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Anteprima. Milagros Branca. Storia di Uliviero

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Un’epica familiare che diventa la metafora di una nuova ripresa non solo economica che rende questo romanzo di un’attualità non da poco: leggendo Storia di Uliviero (da oggi nelle librerie per Baldini+Castoldi) abbiamo la netta impressione di trovarci di fronte ad un romanzo popolare, con un respiro letterario tipico dei grandi classici, che ha tutte le caratteristiche per diventare tra i libri più letti nei prossimi mesi.

Perché Storia di Uliviero è un romanzo impresso a caldo tra le pagine di quella storia che spesso si nasconde tra le pieghe di un mondo dove i riflettori di carta troppo spesso illuminano il niente.

Storia di Uliviero ha tutti i connotati di una favola surreale: surreale perché la narrazione procede per incastri narrativi che lasciano stupiti davanti alla autentica bravura della scrittrice. Capace di tessere una trama che si dipana tra una masseria degli anni ’20, la Roma non solo di Cinecittà e della “dolce vita” ma anche quella di Irene Brin, del primo Premio Strega, dei protagonisti dell’arte e della letteratura per poi vederci tra le atmosfere delle prime sfilate di moda italiana a Firenze, nella Venezia delle gallerie e di Penny Guggenheim, nella New York di Diana Vreeland, storica direttrice di Harper’s Bazaar e di Vogue e in una Los Angeles dove ogni porta mantiene ancora un segreto.

I protagonisti si muovono in questo scenario con la forza, la determinazione e tutta la tenerezza che li contraddistingue: ingenui davanti alla vita ma non davanti ai sentimenti.

Un romanzo che racconta di noi: perché la sua vera bellezza, potenza e forza è che ci ritroviamo in ogni pagina scoprendo sempre qualcosa in più. Di noi come di un libro che si legge come un’epopea ma si sente dentro come un’epica dell’umano.

Gian Paolo Serino

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Di seguito un estratto in esclusiva di Storia di Uliviero

«Sono pugliese, sai il tacco d’Italia, la Puglia. Mi chiamo Baldovino Benci e tu di dove sei?» domandò quando capì che il ragazzo era chiaramente straniero.

«Uliviero Daccorsi, felice di fare la sua conoscenza Baldovino. Io sono americano ma adesso vivo qui. Le spiace se le scatto una foto?» gli disse in italiano con il suo spiccato accento.

«Certo che no, fammi pure la foto Oliviero.» Baldovino, mettendosi in posa di profilo davanti alla finestra che dava sul giardino interno del palazzo, dette per scontato di aver sentito male il nome e che il ragazzo lo avesse storpiato perché era straniero.

«Mi dica, Baldovino, come mai lei è biondo? Pensavo che in Italia le persone del Sud avessero tutte i capelli scuri.»

«Abbiamo avuto tante invasioni, sarò il trisnipote di un guerriero normanno. Tu hai un nome italiano, di dove è originaria la tua famiglia?»

«Sono californiano, mio padre è di origine italiana. Anche lui del Sud, siciliano. I suoi genitori emigrarono prima che lui nascesse. Non è mai stato in Italia ma visitarla è il suo sogno. Mi ha promesso che ci verrà presto, se non mi decido a ritornare. Si è creato un piccolo angolo d’Italia a casa: tanti anni fa ha fatto arrivare un carico di ulivi secolari che ammira ogni giorno, sognando le sue origini.»

«Un tipo stravagante tuo padre, eh?»

«No, per nulla!» gli rispose con un tono che lasciava trasparire la sua irritazione. Come si permetteva di giudicare suo padre? «È solo un uomo che ha un sogno: vedere la patria dei suoi avi, e ben venga se alcuni alberi che provengono dall’Italia gli danno gioia.» Uliviero si allontanò per cercare nuovi volti da immortalare col suo obiettivo. Non s’incrociarono più per il resto della serata. L’indomani, con somma sorpresa e un accenno di fastidio, lo incontrò nuovamente. Si era scordato il suo nome complicato. Baldovino stava sorseggiando un caffè al tavolo di un campo veneziano, non lontano da casa. Riconobbe subito il giovane ragazzo biondo. I suoi capelli erano più lunghi, ma avevano le stesse onde e gli stessi riccioli.

«Buongiorno, Oliviero. Vieni, siediti, ti offro un caffè.» Fece il gesto di spostare la sedia vuota al suo fianco per farlo accomodare.

«No grazie, l’ho già preso. Uliviero. Mi chiamo Uliviero.» Non provava una particolare simpatia per quell’uomo.

Non era nemmeno antipatia, ma c’era qualcosa in lui che lo disturbava, anche se era chiaramente una persona perbene ed educata. Qualcosa d’indecifrabile che gli incuteva uno strano sentimento. Forse interpretava male la disinvoltura e la sfrontata sicurezza di Baldovino scambiandola per spocchia: sta di fatto che si convinse di non aver molto da spartire con quell’individuo e volutamente interruppe la conversazione. La vita non gli aveva ancora insegnato a non fidarsi della prima impressione.

«Va bene, allora lascia che ti dia il mio indirizzo a Roma: partirò domani e se mai ci verrai portami il ritratto che mi hai fatto ieri sera, d’accordo? Il caffè lo berremo insieme là», e tirò fuori dal taschino della giacca una penna e un pezzo di carta stropicciato dove scribacchiò il suo numero di telefono. Si salutarono e Uliviero disse che certamente si sarebbe fatto vivo qualora fosse andato a Roma. “A Roma…” Pensò che poteva essere una buona idea andare a vedere la Capitale. Prese il foglietto e appena girò l’angolo lo guardò. Baldovino aveva scritto il suo numero sulla ricevuta di un negozio di articoli da disegno e a Uliviero venne naturale domandarsi se fosse un artista.

Era arrivato al seguito di Palma Bucarelli, doveva esserlo sicuramente. Ritornato a casa si mise nella camera oscura a sviluppare i rullini. Tra gli altri apparve, dapprima sfuocato e nebuloso poi sempre più evidente, il volto di Baldovino, di profilo alla finestra.

Mentre studiava quel viso farsi lentamente più nitido sulla carta fotografica immersa nel liquido di contrasto nella bacinella, non si accorse che il riflesso del suo viso nello specchio davanti a lui, ritraeva lo stesso identico profilo dell’immagine appena apparsa che teneva in mano con le pinze.

© 2020 Baldini+Castoldi s.r.l. – Milano

12 giugno 2020 

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