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Anteprima. Marco Franzoso. Le parole lo sanno

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Marco Franzoso, autore di storie legate all’infanzia e di romanzi tra cui Il bambino indaco – da cui è stato realizzato il film Hungry Hearts – e L’innocente, vincitore del Premio Mondello Giovani 2019, torna in libreria a partire da oggi con Le parole lo sanno, edito da Mondadori che ha concesso a Satisfiction un estratto in esclusiva.

Si tratta della storia di Alberto e Flavia che si incontrano, per quella sincronicità di eventi che siamo soliti chiamare destino, sulla panchina di un parco tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, quando la natura si risveglia mostrandosi in tutta la sua sfolgorante bellezza. Alberto si trova lì quel giorno perché ha appena appreso la notizia di avere un male incurabile. Dopo essersi procurato un bastone da cieco e degli occhiali, decide di andarsi a rifugiare in un luogo “lontano, dove mi sentivo a casa”, come a volersi congedare dalla vita in quella che per lui è una dimensione protetta, distante dalla nuova realtà che gli è piombata addosso. Flavia è lì a passeggio con il figlio di pochi mesi nella carrozzina e, caduto il bastone da cieco di Alberto, si avvicina per raccoglierlo, poi gli si siede accanto per leggere un libro. I due iniziano a parlare e giorno dopo giorno, come per un appuntamento fisso, implicito, continueranno a ritrovarsi al parco, in quell’esatto punto: seduti sulla “seconda panchina a destra, di fronte al fiume e agli alberi”. Per parlare, dentro a quel tempo immobile che sarà anche il loro tempo per ricordare. Tra i due nascerà dapprima un’amicizia che li porterà a confidarsi sulle loro vite in maniera imprevista e imprevedibile, poi un sentimento più forte, fino al giorno in cui Alberto commetterà un gesto estremo per salvare Flavia. Ma non saprà mai se quel gesto l’avrà liberata o avrà segnato la sua condanna all’infelicità perché lei non tornerà più alla loro panchina. Alberto non potrà far altro che scrivere un diario in cui racconterà quanto successo, con tutte le sfumature che la verità comporta a seconda del punto di chi “guarda” alle cose.

Le parole lo sanno è un libro con uno straordinario ritmo narrativo che disegna un’ onda capace di mostrare ora una narrazione calma e intensa, ora la velocità incalzante di un romanzo d’azione. E’ un libro che lascia soprattutto al lettore il tempo per interrogarsi, per osservare il mondo che scorre apparentemente uguale a se stesso ma sempre diverso nel rinnovarsi delle stagioni, della vita, dei piccoli gesti improvvisi che mutano dando nuovo slancio alle cose.

Be’, se la parola destino non vi piace, trovate voi il termine più adatto, non sono certo le parole a rendere importante la vita, casomai sono le conseguenze delle parole, ma su quelle non deteniamo alcun potere. Possiamo solo stare a guardare e attendere.”

Silvia Castellani

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Di seguito l’estratto.

Ti ho preso io la mano.

«Chiudi gli occhi. Ora fidati di me. Chiudili, Flavia. È importante.»

Hai chiuso gli occhi, e io ho appoggiato la tua mano alla tua guancia, come avevi fatto tu prima con me. Una carezza a te stessa. Volevo forse spronarti a volerti bene, ad amarti per ciò che sei.

«Ora dimmi tu cosa vedi.»Non hai risposto.Ho chiuso gli occhi anch’io. Non sentivo più rumori intorno a noi, non le grida dei bambini che giocavano sull’erba alla nostra destra, non le foglie sopra di noi, non gli uccelli. Solo il fruscio delle dita sulla guancia.

Ecco. Ora eravamo due perfetti vedenti, entrambi con gli occhi chiusi. «Non aprirli, e dimmi cosa vedi.»

Io vedevo noi due nella mia camera, distesi a letto, abbracciati. Ho immaginato di stringerti, come fosse la cosa più naturale, e che ci baciavamo.

Tu non hai risposto. Hai iniziato a piangere, ho sentito le tue lacrime bagnarmi le dita.

«Devi imparare a vedere. Ma stai tranquilla. Piangi pure, io sono qui a proteggere il tuo pianto. Non preoccuparti, io ci sono. Troveremo una soluzione, non sei più sola. Di questo stai sicura.»

