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Sesso e appetito sono i grandi motori della storia, conservano e diffondono la specie, provocano guerre e ispirano canzoni, informano le religioni, la legge e l’arte. L’intero creato è un processo ininterrotto di digestione e fertilità; tutto si riduce a organismi che si divorano l’un l’altro, si riproducono, muoiono, fertilizzano la terra e rinascono trasformati.

Da Afrodita, Ricette e Altri Afrodisiaci di Isabel Allende (1997, Feltrinelli Editore)

Miaooo dai tetti eoliani. Eh sì perché non ho più solo un’isola, Stromboli, ma l’altra dark side of the moon, Alicudi, da dove vi scrivo ammirando ammirata lo spettacolare orizzonte che si staglia davanti ai miei occhi: il mare infinito, la Sicilia con l’Etna e alcune sorelle delle sette isole dell’arcipelago eoliano.

Dopo lunga assenza, oltre un anno, sono tornata nella mia prima casa arcudara: La Monachedda, dell’amico pittore sognatore Roberto, in arte Contessa SchifaNoja di Alicudi, che ho incensato di champagne per ringraziarlo dell’ospitalità.

Una ricorrente di questo nuovo, il terzo, autunno isolano e isolato sono i gatti selvatici che sgattaiolano nella mia stanza di notte.

Tutti neri, o niuri come si dice da queste parti.

S’infilano furtivi e curiosi nella mia stanza da letto, si mimetizzano nell’oscurità e solo gli occhi risaltano nel buio assoluto delle notti senza luna.

Il termine “sgattaiolare” mi ha fatto scattare la penna dell’erotismo, mia specialità di scrittura e di vita, trascurata in entrambi i campi negli ultimi infuocati mesi. Di un fuoco distruttivo e negativo. Tra incendi creati dall’uomo e caldane provocate dalla mia menopausa!

Io anelo la fiamma del fuoco sacro, lo sconquasso delle viscere, il tormento dei sensi.

Non sono un’intellettuale, sono una sensuale. Io sento.

Ed è così che ritornano alla mente, e nel ventre, alcune scabrose e peccaminose – in realtà non commettere peccati sarebbe un peccato – “sgattaiolate” vissute su isole diverse.

Di satanassi penetrati al buio.

Di amplessi notturni, famelici e ristoratori.

Di gioiosa e giocosa passione carnale.

Di appetiti pantagruelici sfamati a oltranza.

Vado a narrarli nello specifico, isola per isola.

EL HIERRO, ISLAS CANARIAS, FEBBRAIO 2022

Nel lungo e bellissimo viaggio invernale di trekking spinto con gli amici del cuore, Lorenzo e Domenico, “invasati” delle camminate, la piccola ma tenace testolina rosa, travolta e stravolta da chilometri in ascesa e discesa, un bel dì li mandò al diavolo, pretendendo una giornata di riposo sulla minuscola isola vulcanica de El Hierro. Pregustavo la solitudine a passeggio sulle falesie a ridosso dell’oceano, sbattuta dai venti e irrorata dalle onde.

Sbattuta e irrorata lo fui, anche di altro.

Scelsi di concedermi uno dei miei peccatucci di gola preferiti: il pranzetto in solitaria in un raffinato ristorante fronte oceano, specializzato in cucina “aborigena”, ossia della tradizione canaria dei bei tempi passati, ante turismo di massa, o peggio com’è diventato ora: il maledetto sovra-turismo.

Ricordo il godimento intimo di sedermi da sola, curiosa e golosa, in una piccola e spettacolare terrazza, con pochi tavoli, tutti occupati da coppie, famiglie, amici.

E’ bello pranzare soli. Si osserva, si ascolta, si legge.

Il menù offriva svariate pietanze sconosciute e mai assaggiate prima.

Vado a nozze con l’insolito e il nuovo.

Le mie papille gustative già salivavano.

Scelsi il gofio, una miscela di cereali che ricorda un poco la polenta (concedetemelo, sono una polentona nordica) accompagnata da piccoli piatti di pesce, carne, verdure da abbinare.

Amo i piattini perché così posso spiluccare un poco da tanto.

