Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Alessio Vailati. La mappa del dolore

Home / Recensioni / Alessio Vailati. La mappa del dolore

Quando una poesia riesce ad attingere all’intimità segreta di uno scatto fotografico, di un’immagine che seppur precisa e nitida, rimane vincolata all’istante che l’obiettivo ha saputo catturare, l’invisibile diventa voce, parola esposta alla nuda luce della memoria. Ogni immagine è apertura, declinazione di vissuti interiori, spesso dolorosi che cercano la via del senso in una palude di riflessi. I versi di Alessio Vailati s’insinuano tra le pieghe silenziose di trenta fotografie che hanno meritato il noto premio Pulitzer, tra frammenti di realtà colti dai migliori fotoreporter del mondo. Le sue riflessioni su ciò che la storia non dice, cercano tra i suoi margini, si riappropriano dell’evento accaduto per decolonizzarne la narrazione. Le immagini a corredo del libro (scaricabili da un qr-code sul retro copertina) sono solo un punto di partenza, un sasso gettato nell’acqua perché i testi si espandono e prendono corpo nella loro autonomia meditativa, nel loro irradiante moltiplicare la scena visiva di quei tragici avvenimenti legati a guerre, emarginazione, discriminazione razziale, emigrazione, povertà, violenza. Alcune fotografie hanno segnato momenti cruciali della storia contemporanea, come quella indimenticabile e straziante della “napalm girl”, Kim Phuc, che corre nuda e ustionata dopo un bombardamento in Vietnam:

([…] Le mani sono aperte in un volo/appena reciso nel suo spiccare,/ un volo rovesciato che appare /nel ripiegare dei lembi/sottili espressivi dei labbri /E questa piaga, questa ferita /che ha bruciato le vesti/ora grida e in aria si libra /come un rapace-brutale-/incisa nella storia [..:]. (In “ La ragazza di Trangbang”, Nick Ut ,1973, V, pag. 58) La foto non solo vinse il Pulitzer, ma riuscì a scuotere l’opinione pubblica mondiale, contribuendo a far mutare il consenso verso la guerra.

La varietà tematica della selezione fotografica , che si dispiega in un ampio arco temporale (dal 1944 al 2017) riesce a tracciare , per il suo valore etico-simbolico , una vera e propria “mappa” del dolore nel senso sia letterale che metaforico. Diversi gli scenari ma unico il filo che li unisce in un coerente itinerario nella sofferenza umana che penetra la densità e la forza della testimonianza in cui sembra impossibile fare breccia. Trenta riflessioni in versi i cui titoli non sono gli stessi di quei memorabili scatti che hanno saputo catturare la tragedia e le tensioni di un istante, ma soprattutto ciò che la storia non avrebbe saputo dire :

([…].Dirà la storia/ di altre vicende, non di quella stretta /amorevole tra il padre e la figlia,/del viso muliebre che ancora aspetta /il bacio con la gioia fra le ciglia.). Si allude qui a “Il ritorno di un eroe “di Earle Bunker, 1944: in quei duri anni molti soldati statunitensi erano al fronte e le famiglie aspettavano il loro rientro. I giornali e le fotografie spesso celebravano il “home front” (la parte domestica della guerra) per sostenere il morale pubblico. Tuttavia questa memorabile foto non è solo un’immagine potente di “propaganda sentimentale”, nel senso che fa leva su emozioni forti come patriottismo, amore familiare, sacrificio patrio. Qui la guerra non è mostrata nei suoi aspetti più crudi, ma nel momento più atteso, quello della riconciliazione, della speranza, del sollievo della fine . In termini di memoria, immagini come questa hanno contribuito a costruire l’immagine della Seconda Guerra Mondiale nella coscienza collettiva non solo come conflitto militare, ma come esperienza sociale, umana, familiare e Vailati riesce a cogliere e comunicare quella contrazione del tempo che accorcia le distanze tra i fatti accaduti e il loro convergere nell’intelaiatura concettuale dell’opera. A 30 anni di distanza dalla foto precedente, il tema del ritorno dei soldati nelle loro famiglie al termine della guerra continua ad assumere i tratti di un evento di grande complessità psicologica. Esemplare la foto che mostra il ritorno dal Vietnam del Nord dei prigionieri di guerra americani appena liberati. È il 17 marzo 1973 quando Veder vince il Premio Pulitzer per quella foto scattata alla base aeronautica di Travis, in California che mostra il ricongiungimento del tenente colonnello Robert L.Stirm alla sua famiglia . Il rientro,dopo un’esperienza così devastante , significa ancora una volta confrontarsi non solo con le ferite fisiche, ma con un trauma silenzioso che sfida l’identità, le relazioni e il senso di appartenenza. Spesso la società, uscita anch’essa devastata dal conflitto, è impreparata ad offrire ascolto, comprensione, assistenza psicologica: il rischio è che questi reduci restino isolati, dimenticati. Senza un supporto istituzionale che riconosca la dignità del vissuto e faciliti il reinserimento, il loro ritorno rischia di diventare solo la fine di un viaggio, non la ricostruzione di una vita. Le loro giornate porteranno ancora segni visibili della guerra nei sopravvissuti ormai veterani e forse la vita ricomincerà sulla falsariga di un’altra guerra, più subdola, quella in cui il nemico, secondo Vailati, striscia nel tessuto sociale delle disuguaglianze, dello sfruttamento e della miseria.