Ho spostato la tua mano sul mio viso. Ti ho fatto sfiorare le orecchie, poi la fronte, come avevi fatto tu prima. Non so dove trovavo la forza, avevo sempre avuto un grande pudore, eppure adesso risultava tutto facile e naturale.

Ho infilato le tue dita sotto gli occhiali e le ho appoggiate ai miei occhi. Le ho tenute lì. Erano calde, ho gustato quei pochi istanti di immobilità. Sono stati gli istanti perfetti di tutta una vita.

«Dimmi cosa hai visto. Non pensare alle lacrime, parla. Pensa se riuscissi a vedere così anche la tua vita. È l’unico modo per affrontarla e uscire dalla tua situazione.»

Hai sospirato. Ora sembravi inquieta. Infelice, insicura. Indebolita da una malattia che stava per esplodere.

«Non ho visto niente» hai detto. «Mi dispiace. Io non vedo più niente, Alberto. Sono diventata cieca. Io non voglio più vedere, devo imparare a non vedere più nulla, a crearmi un mondo solo mio. Devo scomparire. Devo annullarmi e imparare a non sentire. Io devo trasformarmi nell’unico colore che non si vede, quello trasparente, o quello bianco come dicevi tu. Voglio diventare una pellicola impercettibile che si fa attraversare dalle cose e dalla luce. Inconsistente come l’aria quando è attraversata da un pugno, o da uno schiaffo. Voglio riuscire a non opporre resistenza quando vengo colpita. Io non voglio avere più alcuna mia idea personale, ma tutte le idee degli altri. Voglio perdere la voce per parlare con la voce degli altri, voglio che il mio respiro sia l’ultimo soffio del vento che si è insinuato nei miei polmoni. Ascoltare il vento allo stesso modo in cui sento l’acqua scorrermi sulla pelle delle mani mentre mi lavo. Io non devo esistere più.»

Ti ho preso la mano. Ne ho disteso le dita con un leggero massaggio. L’ho aperta a ventaglio. Ho sfiorato il palmo e poi il dorso.

«Non parlare così.»

Ho guidato la tua mano aperta ad accarezzarti. La tua mano nella mia mano, sul tuo viso.

«Non aprire gli occhi e non parlare. Ascolta il rumore del tuo respiro e senti la tua mano contro di te. Tu non stai ancora vedendo con gli altri occhi. Sforzati di uscire dalla prigione. Devi solo imparare a vedere, Flavia.»

«Io non vedo niente» hai ripetuto, respiravi intensamente, ti sei agitata. «Io sto male, io non riesco, non riesco, devi capirlo, io non ce la faccio più. Io non so dove sono finita e non so più nemmeno chi sono. L’altro ieri Elia mi ha picchiata, è stato violento come non mai. Forse sente che sta succedendo qualcosa… Che qualcosa sta cambiando… Alle volte mi sembra che percepisca tutto, che mi legga dentro…»

Mi hai preso la mano. «Senti qui» hai detto con la voce rotta. Mi hai fatto sfiorare la pelle dietro l’orecchio, una tumefazione correva lungo il collo, un addensamento più caldo. Non l’avevo visto, ora lo sentivo.

«Ho avuto paura. Io ho paura e non ce la faccio più. Dovrei avere tutto chiaro in testa, me ne dovrei solo andare, lo so, scappare, dovrei mettere in salvo me e il mio bambino, ma non trovo la forza. C’è qualcosa che mi tiene dove sono e anche mentre tutto si sgretola io devo rimanere lì. Non so cosa sia, io non capisco, forse è solo terrore… Ti prego sono spaventata. Ho anche pensato di andare dalla Polizia, ma non so cosa possa succedere, si sa come finiscono queste cose. Non credo che servirebbe, anzi. Lui potrebbe intuire qualcosa e a quel punto sarebbe finita. Non so cosa fare.»

Ho posato una mano sulla tua. «Fermati. Pensa solo a te, ora.» Non sapevo cosa altro dirti, avevo bisogno di capire anch’io.

Ho ripreso. «Ora devo pensare, ma ti assicuro che una soluzione la troviamo. Tu però ora devi sforzarti di resistere e non mollare. Dammi solo un po’ di tempo.»

«Grazie» hai detto, «avevo bisogno di queste parole. Mi bastava questo.»

© Mondadori, 2020

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