Nato a Praga nel 1875, Rainer Maria Rilke aveva ventidue anni quando iniziò a tenere un diario – pratica incoraggiata dalla sua amante e mentore, Lou Andreas-Salomé, di quindici anni più anziana. Quel diario, intitolato Firenze, sarebbe stato il primo dei tre che egli tenne tra il 1898 e il 1900, ognuno scritto in una diversa parte del mondo, nella forma di un dialogo unilaterale tra Rilke e Andreas-Salomé. Intime e rivelatrici, le pagine del diario gettano luce sui pensieri in evoluzione di Rilke riguardo alla vita e alla natura della creatività, in una fase particolarmente cruciale del suo sviluppo. Questo scritto risale al dicembre del 1900, quando Rilke si trovava a Worpswede, in Germania.
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2 dicembre 1900
Sulle sculture. Ci sono sculture che portano in sé, che hanno inalato e irradiano l’ambiente in cui sono state concepite o la regione da cui sono sorte. Lo spazio in cui si trova una statua è il suo paese straniero, il suo ambiente che porta in sé, e il suo occhio e l’espressione del suo volto si riferiscono a questo ambiente nascosto e ripiegato nella sua forma. Ci sono figure che emanano angustia, affollamento, interni stretti, e altre che senza dubbio sono state concepite e immaginate in panorami aperti, in una pianura, davanti al cielo. Se viste bene, queste opere recano sempre questo regno di “appartenenza” intorno a loro, questa patria interiore – non lo spazio casuale in cui sono state collocate, né la parete vuota contro cui si stagliano.
Le sculture che, invece, non hanno un tale ambiente interno, ma stanno in mezzo alla gente, non sono delimitate da un cerchio sacro e non si differenziano dalle cose d’uso e quotidiane: sono dei pesi-carta, per quanto si sforzino di essere mille volte a grandezza naturale e di superare anche quella.