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Amour fou al Grand Hotel Rosa

Voglio vivere solo per l’estasi.
Le piccole dosi,
gli amori moderati, tutte le mezze sfumature,
mi lasciano indifferente.
Mi piace la stravaganza. Lettere che raddrizzano la schiena dei postini, libri che traboccano dalle copertine, sessualità che fa saltare i termometri.”
(
Anaïs Nin)

Il Diario erotico amoroso della esuberante e inquieta scrittrice Anaïs Nin (1903-1977) – monumentale corpus narrativo/letterario (composto da oltre quindicimila pagine dattiloscritte) iniziato nel 1931 e proseguito fino alla sua morte – fu il fulcro della mia tesi di laurea, ormai discussa nel secolo passato che mi valse 110 e lode. Ho sempre amato l’erotismo e i suoi narratori più audaci e capaci, tra cui annovero anche il capolavoro Venere in Pelliccia (1870) di Leopold von Sacher Masoch e L’Amante di Lady Chatterley (1928) di D.H. Lawrence.

Sono una vagabonda amorosa, una viandante sentimentale, una pellegrina erotica. Io batto le strade della vita, a piedi, con sensibile sfrontatezza, tumultuoso coraggio e dirompente audacia perché solo così la fortuna, il fato, la moira vengono in spirituale e magico aiuto. La fortuna aiuta gli audaci, recita un detto di antica saggezza.

La saggezza è essere folli, arsi, ebbri di vita.

Sempre in movimento e in compagnia di libri quali prima scoperta del mondo. Lettrice, viaggiatrice … Chi legge viaggia in primis con la mente, l’anima, il cuore poi si cresce e c’è chi smette di leggere. E c’è invece chi continua il viaggio di fantasia e lo trasforma in viaggio reale, spirituale, personale, emozionale.

Il viaggio non ha mai fine. La vita sì.

Per questo non smetterei mai di andare.

Non essere mai in un luogo per esserci in tutti.

Mai qui o là ma semplicemente via.

Non avere mai un uomo per averli tutti.

Uno.

Nessuno.

Centomila

Sono incostante, provvisoria, abbozzata. E così lo sono altresì i miei amori, i miei scritti, le mie letture, i miei viaggi.

Ma nonostante tutto, continuo a ricercare, a viaggiare, a scrivere e ad amare. Non sono mai così felice come nel momento in cui, distante e ammirata, vedo fallire le mie imprese. Perché significa che può sempre accadere qualcosa di nuovo.

Di inaspettato.

Di imprevedibile.

Di sconosciuto.

In poche parole, la vita.

Io ho questo coraggio, i miei principi sono assolutamente pagani, io voglio vivere la mia vita sino in fondo. Rinuncio al vostro ipocrita rispetto, preferisco essere felice. No, io non rinuncio a nulla, io amo ogni uomo che mi piace e rende felice, ogni uomo che mi ama… Io ho del genio per il dispotismo… Non conosco altro amore di quello che rende felici. Cerco il piacere, non voglio negare le ragioni del cuore e neppure quelle dei sensi. Io non sono buona. Non mi lascio assoggettare, e non permetto che mi si renda amara la vita, neppure per un’ora sola. Finché l’amerò, sarò sua, anche senza la benedizione del sacerdote, ma quando cesserò di amarla non avrò pietà di lei, né come amante, né come sposa. Se si vuol legare a sé un uomo per sempre, per prima cosa non gli si deve rimanere fedele. Nell’infedeltà di una donna amata v’è un fascino doloroso, la voluttà più alta.”

Dalle elucubrazioni di Wanda Dunajew, spietata e seducente protagonista di Venere in Pelliccia, la mia bibbia amorosa e lussuriosa.

Sono un’ancella dell’amore pagano.

Sono un’amante sovrasensuale.

Non è l’uomo ma la donna a essere nata per dominare.

Il libero amore prenderà il posto del matrimonio che umilia la donna.

