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Sarah Rose Etter anteprima. Il libro di X

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L’interessante realtà editoriale Pidgin Edizioni porta in Italia Il libro di X che è valso all’autrice Sarah Rose Etter lo Shirley Jackson Award (premio sensibile alla letteratura dark, fantastica e dalla grande caratura psicologica).

Una storia sperimentale già evidente dalla messa scena dei paragrafi, spesso sospesi nel bianco della pagina e che vengono sorretti da una prosa lirica ma scarnificata, strutture narranti che si decompongono col progredire della vita di Cassie, una ragazza nata col corpo annodato.

Con uno sguardo allucinato e feroce Sarah Rose Etter (de)costruisce la vita della sua protagonista nata con questa malformazione che umilia il suo corpo, perché Cassie è schiava di un’estetica deforme, aliena e crudele.

“I nostri nodi sono semplici: singoli. I nostri addomi si torcono dentro e fuori soltanto una volta, questi nostri corpi che si avvolgono in se stessi creando caverne buie, arrotolate come serpenti.”

Un romanzo sulla Malacarne, la carne dello scarto degli antichi macellai, il corpo da buttare, curare, sanificare, Il Libro di X è una cicatrice che abbraccia il petto, l’inguine, l’esistenza di Cassie che non riesce a snodarsi fino a vivere un’esistenza tranquilla, appagante, normale. Il delirio personale si innesta a quello sociale, a quello macrocospico dell’essere donna ma anche a quello velenoso e complicato della psicosi interiore, la durezza di essere una figlia. Difficoltà di esistere.

“La notte appoggio la testa sulle gambe di mia madre. «Snodami,» dico singhiozzando. «Per favore, qualcuno mi aggiusti.» «Non possiamo farci nulla,» mormora lei. «Allora uccidimi,» dico. «Ti prego.» Mia madre espira fumo, schiaccia il mozzicone della sua sigaretta, poi appoggia la sua mano fresca sulla mia fronte, un tocco raro.”

Bellezza e crudeltà danzano all’unisono nel coacervo tumultuoso della mente stralunata di Cassie, che si rifugia nei gesti meccanici della sua esistenza, nella routine spietata di un lavoro logorante e nella difficile esplorazione di sé che è già ardua in superificie, con quel suo corpo annodato e sensibile. A volte la fuga è salvezza da se stessi.

“Voglio muovermi come fai tu. Voglio aprirti con un coltello. Voglio nascondere il mio corpo dentro il tuo”

Romanzo visionario, innocente e allo stesso tempo macabro, romanzo dell’utero e del ventre dilaniato dall’essere madre. Storia che si abbarbica a date, emozioni, ricordi ancestrali del dolore come per ricreare una filologia dell’alienazione, filologia messa in atto dalle smagliature della carne, dei difetti, dei denti poco brillanti che mortificano il sorriso della razionalità.

“Sotto le luci fluorescenti sono completamente aperta. La mia incisione è ampia e lunga, da fianco a fianco, attraversa il mio ventre piatto proprio lì dove una donna porterebbe un bambino. Con ogni respiro, sangue nero fuoriesce gorgogliando dal taglio. Le mie interiora non sono più rosse, i miei organi sono neri, non più soffici, ora coperti di scuri cristalli luccicanti. Non riesco a smettere di guardare le mie terribili viscere, a guardare quanto sono diventata miserabile lì, quanto è bello il marcio. La mia ferita continua a splendere a ogni respiro, una tremenda sera piena di stelle che luccicano dentro di me”

Il sesso usato come strumento di auto-indagine, di confessione, di rievocazione di un senso di appartenenza, per colmare lacune che separano il mosaico tormentato degli Io.

“È strano vederlo nella mia camera da letto, una creatura rara in un nuovo ambiente. Immagino un toro in un negozio di alimentari. Mi infilo nel letto e lui fa lo stesso, poi si volta verso di me. Regge i lati della mia faccia per un momento, fissando i suoi occhi nei miei. Ha uno sguardo calmo, il fondo di una piscina, la solitudine un triangolo nero al centro del mio petto. «Ora?» chiede. «Sì, grazie,» e allora mi giro, arricciandomi, in attesa che lui lo faccia. Muove il suo corpo attorno al mio e spinge, avvolge le braccia e una gamba attorno a me, affonda il viso sulla mia nuca. Espiro e divento di un altro tipo di morbido, una morbidezza mai registrata prima, affondo a mia volta in lui, rilasso il mio corpo sulle sue cosce, sul suo torace, su altro. Mi tiene stretta, ancora più stretta, e allora la solitudine diventa piccola, piccolina, piccolissima, finché non è altro che uno spillo, una stella invertita, un granello di polvere.”