Un po’ come la mia vita amorosa, un poco da tanti. E soprattutto sapori umori gusti assaggi variegati.

Nel portare alla bocca questa nuova, seppur antica, pietanza chiusi gli occhi e spalancai i sensi.

A ogni boccone, emettevo un gemito di piacere. Mmm…

Accompagnai il cibo con un’ottima bottiglia di vino canario, che mi era impedito bere con i “cialtroni” del trekking perché loro carburavano a birra.

Mentre assaporavo il nettare degli dei canari, osservavo la sala.

Brutte famiglie.

Brutte coppie.

Bruttura. Il bambino capriccioso. La coppia annoiata.

E là fuori si stagliava l’immensità dell’Oceano Atlantico con la potenza delle onde che s’infrangevano sugli scogli. Intanto pappavo e bevevo. Che goduria.

L’appetito, alimentato dal gustoso gofio, tra una forchettata e una bicchierata, aumentò quando l’occhio, e i sensi, caddero sullo chef, uomo possente, grande e grosso, pelato, barbuto. Il mio genere di maschio …

Non sono in alcun modo attratta dai magri, dagli sbarbati, dai depilati, dagli efebi. No, a me piace il maschio di una volta. Non sono sessualmente attivata dalla fluidità, o quantomeno la mia chimica reagisce con tutt’altri ingredienti. E come cantava DitoNellaPiaga con la Rettore: “E’ solamente una questione di chimica, chimica, CHIMICAAA.”

Io lo so perché la sento. La seguo. L’assecondo.

La seguono anche i miei capezzoli, già inturgiditi in questo preciso momento mentre le dita scorrono sulla tastiera per immortalare un’avventura indimenticabile e mai narrata fino ad ora.

In ammirazione erotica dello chef che a mani nude impastava il gofio, con sensi e papille in estasi, sentii dopo gli invernali mesi di letargo uterino, un calore e un ardore sopiti ma mai spenti.

Il corpo, la figa, si stavano risvegliando.

A fine pasto, il corpulento chef fece il giro dei tavoli per salutare e commentare l’esperienza enogastronomica con i suoi ospiti.

Mi tenne per ultima.

L’attesa della sua venuta era erotismo allo stato puro.

Nella frenetica caotica e “beotica” vita moderna – quelle horreur – abbiamo perso la magia dell’attesa, dell’imprevedibilità, dell’ignoto …

Sappiamo tutto e non sentiamo nulla.

Pretendiamo nell’immediato senza più godere dello sperdimento.

Infatti, viviamo male. Stiamo male. Siamo male.

Quando el cocinero mi si avvicinò, io già gaudente e sorridente – tra cibo, vino, oceano e chef scoppiavo di godimento – mi osservò divertito e rapito e mi disse: “Usted tiene cara de felicidad”

Lei ha il volto della felicità …

La vita è fatta di scampoli di felicità, la felicità è negli attimi rubati, goduti e assaporati.

Quello fu uno scampolo di felicità. Che certo non mi lasciai sfuggire, anzi lo sbranai.

Risposi con la mia proverbiale e maliziosa verve e con i sensi risvegliati, quella benedetta chimica, che si mescolavano al suo deseo, perché quello che sentivo io, palpitava anche in lui.

Una sorta di gofio erotico.

Entrambi curiosi uno dell’altro.

Di scoprirci.

Di scoparci.

Lasciai l’intimo luogo, ondivaga con poco vino rimasto nella bottiglia e tanto nella testa, lo salutai e mi incamminai su un sentiero di passerelle di legno a picco sull’oceano. La giornata era maestosa, assolata, ventosa. Immaginavo i miei sodali di camminate sfacchinare e sudare su un percorso dall’atroce dislivello di 1000 metri. E io, beffarda e brilla, me la sogghignavo…

A un certo punto mi fermai preda di un crescente e invadente desiderio. Che fare?!

Elementare, Watson.

Sfruttai la mania dei vari social, Tripadvisor e quant’altro per gettare un tentacolare amo…

Acquattai le chiappe su una panchina e febbrile vergai una recensione ad alto tasso erotico sulla pagina del ristorante. La inviai anche in privato allo chef.

