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Fulvio Ervas anteprima. La giustizia non è una pallottola

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Uno spaventapasseri sporco di sangue in un campo di grano. È il primo “segno” che mette in moto La giustizia non è una pallottola, edito da Marcos y Marcos, un nuovo caso per l’ispettore Stucky, creatura di Fulvio Ervas. Come di consueto, Ervas torna con un’opera in cui la scrittura e il racconto giallo si muovono entrambi a uno stesso, elevatissimo, livello. Questa volta Stucky si destreggia tra la collezione di libri antichi dell’imprenditore Giustinian e, forse, le gesta di un balordo, vicine di casa “intime” e una donna vicina a Giustinian che lesina sulle informazioni: in questa Treviso viene a galla un delitto dimenticato e una richiesta di giustizia. Un appuntamento imperdibile con Stucky. E con Ervas. 

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Sabato 25 giugno

Daij Cyrus, lo zio persiano, pareva un piaccametro impazzito. Correva da un lato all’altro della recinzione della sua proprietà.

Sì, non era male, Stucky lo doveva riconoscere, una casa oltre mura, all’altezza di porta San Tomaso, costruita negli anni Sessanta, linee semplici, infissi di legno e un piccolo scoperto. Il suo unico parente, daij Cyrus, aveva deciso di comperarla dopo trent’anni di affitto nelle stradine del centro.

«Ecco!» disse Cyrus stizzito, indicando un’orma nel bel mezzo dell’aiuola dove svettavano delle piante di pomodoro in fiore.

«Che sarà mai?» tentò di sminuire Stucky.

E lo zio, imbestialito, corse nuovamente verso la recinzione e indicò un punto.

Si vedeva bene la rete schiacciata.

«Il furfante è venuto di qua!» urlò Cyrus.

«Poi si è accesa la luce esterna» continuò «il tizio si è spaventato, ha galoppato nel mio orto, ha calpestato i miei pomodori ed è scappato per di là» e così dicendo Cyrus corse dall’altra parte della recinzione indicando un palo di ferro piegato e rotto alla base.

«Capisco. Vorresti sporgere denuncia?» chiese l’ispettore.

«Ah, no! Ho bisogno del porto d’armi!»

«Cioè?» Stucky era imbarazzato.

«Voglio difendermi!»

«Ci sono io, ci siamo noi, le forze dell’ordine».

«Ah sì? E tu dov’eri stanotte?»

«Dormivo. E tu invece, se ti fossi svegliato e avessi avuto la pistola, saresti uscito per affrontare l’intruso?»

«Certo!»

Stucky lo spinse in casa, chiedendo che gli preparasse una tazza di tè.

«Stammi a sentire» gli disse «per prima cosa tu non sai sparare e, per seconda cosa, quando presenterai alla prefettura la domanda di porto d’armi per difesa personale, chiamerò il signor prefetto e gli dirò di prestare molta attenzione al tuo certificato di idoneità psicofisica, perché inciampi sui tappeti di Shiraz, e per ricucire un orlo ti devi infilare quattro occhiali e un binocolo…»

Lo zio lo ascoltava a bocca aperta mentre accendeva il gas per scaldare l’acqua nel bollitore.

«Inoltre, tra i documenti che dovresti presentare, ci dovrebbe essere una dichiarazione di non trovarti nella condizione ostativa prevista dalla legge…»

«E quale?» balbettò Cyrus.

«Hai mai prestato servizio militare?»

«No. Io non potevo essere al soldo dell’esercito dello scià Reza Pahlavi che stava sconvolgendo il mio paese!»

«Questo ti fa onore. Ma le autorità crederanno che tu fossi un obiettore, e non vi è concesso portare un’arma per uso personale».

«E quindi?»

«Dovrai affrontare l’invasore della tua proprietà a mani nude. Dovrai mostrare minacciosamente i pugni» rincarò Stucky «urlare e, se necessario, colpire».

«Per questo ho bisogno di una pistola!»

«Ma da dove ti viene questa smania?» lo interruppe Stucky.

«Non leggi i giornali? Non vedi quanti, di fronte alla delinquenza, si fanno giustizia da soli e sono addirittura portati in palmo di mano?»

La giustizia non è una pallottola, mormorò Stucky e poi lo ripeté a voce alta, guardando lo zio diritto negli occhi.

Vedeva la paura del vecchio combattente, del nomade, dell’espatriato: anche questa corazzata cedeva alla ruggine dell’esistenza.

Per questo ci voleva una generazione che facesse fronte ai colpi, che non si piegasse.

E lui si sentiva quella generazione.

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