In “Il cammino delle lacrime” un serpentone umano di profughi in cammino, si dirige verso una terra promessa. La foto ispiratrice è quella di Martha Rial, nota per i suoi ritratti dei sopravvissuti ai conflitti etnici in Ruanda e Burundi. Un flusso di rifugiati che trasuda disperazione, lo scempio che ancora intride brutalmente la terra insanguinata dall’ odio profondo ([…] Ecco la deriva immorale, il fiume/ della violenza di un genocidio /e il conflitto insensato radicale/ nell’Africa centrale. Il barlume/della speranza è fievole un dio/randagio si è smarrito al sole /che incendia con forza, bruciata l’ombra /anche l’ultimo brandello di illusione […] pag.96 ). Vailati disegna una visione apocalittica dell’umanità dentro un fuoco acre di campi in cui il genocidio tra Hutu e Tutsi diventa metafora del male e di quella perdita di senso che non ci ha abbandonato . I carri armati israeliani che oggi ergono barriere di sabbia lungo la via al Rashid, pattugliata da elicotteri e droni ne sono la più esemplare testimonianza. Chi si sposta da Gaza City per cercare cibo, al ritorno trova solo strade sbarrate o viene brutalmente ucciso. L’immagine del “fiume della violenza” richiama il flusso inarrestabile della disumanità che travolge ogni valore sotto gli occhi di un “dio randagio”, di una perdita morale dopo la quale non sopravvive più neppure il rifugio simbolico della speranza. L’autore costruiscein tutta l’opera un discorso etico-civile che mostra il naufragio dell’umanità nella sua incapacità di riconoscersi nell’altro. Confrontando i suoi versi con quelli di poeti come Mosab Abu Toha o Hiba Abu Nada è evidente quanto convergano almeno su un punto: la comune denuncia della nostra incapacità di ricordarsi cosa significhi  essere umani. Tuttavia, se in Vailati domina il senso di estinzione della speranza, in Darwish e nei poeti palestinesi resta una memoria di luce, una fede nella parola come ultimo rifugio contro la distruzione. Un ipotetico dialogo tra testi rivela due prospettive etiche complementari: Vailati osserva la tragedia dall’esterno, come un testimone disilluso che denuncia la colpa universale dell’uomo; Darwish e i poeti di Gaza parlano dall’interno della ferita, trasformando la poesia in un atto di sopravvivenza e di testimonianza. Ogni espressione poetica, tuttavia, ci ricorda che ogni genocidio — in Africa, in Palestina o altrove — è un fallimento non solo politico ma spirituale: quando si spegne la compassione, restano solo rotte improbabili e folli.