EL PRIMER GOFIO NUNCA SE OLVIDA

(Il primo Gofio non si dimentica più)

Ci sono luoghi e persone che si combinano per offrire un’esperienza davvero unica. Qualcosa che va oltre il semplice atto di mangiare. È assaporare la cultura, assaporare antichi riti, percepire la passione terrena. Avevo letto di questo peculiare ristorante innovativo. Sono andata da sola. Amo mangiare da sola. Ti permette di sentire intimamente. Non mi piace cucinare ma amo mangiare. Il posto si trova in un ambiente mozzafiato di fronte alle onde dell’Oceano Atlantico. Il cibo è stata una rivoluzione completa delle mie papille gustative. Ho assaggiato il mio primo GOFIO e mi sono sentita come vergine palatale! Ho ammirato lo chef preparare l’offerta e presentare le sue creazioni, nate da una ricerca culturale, artigianale. Non è semplicemente cibo. È amore su un piatto. Ho trascorso il mio ultimo giorno sull’isola regalando alla mia bocca, ai miei occhi, alla mia anima un viaggio culinario indimenticabile.

Non per tutti.

Ma sicuramente per me.

Restava solo da aspettare che il pesciolone abboccasse alla tentazione.

Si vede che a pescare sono proprio brava perché la “canna” iniziò a fremere dopo pochi minuti.

El cocinero mordiò el anzuelo …

Pesca grossa.

Corsi eccitata ed estasiata nella casina affittata. E mentre gli amici trekkavano, mi dedicai al mio eruttivo piacere, immaginando lo scenario dell’incontro con quest’uomo che con la sua cucina aveva risvegliato la bestiaccia dal letargo dei sensi. Giunsi alla vetta orgasmica pochi attimi prima di sentire il vociferare dei due compari di viaggio, tornati sudati e stremati dopo ore di sbattimento sui sentieri dell’isola selvaggia.

Subito si accorsero del mio musetto godurioso e festoso …

Che hai combinato, monella?” fu l’inquisitiva domanda.

Nulla, o meglio non ancora …” la pronta e premonitrice risposta.

Era la nostra ultima notte a El Hierro, il giorno dopo avremmo raggiunto l’isola de La Gomera.

Lo chef lavorava al ristorante ma alquanto distratto, presumo, perché continuavamo a “chattarci”, per quanto noi non-nativi digitali disprezziamo il sesso virtuale perché amanti di quello reale, dove si sentono gli odori, ci si riempie di umori, si spalmano liquidi, si annusano le carni, si pappano i sessi.

Caduti in un sonno ristoratore i due trekker, rimasi sola nella mia stanza sull’oceano a trastullarmi da remoto con lo chef fino a quando entrambi comprendemmo che una chance erotica di questa portata andava colta dal vivo.

Fu così che di notte, lasciata socchiusa la porta finestra sulla terrazza, nel buio attesi la “sgattaiolata” de el cocinero che s’infilò furtivo e arrapato tra le mie lenzuola, tra le mie cosce, tra le mie chiappe.

Una collisione carnale, passionale, affamata. Mi cucinò a puntino, mi sciolse di baci, mi condì di lingua, mi marinò in gustose salse, genuflesso tra le mie gambe, ansimante e appetente.

Dopo avermi servito l’antipasto, mi porse il primo tra labbra, bocca, gola.

La fame non si placava e così giunse il secondo, anzi i secondi, davanti, a lato, di retro.

Una miscellanea sensuale di gusti e umori. Ci divorammo l’un l’altro con quella frenesia che solo i veri passionali conoscono e sanno apparecchiare.

La passione nasce dalla libertà.

La libertà nasce dalla testa.

L’organo più afrodisiaco da stuzzicare.

Feed Your Head cantavano i Jefferson Airplanes nella canzone White Rabbit.

Alimentate la mente, curate la cultura, abbiate cura di ciò che ingoiate, disseminate follia.

Questa la ricetta perfetta per l’Afrodisia di Vita.

NB. Leggete bei libri, non “sfumature” di nulla. Abbiate il coraggio di penetrare e andare oltre.

Nella prossima puntata, la sgattaiolata in un’altra isola … Miaooo

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