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Rudyard Kipling anteprima. Il diavolo e l’abisso

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Edizioni Clichy riporta finalmente in Italia quattro racconti tra i più avventurosi di Rudyard Kipling, custoditi nella raccolta Il diavolo e l’abisso. Nella traduzione di Francesca Rizzi abbiamo l’opportunità di leggere La nave che trovò se stessa, La mia domenica in patria, Pane nell’acqua e il racconto che da il nome al libro. Cantore dell’epoca dell’imperialismo britannico, del white man burden, Kipling fu uno degli autori inglesi più rappresentativi dell’ottocento e del novecento, nonché premio nobel per la letteratura nel 1907. Famosi e iconici i suoi capolavori come Kim, Il Libro della Giungla e Capitani Coraggiosi. Con Il diavolo e l’abisso assaporiamo ancora le grandi storie di matrice avventurosa dell’autore, ma connaturate da aspetti inediti come la critica alla società con stilettate di poderosa ironia.

Cristiano Saccoccia

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Era di nazionalità britannica, ma non ne troverete la bandiera nel registro della nostra marina mercantile. Era una nave cargo a elica, di novecento tonnellate, in ferro, attrezzata come una goletta e che, all’esterno, non differiva in alcun modo da ogni altro vagabondo del mare. Ma per le navi a vapore è come per gli uomini. C’è sempre chi, dietro compenso, si avventurerà in acque pericolose; e, nello stato attuale di un mondo decaduto, tali persone e tali navi hanno la loro utilità. Dal momento in cui l’Aglaia si era spinta per la prima volta sul fiume Clyde – nuova, luminosa e innocente, con un litro di champagne scadente che gocciolava dal suo tagliamare – il Fato e il suo armatore, che ne era anche il capitano, avevano stabilito che la nave avrebbe avuto a che a fare con imbarazzate teste coronate, presidenti in fuga, finanzieri fin troppo abili, donne per le quali era indispensabile un cambio d’aria e potenze minori che violavano la legge. Qualche volta il suo percorso l’aveva condotta alla Corte dell’Ammiragliato, dove le dichiarazioni giurate del capitano provocavano l’invidia dei suoi compagni. Un marinaio non può raccontare menzogne o recitare di fronte al mare, né ingannare una tempesta; ma, come hanno scoperto gli avvocati, nel momento in cui torna a terra può rimediare alle occasioni perdute tenendo una dichiarazione giurata in entrambe le mani.

L’Aglaia si era distinta nel grande salvataggio di Mackinaw. Era la prima volta che si allontanava dalla virtù, e imparò a cambiare il proprio nome, ma non l’animo, e solcare il mare. Col nome di Guidin’ Light, era assai ricercata in una città portuale sudamericana per il piccolo dettaglio di essere entrata nel porto a tutta velocità, scontrandosi con una nave a carbone e con l’unico vascello da guerra dello Stato, che in quel momento stava proprio andando a rifornirsi di carbone. Aveva preso il mare senza spiegazioni, nonostante il fuoco ricevuto da tre fortini per mezz’ora. Col nome di Julia M’Gregor, si era preoccupata di recuperare da una zattera alcuni signori che sarebbero dovuti restare a Noumea, ma che avevano preferito rendersi estremamente sgradevoli alle autorità in tutt’altra parte del mondo; e col nome di Shah-in-Shah, era stata colpita in alto mare, carica all’indecenza di munizioni, dall’incrociatore di una potenza entrata in conflitto con uno Stato confinante. Quella volta era quasi affondata e il suo scafo crivellato aveva offerto grandi profitti agli eminenti avvocati dei due paesi. Dopo una stagione riapparve come la Martin Hunt, verniciata di un opaco color ardesia, con un fumaiolo1 di un immacolato color zafferano, e scialuppe color carta da zucchero, impegnata a commerciare con la città di Odessa finché non venne invitata (e l’invito non poteva essere ignorato) a tenersi molto alla larga dai porti del Mar Nero

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