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Pierdomenico Baccalario anteprima. Il grande manca

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Uscito oggi per Editrice Il castoro, Il grande manca (pagg. 192, € 15,50) di Pierdomenico Baccalario è un romanzo YA che parla sì di crescita, ma soprattutto di gestione della perdita.

Già dal titolo si intuisce come al suo centro vi sia il tema dell’assenza. Qualcosa, qualcuno manca. Qualcosa, qualcuno di più grande rispetto a Vittorio, il quattordicenne protagonista del romanzo.

Qualcosa, qualcuno che lui vive come irraggiungibile nella distanza, come fonte di emulazione.

Manca a lui, e manca anche a tutta una serie di personaggi secondari, identificabili come un coro capace di dare alla storia una maggiore consistenza e plausibilità oltre che dividersi il peso del dramma.

A Vittorio come a tutti loro manca Federico.

Manca il fratello maggiore, manca l’amico che li tiene uniti, manca il master capace di inventare mondi e personaggi verosimili, che funzionano, per le partite di role-playing game.

Federico è, in tutti i sensi, il grande, il personaggio che si ritira nell’assenza di un coma avvenuto in circostanze poco chiare. Manca quindi in quanto figlio, amico, fidanzato, ma soprattutto come soggetto da emulare. Perché è questo che Vittorio perde di punto in bianco. Forse. Perché questo Baccalario non lo fa esprimere chiaramente al suo personaggio. Ce lo lascia intuire, diciamo.

Lo percepiamo dalla necessità espressa da Vittorio di non crogiolarsi nella memoria del fratello.

No, lui vuole farlo svegliare quanto prima. Perciò si inventa una formula propiziatoria così che abbia uno stimolo che va oltre la scienza oltre la medicina.

Lui e gli altri completeranno alcune collezioni di libri cui Federico stava dietro. Fra di esse anche la rarissima collana de “I libri impossibili”. Rarissima perché stampata da un tipografo preso da pazzia (nella realtà dovrebbe essere “La biblioteca di Babele” , collana edita da Franco Maria Ricci), che ha bruciato tutte le copie tranne quelle presenti nel suo appartamento.

Fra ricerche nelle librerie, incontri con personaggi a volte criptici e confessioni intime di chi gli ruota attorno, Vittorio ricompone la vita di Federico, capitolo dopo capitolo.

Ne scopre così una figura fatta di luci e ombre, prendendo coscienza di quanto non sia mai stato un semidio, ma un essere umano al suo pari. E questo alla fine rende giustizia a entrambi.

Fortemente citazionista, capace di giocare su più piani di lettura, Il grande manca è un libro di avventura nel lato intimo, per certi versi doloroso, dei personaggi.

È anche un romanzo che riesce a creare un passaggio emotivamente credibile attraverso una potente linea d’ombra.

Quella che ci disarma dall’adolescenza portandoci verso i primi contrafforti dell’età adulta.

Sergio Rotino

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«Senta, ha ragione. Non le ho detto tutta la verità: mio fratello è in coma. Una caduta, sembra».

L’altro si appoggia al bastone, sorpreso. «Non lo sapevo. Mi… dispiace.»

«Sta bene, sta male, è felice, è spaventato, dorme, sogna, soffre? Non lo so, non lo sa nessuno», continua Vittorio. «Quello che so è che gli sarebbe piaciuto completare la sua collezione. E per completarla…»

Vittorio indica il tavolo con i libri sparpagliati sopra.

«Non ne avevo idea», mormora l’uomo in cima al suo grattacielo, ed è improvvisamente distrutto. «Ti chiedo scusa.»

«Me la vende, adesso?», incalza Vittorio, e per dirlo deve appoggiarsi alla sedia più vicina e stringere forte lo schienale.

L’uomo preme le mani sull’impugnatura del bastone, lascia indugiare lo sguardo dai libri alle vetrate da cui domina tutta la città e dice: «Vedi… Ogni passione confina con il caos, e quella del collezionista con il caos dei ricordi. Ogni pezzo è soprattutto una storia, un aneddoto di quando tu hai trovato lui e lui ha trovato te, di quando è entrato nel tuo cerchio magico e tu nel suo…».

Va a mettersi proprio davanti ai vetri, tanto che Vittorio è costretto a smettere di osservarlo, perché gli sembra che debba precipitare da un momento all’altro nel vuoto.

«Voglio solo che mio fratello si svegli», dice il ragazzo.

«Non si sveglierà per i libri. I libri sono senza valore. Quel che conta sono i ricordi. Ed è per questo, tra l’altro, che non ti posso vendere i miei.»