Io cerco il piacere perché non credo nella felicità.

A 18 anni rimasi folgorata dalla lettura de Il Delta di Venere, raccolta di racconti erotici composti da Anaïs Nin a Parigi negli anni Quaranta sotto l’egida di uno dei suoi innumerevoli amanti, lo scrittore americano Henry Miller, autore, tra gli altri, di libri messi al bando per oscenità quali Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno. I due condivisero l’amore per la letteratura, la scrittura, il vino, l’oppio e la moglie di lui, la conturbante June Miller, in un ménage-a-trois sensuale, decadente e lussurioso.

Sensualità, decadenza e lussuria sono alcune delle spezie, insieme a follia, libertà ed erotismo, che condiscono la mia errabonda e avventurosa esistenza, fluttuando tra isole, rifugi, approdi in un vorticoso turbinio di cangianti e scambianti amanti. Non conosco, né desidero, sedentarietà e stabilità. Come scriveva Anaïs: Al diavolo, al diavolo l’equilibrio! Rompo bicchieri, voglio bruciare, anche se mi spezzo. Sono nevrotica, pervertita, distruttiva, focosa, pericolosa, lava, infiammabile, sfrenata. Lei è la mia icona di vita e di scrittura, sempre anelante a una nuova passione quando la passata sfumava, in continuo vagabondaggio tra Europa, Cuba, Stati Uniti, bigama, promiscua, sensibile, capricciosa e charmant.

Scrivo queste infiammate righe nella rosea cornice di un albergo del XIX secolo, il Grand Hotel Bagni Nuovi, costruito nel 1836 a Bormio, incastonato tra le svettanti cime del Parco Nazionale dello Stelvio. La facciata dell’albergo sembra uscita dal film Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, l’atmosfera dei fasti della Belle Époque che si respira nel Salone dei Balli rimanda a un’altra era, ai tempi del Grand Tour, dei viaggi lenti e sofisticati, degli ospiti eleganti e raffinati, il profumo del bosco inebria i sensi e l’acqua termale che scorre calda dalle rocce vivifica mente, corpo, spirito. Si vive in un’irrealtà reale, si è trasportati altrove, si rimane incantati dal suono dell’acqua, degli animali, del bosco. L’esperienza di trascorrere qui qualche giorno – ho deciso di pensionarmi qui e la direzione pare sia entusiasta – fa vibrare l’anima, placa ogni ansia e ravviva anche il desiderio più sopito. Mi sono rintanata in mia esclusiva compagnia per concedermi un rilassante e languido soggiorno tra valli dalle sfumature autunnali, acque termali dei tempi romani e un’accoglienza che va oltre le 5 stelle.

Amo i grandi alberghi del tardo Ottocento/primo Novecento, dal fascino di tempi passati, dove respirare i sussulti degli amanti che vi hanno soggiornato, facendo l’amore, forse tradendosi. Mi stuzzicano i luoghi che vedono il passaggio di sconosciuti, corpi che si sfiorano su una scalinata, sguardi che s’incrociano a un tavolino da caffè, volti che si scrutano a distanza ravvicinata. Amo viaggiare sola perché è in solitudine che puoi studiare gli altri, senza distrazioni, lasciandoti sedurre dall’anonimato e allettare dall’imprevisto. La mia natura libertina e dissoluta mi regala sempre ricchi doni, ovunque mi trovi. Non è una casualità, bensì un’attenta predisposizione e apertura, in primis di testa e quindi di cosce, al diverso, al non familiare, uscendo dalla propria zona di comfort e correndo il rischio della passione. Il mio irriverente e divertente blog ha come sottotitolo Correndo Lungo il Delta di Venere.

Io ho fatto della passione il mio mantra di vita, rinunciando con disinvoltura alla cosiddetta normalità. Desidero collezionare esperienze, amare più di un uomo o una donna insieme. Osservo disincantata e ironica le pretese maschili di possesso, monogamia, fedeltà, mi faccio beffe dei giudizi dei benpensanti perché per me l’erotismo è religione e ragione di vita. Non ho bisogno di sognare emozioni forti. Io le vivo.

Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d’animo non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.” (Il Delta di Venere)

Anelo l’incontro erotico nello spazio anarchico, bramo lo smarrimento febbrile, caccio con ardore l’elusione, voglio sentirmi risucchiare dai vortici della caduta vivificante e provare quella leggerezza che rivela un accrescimento di libertà.

Fu un amour fou a svelarmi questa valle incantata, quando quasi dieci anni fa un tenebroso e fascinoso attore cinematografico, che mi sedusse sull’isola di Stromboli, divenne il mio appassionato amante e io la sua Putain des Palaces perché lo seguivo sui set dove girava i suoi piuttosto dimenticabili film. Ma io ero protagonista dissoluta del nostro film a tinte porpora perché a me la realtà non è mai interessata, preferisco il sogno, l’illusione, la poesia. A sedurmi, prima di qualsiasi atto sessuale – Non mi aveva toccata, non ce n’era bisogno. La sua presenza mi turbava talmente che avevo la sensazione che mi avesse già accarezzata a lungo. (Anaïs Nin) furono le sue parole, insieme al suo fascino, e diventai preda, consapevole e consenziente, di un’adorabile canaglia: un attore, professione perfetta per i farabutti, perché consente loro di mentire per mestiere, quindi il rischio di tonfo con questi simulatori è elevatissimo, anche per una donna scaltra e navigata come la sottoscritta. Lui era un pellegrino vagabondo, sempre sul bicchiere, affabulatore dalla voce suadente, seduttore e bastardo patentato. Il genere di uomo che fa perdere la testa, i sensi e la lingerie in una sola battuta, conducendoti in un’avventura cinematografica, esaltante ed estenuante, una maratona di parole e sesso, un fuck-festival di memoria decadentista. Il termine fuck-festival fu usato da Henry Miller per descrivere le sessioni letterarie ed erotiche con Anaïs, quando si lasciavano travolgere dalla loro irrefrenabile passione, condendola con nettare di-vino e fumi dell’oppio. In occasione di un film ambientato a Bormio – Soldato Semplice (2015) – approdai in questo magico antro rosa, teatro, meglio teatrino, dei nostri bollori più ribollenti delle bolle delle vasche termali. Ci stuzzicammo ovunque, nelle saune, nelle vasche, negli hammam, incuranti di poter essere scoperti, anzi eccitati all’idea di essere ‘colti in fallo’. Facemmo l’amore anche nel bosco all’imbrunire. I suoi versi ricordavano il bramito, il verso animalesco che emettono i cervi in amore. Mi appoggiò al tronco di un albero, mi sollevò la gonna, mi sfilò le mutande, si abbassò la cerniera, lo tirò fuori, si portò le dita in bocca, inondandole di saliva, me le infilò tra le cosce, e mi penetrò. In culo. Così a secco, senza lubrificazione, senza preliminari. Emisi un grido, cercando di scostarlo. Lui lo spinse dentro ancora di più e con una mano mi tappò la bocca, montandomi come le bestie. Ogni mio liquido ne uscì liberato in effluvi di piacere. Abbandonai ogni resistenza e mi lasciai, arrendevole e arrapata, sodomizzare con foga e furore. La fonte del potere e piacere sessuale è la curiosità, la passione, la sfrenatezza.

