porta nessuna spada, nessuna torcia infuocata – magari tiene un vecchio cerino umido e qualche cianfrusaglia inutile come la sua infanzia, nella tasca.

Vieni dalla poesia e hai scritto questa fiaba con una lingua vertiginosamente ritmica che inchioda il lettore alla pagina con tutta una serie di simboli e analogie. Ci porti nell’officina di lavorazione e ci racconti quello che è stato fatto per trovare questa voce unica, capace di farci scoprire cosa vogliono dire le piante, ferite e in rivolta, sul futuro che ci attende?

C’è un nucleo immutato negli anni ed è la storia di Tundra, detta da lui stesso verso la fine della seconda parte. “Non conoscerò altra lingua” è la frase sorgente del libro: mi batteva nella testa. Ed è così. Per me non esiste grande differenza tra la mia produzione poetica e quella narrativa, e infatti forse non ho mai scritto davvero un romanzo, ma dei libri che procedono per mondi e personaggi. Facendolo in poesia, arte poco frequentata dai lettori, si è liberi, mentre nell’idea diffusa la narrativa risponde a esigenze di mercato – quando invece dovrebbe, semmai, sovvertirle. Una delle questioni principali quindi è stato il pensiero di chi avrebbe letto questa lingua, anzi queste lingue. Poi ho smesso di preoccuparmi, perché la prima e unica fedeltà la devo alle storie e alle voci, che in questo caso sono raramente umane e anche quando lo sono, si tratta di un’umanità ibrida, sconvolta, ancestrale. Saranno loro, se io saprò esserne un buon veicolo, a trovarsi lettori in qualsiasi tempo e spazio. Non si possono tradire i personaggi – non sono una scrittrice che inventa storie dal nulla (nessuno lo è) o che pensa la letteratura debba essere edificante, pedagogica e altre sciocchezze simili; sono una che raccoglie le storie che arrivano. Dunque non mi interessava tanto comunicare gli eventi: sono stata più attenta a recepire i toni dei parlanti, rubando una parola alla poetessa Ida Travi e al suo lavoro magnifico con la serie poetica dei Tolki (parlanti, appunto). Mi interessava e mi interessa evocare una foresta e far sentire come forse sente lei; portare nella lingua lo smarrimento di chi si trova brutalmente estraniato dagli affetti; e infine il tentativo di dire l’impossibile, mutando le parole in immagini. Le foglie non frusciano, per esempio, sciamano: e se andate fra gli alberi quando tira un vento forte mi darete ragione. Saprete che hanno una loro vita che le raccoglie e le disperde come uno sciame. Nel confronto con l’altro non pensiamo come un animale, pensiamo animale – perché il contenuto del pensiero è intraducibile. E infine c’è l’importanza dell’oralità, sottolineata di recente in un bell’incontro con Paolo Pecere a Roma. La mia scrittura è una conseguenza del fatto che io racconto storie, inventate o rielaborate dalla tradizione, fin dalla primissima infanzia. Nella narrazione orale non conta giungere a una conclusione, quanto accendere l’interesse usando la voce, le espressioni del viso, i silenzi, trasformando continuamente la storia finché non viene l’alba – immaginaria o reale – e i terrori della notte scompaiono in questo rito del narrare condiviso.

 
Buona Lettura di Tundra e Peive di Francesca Matteoni !
 

Antonello Saiz

Click to listen highlighted text!