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Ruska Jorjoliani. Tre vivi, tre morti

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“Se loro moriranno tutti, anche io morirò, papà. E’ una fatica inutile dirtelo, lo so, come scrivere al vento. Ma tu sarai sempre mio papà, dovessimo un giorno addormentarci e al risveglio non ricordarci più di essere mai stati padre e figlio”.

 

Tre vivi, tre mortiGuerino Santoni, uno dei protagonisti del secondo romanzo dell’autrice georgiana Ruska Jorjoliani dal titolo Tre vivi, tre morti (Voland, 2020, pagg. 200, euro 16), si trova a combattere agli inizi degli anni Quaranta nella steppa russa. Sopravvissuto miracolosamente all’assideramento, una volta rientrato in patria non tarderà a giurare fedeltà alla Repubblica sociale scatenando la collera del padre che attraverserà mezza Italia per manifestargli tutta la propria delusione. Gli alleati sono ormai alle porte di Roma.

Il padre, a suo tempo giovane ufficiale, ha combattuto al fronte contro i tedeschi e una volta fatto ritorno alle sue montagne abruzzesi, aveva deciso di lasciarsi il passato alle spalle, vendendo la casa padronale e confinando tutto il mondo con i suoi simili ad abitarlo fuori dalla propria vita da ricostruire. Aveva scelto un torrente che facesse da spartiacque tra un di là e un di qua, quest’ultimo fatto semplicemente di un terreno, una moglie, un cane e un figlio, Guerino appunto, che sarebbe arrivato di lì a poco. E proprio per quel figlio, Guerino, nato a gennaio con il torrente coperto di neve che non si riusciva ad attraversare, si sarebbe visto costretto a chiedere aiuto ai suoi simili, per farlo nascere, infrangendo la promessa fatta a se stesso.

Ma questo romanzo non è solo la storia di Guerino e del rapporto con suo padre, è una grande storia collettiva attraversata da echi funesti, di guerra e non solo. Tutti i personaggi di Tre vivi, tre morti – che custodisce un richiamo a un tema caro all’iconografia medievale “l’incontro dei tre vivi con i tre morti” in cui appare chiaro il riferimento alla caducità della vita – si inseriscono in un fitto intreccio narrativo come fossero posti sulla circonferenza di un cerchio “aiutandosi” costantemente lungo il loro giro di vite, perché se uno solo uscisse dall’ingranaggio, il meccanismo del cerchio, della ruota che gira, si incepperebbe.

L’impianto del libro non si presenta lineare da un punto di vista temporale. La guerra arriva dopo nella narrazione, ma il conflitto è presente già da prima, nei silenzi che i protagonisti sono costretti a osservare per proteggere i loro segreti, rivelati i quali non potrebbero più avanzare nel loro ineluttabile incedere. “È da pivelli farsi suggestionare così dalla morte” – dice a un certo punto Nelson, lo zio spavaldo e fascista che Guerino, quattro anni d’età al tempo in cui la frase viene pronunciata, chiama Nesso.

Qual è il collegamento, il nesso con gli altri protagonisti della storia, specie quelli con cui si apre il romanzo cioè Modesto Pacini e sua moglie Aurora, insegnanti nella Firenze degli anni Cinquanta? I due si sono conosciuti in un giorno storico, quello in cui Aurora insieme a tante altre donne ha potuto votare per la prima volta. Le loro vite da sposati procedono con ritmi scanditi da appuntamenti fissi: cinema il lunedì, battute al vetriolo, amanti. Un giorno la loro routine viene sconvolta da una lettera che fa riferimento a un “fattaccio” riguardante Modesto e il suo passato. Da quel momento tutto cambia.

Il rumore del contenuto della lettera è assordante come gli spari in battaglia. Modesto se la rigira tra le mani, ne legge il contenuto anonimo, battuto a macchina, in chiusura c’è un insulto, “quella specie di sintesi ultima che gli vorticò per un po’ nella testa, poi pian piano si acquietò”. Non si acquieta mai al contrario l’imprevisto, in questo libro straordinario scritto con un linguaggio forbito ed elegante, denso di sviluppi inaspettati, dove non si comprende fino alla fine il (non) luogo in cui l’autrice porterà il lettore, sfidandone la volontà di comprensione.

Spostandosi sul cerchio dove gli stessi personaggi si muovono, scoprirà nelle ultime pagine il sottile intreccio che unisce tutti all’interno di una storia familiare dai tratti noir che si snoda lungo vari scenari geografici e custodisce rimandi di una storia collettiva fatta di battaglie, fronti contrapposti, imboscate e dove combattere per la propria sopravvivenza è forse l’unica strada percorribile.

“Ho visto uccidere una scimmia e ho visto uccidere dei giovani innocenti. A che pro fingere? Dalla prospettiva del dramma, non vi ho trovato nessuna differenza. Tutti muoiono allo stesso modo: implorano una deroga.”

 

Recensione al libro Tre vivi, tre morti di Ruska Jorjoliani , Voland, 2020, pagg. 200, euro 16.

L’autrice Ruska Jorjoliani è nata in Georgia ma dal 2007 vive a Palermo. Inizia a scrivere dieci anni fa, in italiano. Nel 2009 vince il premio MondelloGiovani SMS Poesia con un componimento dedicato a Dino Campana. Nel 2015 esordisce con La tua presenza è come una città (Corrimano Edizioni) di cui nel luglio 2018 è uscita la traduzione tedesca. Tre vivi, tre morti è il suo secondo romanzo.

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