Le sue carezze erano strane, a volte dolci e struggenti, a volte appassionate, violente, come lei le aveva immaginate quando i suoi occhi l’avevano fissata, le carezze di un animale selvatico. C’era qualcosa di animalesco in quelle mani che la percorrevano tutto il corpo, che le afferravano il sesso e peli insieme, come se volesse strapparglieli a forza dal corpo, come stessero afferrando una manciata di terra e d’erba insieme.” (Il Delta di Venere)

Nell’onirica malia del fatato Grand Hotel – il cui storico centro termale, datato all’epoca romana, è suddiviso in settori dai nomi che evocano gli dei (Giardini di Venere, Grotta di Nettuno, Bagni di Giove, Vasche di Saturno, Salotto di Narciso, Giardino di Dafne, Antro delle Ninfe…) – fui amata come merita una perversa dea dell’amore, senza remore, senza freni, senza tabù. Mi eccitava l’idea di essere sodomizzata con tanta veemente disperazione. Esistevamo solo noi due, ebbri di carnalità, affamati dei nostri corpi, incatenati in un amplesso struggente, benedetti dagli dei pagani che aleggiavano intorno a noi, inebriati dal bosco divino, sommersi nelle acque amniotiche, madidi di sudori, odori e afrori. La sodomia è un’arte. E quando quest’arte è affinata, si trasforma in sublime piacere sbocciato dal dolore. La beatitudine non è uno stato che si genera in assenza di dolore. Au contraire: la beatitudine è quell’assaggio di paradiso che si prova dopo il dolore. Trovo sollazzo nel dolore ed estasi nella conquista. Non c’è alcuna procreazione nella sodomia, esiste solo resa, sottomissione, annichilimento. La figa è procreazione; il culo è arte. Quando sei così sedato da tutto il fuoco che ti sei sempre acceso e alimentato intorno, cerchi solo la sensazione ulteriore, la più scottante, ovunque essa ti conduca per martirizzarti.

Sei stato un buon amante… Mi è piaciuto il modo in cui mi hai preso il culo con tutte e due le mani. L’hai afferrato saldamente, come se ti apprestassi a mordermelo. Mi è piaciuto il modo in cui mi hai preso il sesso tra le mani. E’ stato proprio il modo in cui l’hai preso, con tanta decisione, con tanta mascolinità. E’ quel tocco da cavernicolo che hai…”

Le sue dita erano sicure, calde, mentre le apriva la carne. Si piegò su di lei e incominciò a baciarle la fessura. Poi le fece scivolare le mani intorno al corpo e la sollevò verso di sé, in modo da poterla penetrare da dietro…”

Frecce elettriche attraversano il corpo. Un arcobaleno di colori colpisce le palpebre.

Una schiuma di musica cade sopra le orecchie. È il gong dell’orgasmo.”
(Anaïs Nin)

Giocare con il fuoco è rischioso, eppure inevitabile per anime pellegrine e stralunate, da espiare sottoponendosi alle compulsioni imposte dalla propria vita, abbandonando ogni riserva. Eros ferino. Istintivo. Viscerale. Non solo sesso. Con me di rado ci si limita solo a quello. Io lo condisco sempre di surreali opalescenti fugaci tonalità. Lo profumo di unicità e immediatezza. Così come gli inebrianti sapori che evoca una passeggiata nel cuore del bosco di prima mattina, quando l’umidità della notte esalta il profumo di muschi, legno ed erbe selvatiche, con note di pino cembro e artemisia a creare l’atmosfera ovattata e avvolgente della natura e l’energia della foresta che riprende vita.

L’attore rappresentò un rito di passaggio di altissimo livello, il mio mentore anale. Questo fu il gioco che io scelsi di seguire, conoscendone le regole, accettandone i rischi, mettendo a nudo le viscere più recondite. Fermarsi una pia illusione. La mia natura m’impone di proseguire sul sentiero. Fino alla prossima deviazione, alla prossima avventura, al prossimo amante … Perché questo Grand Hotel mi ha riservato altri piccanti e imprevisti incontri nati per fatalità – con accezione veneziana – sorseggiando un cocktail martini ai pistilli di zafferano miscelato ad arte dal suo leggendario barman Ugo. Ma questo racconto sarà incandescente materiale per la prossima puntata dedicata alle mie sensuali e sensoriali scappatelle tra i monti della lussureggiante Alta Valtellina…

FINE PRIMA PARTE

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