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Virginie Despentes, Trilogia della città di Parigi. Vernon Subutex

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L’Ulisse di Joyce e On the road di Kerouak sono i due scritti che idealmente preparano a quest’ultimo libro della Despentes e ne determinano la vera trilogia (Trilogia della città di Parigi, Bompiani, 2019, pp. 960, euro 25).

L’Ulisse di Joyce, incarnato nel Leopold Bloom vero eroe post moderno, prepara a tutti i personaggi che da allora hanno popolato la letteratura (e la vita) con l’unica certezza delle loro incerte precarietà: fragili legami sentimentali, nulla assoluto intorno. Questo cammino prosegue con Sal Paradise, che intraprende un viaggio questa volta non casuale, volontario, attraverso le sorti del quotidiano, con il supporto di dosi massicce di droghe alternative, mai tali però da togliere lucidità e consapevolezza al maratoneta.

Sono autori, Joyce e Kerouak, che osano infrangere la “barriera del suono”, della bella pagina ben scritta, dei buoni sentimenti, dei drammi, dei dolori e della gioia per proiettarci nel mondo reale che Joyce ha antiveduto, Kerouak sperimentato e la Despentes osserva e descrive nel quotidiano.

Parigi come Milano o Buenos Aires, città dove le persone vivono l’incertezza del contemporaneo. Come se una spugna abbia cancellato rapporti di lavoro stabili e continuativi, carriere solide e tranquille, famiglie, padri, figli, marito moglie amante: tutto si dissolve in un quotidiano avvilito dalla ricerca di quella dose che ti può dare l’illusione dell’equilibrio, la certezza di esistere, la felicità. I personaggi descritti dall’autrice sono tutti assolutamente autentici, vicini di casa direi, compagni di merende, come autentiche sono le storie, le vicende, le avventure che si susseguono in queste pagine dove tutto è strettamente correlato pur nell’apparente caos. Il filo conduttore è Vernon Subutex che lungo il cammino ha perso tutto, perché così determina la legge del cambiamento rapido, inarrestabile, che domina le nostre vite. Si adatta alle circostanze, trova via via legami precari che hanno l’unico fine di assicurargli un letto e un tetto, mai disposto però a barattare la sua libertà per questi beni. Così di fuga in fuga approda all’universo dei senza-tetto e, quando gli amici lo ritrovano e vorrebbero ridargli una stanza, una casa, si accorge che il suo universo si è enormemente dilatato e non sopporta più pareti, porte, soffitti. Il mondo è la sua stanza e ci si trova benissimo, con i camperos rossi che un’amica gli regala e gli permettono la falcata da vincitore. Tutti lo cercano, lo assediano perché lui è l’unico depositario del testamento inciso su una cassetta da Alex Bleach, che negli anni ha costruito con lui un legame di amicizia, solidarietà, dipendenza emotiva. Il cantante è un disperato alla ricerca di una verità che gli sfugge, ha successo, piace; piacciono le sue canzoni, o non piacciono – comunque fa titolo -; è amato ma non sa trattenere i legami, si rifugia nella ricerca di onde misteriose che determinerebbero la “convergenza”, un cambiamento nell’esistenza reale, un modo diverso di entrare nelle vibrazioni musicali, raggiungere uno stato di benessere e felicità. In questa ossessione fa uso e abusi di sostanze stupefacenti; ne muore.

Vernon si accorge della sua morte quando non gli arrivano più i quattrini per l’affitto, e di lì inizia la sua “odissea”. Incontra Didoni strafatte, sirene, nausicae; e sempre il prezzo da pagare è la sua libertà. Così Vernon scappa prelevando portatili o orologi con l’intenzione di restituire tutto, perché non è un ladro, vuole soltanto assicurarsi le ventiquattro ore successive.

Ma la notizia che Vernon è depositario di queste cassette e quindi delle verità di Bleach mette in moto una folla indistinta di individui che cercano, ciascuno per uno scopo differente, di ritrovare Subutex. Celeste, Olga Aicha, Selim, Xavier: ognuno con la sua vita da ricomporre e la “striscia” da conquistarsi a fine giornata, per pareggiare i conti. Un universo di ex pornodive – una sceglie di essere uomo e sarà Daniel -, di creature che si chiamano Satana; Jena specialista nell’affondare reputazioni; ma anche il barbone Charlie che vince alla lotteria, diventa ricco e la sua eredità potrebbe arricchire tutti; e la vecchia che nutre i piccioni e ne è seguita… Un momento poetico che l’autrice si affretta a distruggere, è un’illusione: la vecchia finirà all’ospizio – il figlio se ne libera così – e tutti i figli in sequenza tradiranno i disegni dei padri, li deluderanno, li fuggiranno.

Unico trait-d’union il Web.

Come qualcuno aveva definito “picaresco” l’Ulisse così anche questo lunghissimo racconto è picaresco, per i personaggi che ruotano intorno a Vernon e al suo “Viaggio”. Picareschi e drammatici nella crudeltà che li assedia, che li porta a vendicare e a essere puniti per la vendetta inferta, in un girone che si fa infernale e diventa ecatombe dalla quale solo Vernon si salva. Diventando un mito. E nel finale del lunghissimo racconto questo mito influenzerà i cento anni a venire.

A mio parere il racconto della Despentes sul finale perde il contatto con la realtà che lo rendeva incalzante e seducente, pur nella descrizione efferata di individui perversi, di giovani senza interiorità, di vite sballate che si salvano sempre in corner, per la forza misteriosa che comunque anima la vita. Come se cercasse alla fine un senso a tutto questo magma, e alle azioni, ai frammenti di pensieri… ma, come dicevano i latini, desinit in piscem.

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