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I GIOVEDÌ DEL RAGAZZO UBICUO. ANITA VANGELISTA: GENITIVI [P]OSSESSIVI.

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A differenza degli altri libretti, questo è un atto d’amore – non di un figlio a una madre o viceversa, ma di due cartiglianesi ai 2800 compaesani, anzi a uno in particolare. Posto famiglia = nucleo di 4 persone, tratterebbesi di 70 famiglie, e qui è la prima anomalia, in quanto le mende  sono molte di più, segnatamente 192: Frighiti Gànbari Gabiari Marchi Batoci Ladaruni Crècola Ciara Pasoti Genari Coti Catossi Pignati Righiti Parensi Poati Biasi Galierani Diavolo Matona Anbrusi Barbeta Iacobe Maiari Sandordi Checuni Mioti Ganbei Tànbara Culpi Coa Carantani Capeoti Iuda Canpanaretti Iudarossato Rua Ciància Camori Popi Pissa Lòdare Paeti Bia Cunicia Fantinati Balba Bareta Casabianca Garòfui Russi Rachea Stichi Oca Montagnari Svìssari Sarlini Pessi Musae Sera Solagna Stivae Trìpoi Toi Guerini Grosta Gadui Caroini Bertoni Noni Bas-cianei Lasta Marcuni Marabei Fàvari Fornari Toresini Stichibosa Rubini Gabana Fòrcola Furlani Saràntola Fagani Meti Moche Masi Pasturi Saiva Socolari Postini Vetore Tòtane Sabora Bursi Cenci Iaconsei Madrini Este Minei Broti Berti Bosa Capeani Brachi Casari Brontoloni Loli Ice Canpanari Iaruni Ieghi Latari Massochini Segàla Setini Morte Gai Secatoni Rubiati Piaji Rodoni Maròstega Simoni Lunghi Guera Fagnani Àscoi Buli Bàgari Bas-ciani Boci Buini Cioi Fujini Matiea Bisotini Redi Rudi Sbosi Rana Sentomes-cieri Os-cia Jobe Gness Leca Peruti Munareti Moretini Patate Signuri Boe Gusea Cucaroli Canpagnari Càbala Bessegati Canaia Fortunati Forneti Caregheta Bìgari Càpui Làdari Parochia Padoani Anbroseti Masini Bracheti Poàn Rula Baji Chichee Bali Cantuni Griji Turù Tre Tona To Scalsa Sichiji Tomasi Gardii Fornarete Ferassi Frisoni Basili Bissoti Rossati Squarcia Ciricì. Una microanomalia siamo noi, che essendo Bursi coincidiamo col cognome (Anita invero viene dai Morte), mentre la meganomalia è lui, Toni Rana, scapolo solitario della gens († 2011). Da quando fu privato del patentino e conseguentemente del motorino, aveva ridotto il raggio delle uscite, lo s’incrociava solo nelle osterie del centro, dove dava evidenti segni di peggioramento: passato dal vino al superalcolico, non dismetteva il pastrano neanche d’estate (i denti sì, man mano tutti), l’usuale risata isterica di quando accennavamo al sesso virava sempre più in mugugno, squarciato ultimamente da repentini lai più congestione facciale. La vera novità fu però che si dette alla scultura: dalle cataste di legna che gli ingombravano il cortile (doveva scavalcare per raggiungere la catapecchia senza più tetto) cominciò a sfilare qualche tronco che poi rimirava giorni, finché lo attaccava furente con la motosega, per infine finirlo a colpi di coltello. Il tema unico e sovrano era: uccelli; lo stile, inconfondibile: iperrealismo a grandezza naturale. Via via che li faceva, se li infilava in tasca e li esibiva in osteria, accompagnandoli col verso peculiare; poi a casa li gettava in una rudimentale voliera, un tino ammuffito mancante di parecchie doghe (lo scoprimmo post mortem quando io e mio cugino andammo a prelevarli onde allestire in villa una mostriciattola in memoriam). Un giorno giunse a tasche vuote, agitatissimo: aveva individuato dei volatili strani, anzi mostruosi, dall’ala più lunga del corpo intero. Erano gabbiani, gli spiegammo che risalivano il Brenta a caccia di rifiuti, si calmò un poco, ma da lì in poi di uccelli lignei neanche l’ombra. Accettò invece il consiglio di misurarsi sulla villa usando una delle porte sue, che restavano aperte estate inverno. Passò giorni en plein air davanti alla facciata, senza aprire il coltello. Passando di lì una volta, gli chiesi come mai: non riusciva a contare bene i coppi (i coppi, mica le colonne)… L’immagine del libretto è una foto del pannello scattata da mio cugino; quanto al bitesto, mia madre ci ha messo la sostanza, io i genitivali accidenti.

Le abat-jour di Cartigliano (prov. di VI) hanno di base colonnine di marmo di Verona di 90 cm. di h. e 15 cm. di Ø max. Erano di un parapetto di una villa di campagna di un allievo del Palladio di proprietà di signorotti di Venezia. In tempo di guerra, anzi di ricostruzione, i vari rappresentanti di famiglia le hanno abbattute di notte, traslate di nascosto e piazzate di lì a poco nei tinelli di casa. Di ciascuna di esse si può dire di sicuro che è di Tizio o di Caio, per un fatto non di proprietà ma di accessori (diversissimi di forma, di telaio, di rivestimento). I tinelli di Cartigliano sono di tanti stili (la zona pullula di fabbriche di mobili), ma di riffa o di raffa le colonnine di marmo stanno di un bene!

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La villa di Cartigliano è rimasta in stato di abbandono per un periodo di più di trent’anni, finché l’amministrazione di centro-destra ha deciso di restaurarla usufruendo di finanziamenti di più enti di stato. Per problemi di riscaldamento hanno messo gli infissi di alluminio alle finestre di sopra, e per problemi di marocchini hanno murato di brutto le porte di sotto, fuorché una di entrata (e/o di uscita). Le colonnine sono nuove di zecca, di travertino. Gli abitanti di Cartigliano sono contenti di tutto ciò (nonché di essersi tolti di dosso quel filo di senso di colpa). Solo di due tre si dice che di sfuggita insinuino trattarsi di uno dei tanti esempi di una vita di merda.

Gli altri giovedì sono qui.
 

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