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Arturo Belluardo. Ballata per la sirena

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«Portami al mare. Riportami al mio mare», l’ultimo desiderio di una madre. Il suo corpo rigido e immobile sotto i neon inquisitori della cella frigorifera. I muscoli contratti in uno spasmo da rigor mortis, le labbra che a malapena riescono a muoversi per scandire quell’ultimo, imprescindibile, desiderio: tornare a casa, assieme alla sua coda, la sua preziosissima coda.

Sì, perché questa donna, la madre dell’avvocato, questa “dura madre” generatrice di vita e visioni, non è solo una semplice madre (esistono madri semplici in letteratura?), no, lei, figura camaleontica e metafisica, compagna di vita e ossessioni, unica e mutevole, in punto di morte s’è scoperto essere anche una sirena.

L’avvocato è riluttante alla richiesta, non vorrebbe, cerca di opporsi in ogni modo. Tornare all’inizio, alla propria terra d’origine, sia mai! Perché tornare indietro, si sa, è un’odissea che porta solo sventure ma ormai è tardi e il gelo scende nella camera mortuaria, su quell’involucro di carne esausta e squame sconosciute che se ne sta fermo lì, immobile, senza nemmeno la forza di volgere un ultimo sguardo al figlio ormai consapevole che il tempo delle indecisioni deve lasciar spazio al tempo delle promesse.

Mai fare una promessa a tua madre. Si finisce malissimo, si rischia la vita.”

L’avvocato già lo sa. Quell’avventura sarà qualcosa di sconvolgente. Un’epopea senza bussola, tra confessioni, vergogne, sofferenze, pulsioni e fame di corpi nuovi, «il martirio che dovrebbe patire ogni figlio», glielo disse proprio lei, quel giorno, dopo aver inchiodato la Panda in mezzo al traffico: «Sono felice che tu soffri. È bene che voi uomini impariate cosa vuol dire soffrire». “Dura madre” e “pia madre”, lei che avvolge e protegge con la sua pelle di squame iridescenti. Lei, che combatte con la piccola falce e con la grande falce. Madre, sempre, anche da morta. Madre, archetipo assoluto di ogni esistenza.

Di viaggio, mitologie e trasformazioni sono colme le pagine di Ballata per la sirena, romanzo bizzarro e psichedelico che mi ha accompagnato e piacevolmente stordito durante le giornate più afose di quest’estate. Paragrafi dalla prosa intrisa di riverberi, i cui colori si spandono e dilatano alla luce del sole come gli arcobaleni generati dai riflessi di una coda indomabile. Un’appendice selvaggia che sguazza tra le pulsioni insaziabili di una carne incestuosa in preda a un desiderio che non trova pace nella scienza e nemmeno nei continui riferimenti religiosi di cui il testo è zeppo, dimostrando quanto Arturo Belluardo sia un autore dalla penna erudita, gusti raffinati e un senso dell’umorismo che non tradisce lo spirito profondamente dissacrante di quest’opera.

Una ballata che è un prima di tutto un tributo alla persona più amata, la prima di ogni uomo ma anche a un luogo, la propria terra d’origine che a volte accoglie ma più spesso respinge.

Un romanzo dalle continue metamorfosi di corpi e prospettive che nella parte finale evolve e muta in un profondo, sincero, atto di denuncia politica e sociale, sempre coerente alla propria anima folle, con quel mare onnipresente, gravido di fondali in cui i cadaveri dei migranti non smettono di ammassarsi, sepolti sotto le montagne dei nostri inutili rifiuti.

Dopo la sua opera precedente (Calafiore – Nutrimenti), Arturo Belluardo torna quindi in libreria con un romanzo d’impossibile classificazione, perché riduttivo e irrispettoso sarebbe il tentativo di confinarlo in un singolo genere, così come impossibile sarebbe descrivere in pochi aggettivi la bulimia della sua instancabile prosa.

Un testo dotato di un’estetica forte e preponderante, estremamente dinamico nella stesura e gravido di immagini dalla forte carica erotica. Una Grande bellezza i cui movimenti di penna mezzosangue non si fanno scrupolo a passare, nell’arco di poche righe, dai tamarri bardati Decathlon, alle spedizioni degli Argonauti (con quella stessa schizofrenia ripresa anche nei ringraziamenti finali, in cui l’autore di diverte ad accostare Senofonte a Starbucks, così come Kafka a Jovanotti).

Un’opera che consiglio di leggere senza fretta, ritagliandosi il giusto tempo per scoprire e approfondire tutte le molteplici stratificazioni e i rimandi di cui ogni paragrafo è intriso, lasciandosi sorprendere, pagina dopo pagina, da questo viaggio bizzarro che trascende le epoche, i ruoli e i corpi di cui spesso siamo inconsapevoli prigionieri.

Stefano Bonazzi

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Ballata per la sirena

Arturo Belluardo

Giulio Perrone Editore

20 euro — 256 pagine

 

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