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Jonathan Miles. Scarti

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La vedova di un broker ucciso nell’attacco al World Trade Center cerca una bistecchiera nel box dove ha raccolto i ricordi della sua precedente vita matrimoniale. Sara è ancora giovane e di bell’aspetto, il suo secondo marito, Dave, le ha regalato un paio di tette nuove, siliconate. Muovendosi tra le cose che ha ammassato in quei pochi metri quadri, suo malgrado, Sara deve fare i conti con un passato bugiardo e contraddittorio. Brian “lo aveva cancellato del tutto… lo aveva semplicemente buttato via”, ma Brian è incancellabile, lui è ancora lì e continua parlarle, a rivelarsi attraverso necrologi, pagine di giornali, foto, appunti. Il box è la sua vera tomba, il “suo mausoleo”. Quella di Sara è una delle tre storie che compongono Scarti, romanzo uscito la prima volta nel 2013 e ripubblicato in Italia sempre da minimum fax dieci anni dopo con una nuova cover e la traduzione di Assunta Martinese.

Troppi Jonathan nella letteratura, scrive il Franzen di Purity, e tra i tanti, Miles è di sicuro il meno conosciuto, almeno da noi. E se il suo unico libro tradotto (Want Not) a suo tempo non ebbe molta fortuna, le ragioni di questa sua invisibilità o non curanza restano inspiegabili. Sì perché Scarti è un romanzo fuori dall’ordinario, per qualità, tecnica narrativa, per le dinamiche familiari che lo animano, soprattutto per il senso delle sue trame. Al di là della chiara riflessione etica sul consumismo e sullo spreco, evidente soprattutto nella vicenda di Talmadge e Micah, la coppia che occupa abusivamente un appartamento a Manhattan e rovista nei cassonetti per “restare fuori dal sistema… per dire no”, Scarti ha molto da dire proprio in termini di esplorazione del significato dell’essere e del sentirsi umani. Di più. Scarti è un romanzo sulla speranza e sulla possibilità di resistere a qualunque dramma, di opporsi al peggiore dei destini adattandosi a nuove forme, seguendo altri canali, meditando sul fine ultimo. A tutti i personaggi del libro capita di subire delle sottrazioni (La vita è una questione di sottrazione graduale, fa dire Richard Ford a Frank Bascombe in Tutto potrebbe andare molto peggio): lutti, abbandoni, incidenti, malattie. Ma questi uomini e donne umiliati o sconfitti Miles li sprona a non mollare, indica loro una via di uscita, una seconda opportunità, e la miracolosa convergenza delle tre storie, nel finale, ne attesta l’approccio ottimistico.

Elwin Cross Jr. è un docente di lingue morte “Delle 6500 lingue che esistevano adesso nel mondo, solo 600 sarebbero sopravvissute alla prossima generazione”. Seguitemi, la storia di Elwin è la parte migliore del libro. Sua moglie, Maura, lo ha lasciato per un altro uomo. Elwin sa che nel giro di qualche giorno perderà anche suo padre, perché smetterà di riconoscerlo per via dell’Alzheimer. La malattia sta progredendo e l’ospedale che lo tiene in cura ha deciso di congedarlo, di “rottamarlo”. Rottamare. È lo stesso verbo usato dal meccanico al quale si rivolge Jr. per quella leggera ammaccatura che ha ricevuto la sua auto a causa dell’investimento di un cervo. Rottamala. Ma lo scarto può ritornare in gioco, ci dice Miles. A tutto si può rimediare, perfino alla sottovalutazione di questo capolavoro – uno dei migliori romanzi americani dell’ultimo decennio – che minimum fax ripropone a lettori poco attenti perché possano dare al libro e a sé stessi una seconda chance. Dicevamo di Elwin. Il prof. è in sovrappeso e qualcuno gli consiglia di “mangiare solo metà porzione e buttare il resto nella spazzatura”. Gli avanzi finiscono sulle tavole di persone come Talmadge e Micha, ideologi del riciclo, la cui parabola apre uno squarcio su un’America impoverita e fuori dai radar (le tendopoli di San Francisco ne sono una testimonianza recente).

“Nel mondo c’è gente che ha fame. E guarda qua. Questi la roba da mangiare la seppelliscono”.

In uno dei momenti più divertenti, forse ispirato dal monologo dell’insozzatore di cessi di Infinite Jest di Wallace, il cinico Dave, che dopo Sara finirà per sedurre anche la figlia di lei, si ferma a guardare il suo stronzo perfetto al centro del water “lo stronzo che un uomo potrebbe provare a produrre per una vita intera senza mai riuscirci”. Dave pensa che sarebbe un peccato tirare lo scarico e cancellare per sempre quel prodigio irripetibile. Vorrebbe fermare il tempo, conservare il gesto, testimoniarlo, tramandarlo. Decide che lo stronzo va fotografato, immortalato perché anche gli altri possano vederlo. È l’immagine torbida e iperbolica che racchiude meglio di ogni altra il senso di un libro generoso e straziante.

Angelo Cennamo

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