E mentre una prosa fatale come bisturi ed elegante come spada da cerimonia distrugge il libro in quanto oggetto canonico fino a renderlo postmoderno, Sarah Rose Etter è la chirurga che si esibisce in esecrandi trapianti letterari e umani. E forse la mistica del desiderio è cucita insieme alla desolazione del nostro corpo montale.

Cristiano Saccoccia

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Ci sono 4500 diversi tipi di nodi. Di questi esistono 3800 variazioni di base. Ci sono un’infinità di modi di combinare questi nodi e le loro variazioni. In questo senso, i nodi sono come stelle.

Saremmo potute essere complicate: nodi barcaioli, a otto, a bandiera, piani, del cappuccino.

Ma i nostri nodi sono semplici: singoli. I nostri addomi si torcono dentro e fuori soltanto una volta, questi nostri corpi che si avvolgono in se stessi creando caverne buie, arrotolate come serpenti.

Nelle vecchie foto in bianco e nero, mia madre da giovane posa accanto a mia nonna. Entrambe celano i loro nodi al di sotto di camicette gonfie, in piedi e rigide su un prato grigio, le labbra grigie tese in sorrisi grigi sopra i loro denti grigi.

Gli Acri furono tramandati a mio padre da suo padre e dal suo prima di lui. Una piccola insegna nera con vernice bianca dice GLI ACRI laddove comincia la nostra terra.

Abbiamo una vecchia casa bianca e un fienile rosso ruggine. La nostra casa è tutta pavimenti in legno, finestre ad arco, lenzuola da lavare. Il nostro fienile è dove teniamo i macchinari dormienti.

Il resto del paese dista qualche chilometro da noi e dalla nostra terra. Siamo isolati. Alcuni giorni, soltanto la mia famiglia può vedermi, il che rappresenta la mia libertà – nessun nuovo sguardo fisso, nessun nuovo disgusto.

Gli Acri valgono soldi, questo è quanto dicono i miei genitori. Ed ecco perché: al limitare della nostra terra c’è la Cava di Carne. Lì, la carne viene raccolta dalle alte pareti di un canyon rosso e carnoso.

Io e mia madre sbrighiamo le faccende di casa durante il fine settimana. Mia madre è come il tempo, nel senso che cambia quotidianamente. Ogni giorno stilo un rapporto su di lei.

Oggi mia madre è sveglia e concentrata, mi istruisce su come si pulisce. Tutto dev’essere bianco, immacolato, brillante. Le macchioline di sporco la tormentano.

Un secchio di limoni è appoggiato ai miei piedi. Per prendersi cura di una casa, bisogna avere mani e pelle d’agrume. «Ora fa’ come faccio io,» dice. «Adesso sei abbastanza grande per un coltello.»

Ho visto tutto: la sua schiena curva sul lavandino, il castano dei suoi capelli che riluce al sole, il grasso delle sue braccia che si gonfia in bozzi, il segare, poi le metà degli agrumi tra le sue dita, mezze lune gialle nei palmi delle sue mani, limone che sfrega sopra le pareti bianche.

Mi piego sul budello argentato del lavandino. Taglio i limoni diritto al centro, uno per uno, con le braccia che tremano contro il coltello mentre separo i piccoli cuori citrini.

Passo le metà gialle sopra le pareti bianche finché queste non luccicano, finché la casa non odora della carne del frutto, finché il succo di agrume non scorre nei canali dei miei letti ungueali masticati per poi bruciare. Ogni giorno mio padre e mio fratello estraggono carne dalla cava da vendere in paese come faceva il padre di mio padre e suo padre prima di lui. I loro corpi scompaiono dall’erba verde degli Acri, le loro figure ingoiate dalla bocca sottile del lungo orizzonte.
Non ho mai visto la Cava di Carne, quindi la devo inventare sempre nella mia mente: gigantesche pareti rosse di carne striata di grasso come fosse marmo.
«Non è un posto per te,» dice mio padre. «Certe cose, una donna non dovrebbe vederle.»

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Sarah Rose Etter
Il Libro di X
Pidgin Edizioni
320 pagine

16.00 euro

 

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