Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

I giovedì del ragazzo ubicuo. Melina Mulas. Bön.

Home / SatisFacta / I giovedì del ragazzo ubicuo. Melina Mulas. Bön.

MM è l’unico autore del ragazzo ubicuo con cui abbia intrattenuto un rapporto strettamente professionale. Già da come iniziò, si poteva intuirne l’esito. Inurbato a Milano, a fine anni 70 avevo trovato il mio habitat naturale al bar Erica di fronte al Carducci: verso sera, verso ogni sera, stanco dell’università mi appollaiavo sul calcetto e via, infiniti tornei (ogni partita in palio una bottiglietta monouso di millantato cartizze) che vincevo a man bassa perché il compagno Pippo con cui formavo il mitico team Brazil giocava come me indifferentemente in difesa e in attacco. Sarà stata l’ebbrezza delle vittorie o quella del cartizze, alla fine ero sempre su di giri, e fu in uno stato simile di grazia che una sera adocchiai sugli spalti una spettatrice, la spettatrice, lei. Abitava in un abbaino cinese di via Giusti, la prima volta che andai a trovarla c’era la coda o cumpa che dir si voglia: tutti e solo maschi, tra cui un paio di balilla umiliati all’Erica con conseguente voglia di rivincita. Fortuna che di là la coinquilina fece segno di entrare: era china su La crisi delle scienze europee di Husserl, l’altra le aveva detto che insegnavo filosofia, in un attimo ci trovammo gomito a gomito a compulsare… Ricordo come fosse adesso: tutta in nero, una specie di tutù per niente anoressico su cui roteava nonchalant uno scialletto giust’appena il tutù si rivolgeva onomatopeicamente a me… così a crisi si aggiunse crisi, arginavo malamente con brevi smozzichi tedeschi e nervose sottolineature a penna, ma intanto sentivo venir su le paste della cresima (equivalente altovicentino della madeleine proustiana: quando al ginnasio la Giovanna mi accoglieva nell’appartamento della zia sorda per fare i compiti sì, in vestaglietta sintetica…). A farla breve: dopo reiterate visite biuso, MM passò brillantemente l’esame e Giulia divenne mia fidanza. Quando parecchio dopo si trattò di sposarsi, fu giocoforza designare lei fotografa ufficiale; siccome però pensammo bene di sposarci due volte, una venerdì a Palazzo Reale (officiante Fabio Treves) e una sabato in Villa Pinocchio (rustico di un mio cugino scioperato, artista della fola), MM pensò altrettanto bene di saltare il palazzo e di presentarsi in villa in veste di filmaker. Sommersa dai paesani che la trascinarono in cantina, riemerse mezza brilla per rituffarsi giù di nuovo, ciò ripetute volte con videocamera sempre a tracolla – epperò sempre su REC! La cassetta, che conserviamo ancora, è un’aberrante rassegna di scalini, ghiaini, punte/tacchi, mozziconi (il sonoro una specie di gramelot mediorientale, ogni tanto interrotto da botti sinistri per quanto artificiali). Passarono gli anni, più che altro si vedevano loro due (certe cene vegetariane di sole donne…), finché una sera mi chiamò d’urgenza: riordinando l’archivio del padre  aveva scoperto diversi rullini di Venezia, e chiedeva consiglio su che farne. Poareta, veneto e venessian per lei pari son, ma io come ogni animal rationale d’entroterra sono allergico all’acqua stagna: sì le foto erano belle anzi bellissime da non sembrare vere, certo, un libro anzi un librone, prefazione di chi? Buttai lì per scherzo Cacciari – contrazione maxillofacciale; poi sul serio Woody Allen – s’illuminò.  Risolta la pratica, il tempo divenne prateria: era da poco uscita una raccolta sua di primi piani, The Lamas of Tibet; sfogliando narrava narrava, di come le era venuto il trip, di quando il dalai lama la chiamò indietro per un ultimo scatto quello giusto perché sbucò il sole; mi mostrò il lama più giovane, un bambino, il lama bön, quello evitato dalle altre scuole… il lama nero, feci in analogia alla pecora i.e. me… In ex-gelateria avevamo appena sfornato il primo libretto, così mentre narrava mi scattò l’idea di farne uno imperniato sul Nostro, e sapendola sin dal primo incontro allergica alla penna, mi misi in ferma ad annusar la preda – che so, un’impressione di viaggio, una pillola di saggezza, anche gossip tibetano. Ma il monologo intanto era virato su verifiche, le foto filosofiche di Ugo scattate quando già sapeva del tumore. Accomiatandoci infine, le chiesi a bruciapelo se era disposta a stampare 44 copie del lama bön da accoppiare alla trascrizione mia di due pezzi suoi monologici: si reilluminò. Un mese dopo tornai con i libretti già cuciti: lei lesse; sorrise; professionale incollò.

.

IL CIELO

Quando rientravo da scuola facevo piano. Mangiavo qualcosa senza accendere la luce. Sentivo mio padre a letto che studiava. O pensava. O restava assopito a causa delle medicine. Un giorno sbucò fuori in vestaglia e disse: andiamo a fotografare il cielo. Siamo saliti su per una scaletta ripida che porta a una specie di altana condominiale. Non ci andava nessuno. Mi tirava per mano. Su ha puntato la macchina verso il cielo. Un cielo tutto vuoto senza nuvole. Mi sembrava la cosa più naturale.

.

#

.

IL FAX

Il Dalai Lama aveva detto: ora devi fare qualcosa di storico. Intendeva: fotografare tutte le gerarchie lama. Cinque scuole più le sottoscuole sparse per il mondo. Più la scuola bön da sempre ai limiti dell’ortodossia. Gli indirizzi erano vaghi: una città, un hotel, o il solo stato. Ho saputo dai seguaci che a Dharamsala si sarebbe svolto un raduno di Lama. Ho chiesto via fax se potevo andarci. Nessuna risposta. Allora ho riprovato. Niente. Tre giorni prima del raduno ho provato per l’ultima volta. È giunto un fax completamente bianco. La mattina dopo sono partita.

Gli altri giovedì sono qui

Click to listen highlighted text!