«Me li regali, allora», insiste Vittorio. «Li regali a lui.»

Il vecchio scuote la testa, piano. E nel momento in cui tornano a guardarsi, Vittorio riconosce quella stessa espressione trasparente che ha lui ogni volta che si guarda nello specchio. L’espressione di chi ha perso qualcosa che non troverà mai più: una faccia da bambino che vorrebbe essere felice, ma non sa più come si fa; una faccia piena di rughe, e in ogni ruga sono infilate pagliuzze d’oro che non vanno mai via.

«È lei, il fratello vivo», sussurra allora Vittorio. «Uno dei due figli dello stampatore…»

E il turbine lo porta via, costringendolo a fissarsi la punta delle scarpe: la meticolosa edizione dei trentatré libri, la moglie che si spara, la pazzia, l’incendio, i due fratelli che si spostano di casa in casa, portandosi dietro sempre quella poltrona, sempre la libreria con le antine di vetro, la collezione di libri del padre e… Com’è che a un certo punto i libri si dividono? Un litigio, un errore, un furto? E come fanno quegli altri undici a finire in una scatola di cartone e poi al suo, di fratello?

Ma non riesce a chiedere niente, perché, quando può sollevare lo sguardo, l’uomo con il bastone se ne è andato. È sparito in uno dei suoi salotti, o magari in bagno.

«Signore?», domanda Vittorio, alzandosi in piedi.

Sente solo la sua voce che gli dice: «Per scendere, basta che torni all’ascensore».

Ma lui è ancora lì, accanto al tavolo su cui sono allineati tutti e ventidue i libri che cerca da mesi. Sono splendidi, usurati dal tempo e da chissà quante attente letture. Gli tornano in mente le parole di Emanuele Graglia di Moriondo sugli scacchi: lo stallo è quando non hai a disposizione nessuna mossa legale per vincere la partita. E ha la sensazione che lui, andandosene via in quel modo, gli abbia appena dato l’opportunità di risolverlo. Con una mossa illegale.

A Vittorio basta allungare una mano per prendere tutti i libri e salire sull’ascensore. E ci pensa. Eccome, se ci pensa. Ne sfiora uno, la copertina ruvida, il cartoncino di Danzica, le pagliuzze d’oro, la sporcizia del tempo. Ogni collezionista ama il rischio e sfida il destino.

Potrebbe prenderne anche solo uno, ficcarselo in tasca, correre in ospedale e gridare a suo fratello: «Guarda cosa ho trovato!».

O prenderli davvero tutti e farlo svegliare di soprassalto.

Non lo farebbero Shining o Enzino? Non lo farebbero Yole o il Cavo?

Non è forse la grande occasione di Vittorio per dimostrare a suo fratello che sa fare cose da grande, che quindi può giocare sempre con loro, mettere il suo nome sulla sedia, e ogni cosa sarà finalmente perfetta?

Non lo farebbe Federico?

E però Vittorio non è Federico, né è Shining, Enzino, Yole o il Cavo.

E non è vero che ogni cosa sarebbe completa e perfetta.

Anche all’uomo con il bastone, che vive in cima alla città, manca suo fratello, e suo padre, e sua madre. E per quanto sia forse l’uomo più ricco della città, quelle persone gli mancheranno per sempre. Di loro ha solo i ricordi, quella poltrona e quella libreria con quei libri.

E se anche Vittorio li portasse tutti alla porta blu, comunque ne mancherebbe sempre uno, il ventiquattro: H.G. Wells, La porta nel muro, che nessuno sa dove sia finito.

Da ogni parte la guardi, manca sempre qualcosa. A tutti manca sempre qualcosa. Per quanto tu cerchi di far finta di niente, a un certo punto te ne accorgi, e ti manca. Se butti via un calzino, ti mancherà. Se lo perdi, pure. Se ti innamori, finisce che ti mancherà. Se non ti innamori, anche. Hai un fratello? Ti mancherà. Sei ricco? Ti mancherà qualcosa che c’era quando eri povero. Se sei felice, la felicità ti mancherà. E se sei triste ti mancherà persino la tristezza. Vivere è mancarsi. La vita è vivere con quello che ti manca.

E così si allontana, cammina relativamente tranquillo fino all’ascensore, che si apre e si chiude senza che lui debba fare niente, e si lascia precipitare fino al piano terra, come se stesse sprofondando negli abissi.

E no, questa volta Vittorio non ha nessuna vertigine.

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