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Eleonora Marangoni. E siccome lei

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Monica Vitti: ritratto di signora, e che donna… Sfugge all’identificazione. Il nostro cervello è settato (Dio, l’evoluzione, chi volete voi) per registrare in un nanosecondo la personalità e le caratteristiche del nostro interlocutore.

Non possiamo farci nulla, è impossibile ostacolarne l’esecuzione elettrica. Il pilota automatico fa parte del reset di fabbrica, puoi anche provare a bloccarne l’avvio ma ci rimani impigliato. Ecco perché ogni volta che ci imbattiamo in uno dei personaggi interpretati da Monica Vitti sul grande schermo, terminiamo la visione del lungometraggio ponendoci più domande di quante sia lecito porsene in considerazione del filone narrativo trasposto in pellicola (e che pellicole: Antonioni, Risi, Monicelli, Sordi, Brass, Scola, Buñuel tra gli altri).

Come ci ricorda Eleonora Marangoni (romana virgolettata Proust, alla maniera di quei baffetti sontuosi, e autrice del romanzo Lux, nella dozzina dello Strega) il «nome d’arte – Monica – l’ha scelto quando aveva ventidue anni e faceva teatro, dove recitava Osborne, Brecht e Machiavelli. “Vitti” viene da Vittiglia, cognome di sua madre da ragazza, “Monica Vitti” se l’è inventato un giorno di tanti anni prima seduta in un baretto di viale di Villa Massimo, dopo che il suo maestro Sergio Tofano le aveva detto che aveva buone possibilità di diventare una brava attrice, ma doveva a tutti i costi trovarsi uno pseudonimo».

Chi è Maria Luisa Ceciarelli? Mi sovvengono queste parole: «nel crudelmente tenero mondo, il reale diviene surreale, e la magia è vanesia» (Marvin Signorelli).

Ognuno ha sempre visto in lei quello che voleva. «“Michelangelo non doveva dirmi adesso ti spiego chi è questa, perché per metà ero io”, ha detto una volta raccontando il suo lavoro con Antonioni».

Quindi? Lo specchio della sublime esaltazione di una personalità prismatica. Nulla di complesso, semmai convesso. Ricurvo, arrotondato, sporgente, bombato, così mi immagino i mille rivoli di una donna magnetica, le molteplici sfumature dell’anima.

Gli autori sul grande schermo, le persone gravitatele attorno, lei per prima, sembrano far parte di una grande struttura narrativa accartocciata su se stessa, un film nel film dentro un film. Ed è così che vanno le cose quando lasci scorrere il flusso della vita senza porti eccessive limitazioni. Rischi di volare in picchiata controvento nel cratere di un vulcano rovente e uscirne illesa, se non con qualche lieve scottatura dell’anima. E cos’altro non è questa, se non la vita stessa?

I timbri sul passaporto, il lasciapassare per una nuova avventura. «La grazia con cui, all’inizio de L’Avventura, mentre è in macchina con Anna, Claudia apre le dita della mano e lascia che l’aria ci passi in mezzo…» è il primo messaggio d’autore (e d’amore) di una carriera sulle ali del vento. Un soffio, colto al volo, tra dita surfeggianti. D’altronde «il suo è un viso molto mobile, dai lineamenti decisi e al tempo stesso delicati, che si modificano di continuo, da un film all’altro e perfino nello stesso giorno, e sono influenzati dall’umore, dal clima, dall’atmosfera del momento».

La Marangoni tenta e riesce nell’intento di dar vita ai personaggi della vita filmografica di Monica, ritratto corale delle sue interpretazioni, prosecuzione linfatica e ricostruzione-emblema di iconografica complessità: essere femmina nella seconda metà del 900. Dettagli, frasi, gesti. Ramificazione e identificazione, quattro mani che si intrecciano nel corpo attoriale di un’unica donna. «Come ha detto una volta Marcello Marchesi: “Monica Vitti è una matta che si crede di essere Monica Vitti”».

Samuel Chamey

Recensione al libro E siccome lei di Eleonora Marangoni, Feltrinelli editore 2020, pagg. 256, € 17,00

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