Se la fotografia trattiene la forma, la poesia ne evoca il respiro; se la prima offre il visibile, la seconda ne rivela l’invisibile, facendosi strumento di risonanza interiore. Scavare, setacciare, cogliere fondi di tristezza, sentire la tragica consapevolezza di essere in balìa degli eventi. ll Premio Pulitzer del 1959, assegnato a William Seaman del Minneapolis Star per la fotografia che ritrae la morte di un bambino in strada, rappresenta uno dei momenti più intensi del fotogiornalismo del Novecento. L’immagine, che congela l’istante tragico di una vita spezzata, colpisce per la sua cruda immediatezza emotiva: il corpo del bambino, la carrozzina rotta, il vuoto attorno, sono elementi che nella loro semplicità compositiva, comunicano la devastante realtà della perdita. Nella riflessione del poeta ispirata a quell’episodio ([ …] un botto un urlo un crollo/immaginarsi cos’è stato / Ora sotto il lenzuolo /un corpo esangue inerte/piccolo e senza fiato/A terra non è rimasto /che un segno del passato:/una vita di passaggio /un fiore fragile falciato/al tepore del primo raggio / […] pag 18) l’immagine cattura l’impatto emotivo affiorante dalla crudeltà della perdita. Elementi come la carrozzina rotta, la posizione del corpo, lo spazio attorno che rimane vuoto, rafforzano la potenza visiva che ritorna nel messaggio universale della poesia: la tragedia può avvenire in qualunque momento. Il linguaggio di Vailati è evocativo, capace di richiamare immagini, sensazioni, odori, rimanendo spesso nel registro del suggerito e questa sua postura letteraria lascia spazio al lettore, che entra gradualmente nella dimensione interiore, nel valore di quel frammento autentico di realtà, nel mistero precario della vita. La forza della poesia risiede dunque nella capacità di trasformare un fatto di cronaca in un simbolo universale, dove la “vita di passaggio” diventa emblema di quel misterioso spaesamento della ragione di fronte all’ambiguità dei fondamenti morali ed ontologici dell’esistenza. Non c’è il compiacimento estetico del dolore ma il suo impatto etico- emotivo: ricordarsi che la tragedia può irrompere “al tepore del primo raggio”, cioè nel momento più inatteso della quotidianità.


In più raccolte Vailati ha affrontato il tema dell’ “essere smarriti” in un mondo soggetto a continui mutamenti . La condizione dell’uomo contemporaneo è quella di chi fa fatica a orientarsi nella realtà. La sua cifra stilistica è sempre misurata e sobria, non fornisce risposte ma anche questo aspetto rappresenta una risposta. Il cardine di queste trenta riflessioni poetiche è la coerenza tonale che non prevede salti repentini da un tema all’altro ma lo sviluppo di temi paralleli che si rispecchiano, ritornano, si trasformano, si plasmano focalizzandosi sul disprezzo della vita, la dignità dell’uomo , le cicatrici della guerra, le disuguaglianze sociali, il destino degli “ultimi” , il dolore interrogato, i diritti ignorati o distorti per coprire politiche di potenza .

Daniel Berehulak  nel 2017 vinceva la sezione “General News – first prize stories” al World Press Photo con They Are Slaughtering Us like Animals, un crudo e toccante reportage sul pugno di ferro usato dal Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte contro i narcotrafficanti. Nella foto, una forte pioggia cade su un corpo freddato da due uomini armati in motocicletta. È solo uno delle migliaia di omicidi irrisolti nelle Filippine da quando il presidente è entrato in carica e ha avviato la sua brutale repressione   ([…].Romeo Joel Torres Fontanilla/ è il suo nome ignoriamo la colpa /E un rombo shizzato dal fango /nel diluvio di pioggia l’ha schiantato/mentre due armati scivolavano/nel buio dopo il lampo dello sparo/e la pioggia battente nel chiaro /scialbo di un fanale ne attutiva /la caduta definitiva […].( In “ Il cinico disprezzo della vita umana”, Daniel BerehulaK, V, pag 130 ).

La violenza si annida ovunque quando la mano del potere la legalizza con le sue azioni”. (ibidem). Nessun verso poteva essere più vicino allo status quo; si leva come un grido al di sopra della storia e lascia un’ impronta riconoscibile nelle raccolte di Vailati . Misura ed equilibrio sono il centro gravitazionale dei pensieri . Nessun rischio di forme irregolari o dissonanti perché la sua poesia non va alla ricerca di una sperimentazione ma mostra limpidamente lo smarrimento dell’uomo di fronte all’inconoscibilità dell’enigma occultato nel male che ci espelle al di fuori della condizione umana. Ed è proprio a partire da questa inconoscibilità che la poesia cerca la sua strada, nel nostro futuro anteriore, nel vuoto degli sfondi, nei lacerti di cieli.

Rossella Nicolò 

Click to listen highlighted text!