Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Chiara Mezzalama anteprima. L’inadatta

Home / Anteprime / Chiara Mezzalama anteprima. L’inadatta

La terra”, disse, “che sia legno o sabbia o cemento; è sempre sulla terra che devono poggiare i piedi. I piedi sono le tue radici. I fianchi sono il baricentro. Il cuore è il motore. Tutto il resto viene di conseguenza”.

Chiara Mezzalama, scrittrice, traduttrice e psicoterapeuta, divide il suo tempo fra Parigi e Roma e ha pubblicato per E/O i romanzi Avrò cura di te, Il giardino persiano, Dopo la pioggia — presentato al Premio Strega 2021 da Jhumpa Lahiri — e Le nostre perdute foreste.

L’inadatta pulsa di jazz: ogni pagina è un salto, un giro, un colpo di batteria.

Grace, figlia ribelle di un’America bianca e benpensante, scopre la danza da bambina e da allora insegue la libertà nei suoi movimenti. Un matrimonio lampo le regala una figlia e un dolore feroce quando il marito gliela strappa via.

Per soffocare la perdita fugge a New York, un caleidoscopio di luci, musica e rivoluzione artistica. Qui incontra l’amore rovente di un trombettista afroamericano del quartetto di John Coltrane e diventa una delle voci più audaci della postmodern-dance, intrecciando improvvisazione e performance in coreografie che bruciano di vita vissuta.

Ma la città che promette tutto presenta il conto: droga, razzismo, precarietà. Tra vertigini creative e cadute rovinose, Grace si sente spesso “inadatta”. Eppure, la danza resta la sua ancora come donna, madre, amante, artista.

Uno splendido ritratto della fragilità: “I medici mi facevano paura. Doveva essere un timore legato a mio padre, al potere che esercitava sulle sue pazienti e aveva esercitato su di me. Non mi piaceva l’idea di mettermi nelle mani di qualcuno, anche se era per il mio bene. Avevo sempre avuto una totale padronanza del mio corpo. Anzi, il mio corpo era stato l’unico vero ancoraggio della mia esistenza. Per questo la danza mi aveva salvata; aveva permesso al mio corpo di esprimersi, di prendere il sopravvento sulle disgrazie della vita, sulle mie emozioni instabili, sui miei sbalzi di umore, su tutto. La danza era la parte migliore di me, ma senza il corpo, non si può danzare. Ecco perché l’idea di perdere la libertà di movimento semplicemente mi atterriva.”

Non mancano gli incanti romani: “Venne la primavera con i suoi profumi e i suoi colori. Un pomeriggio mi invitò sull’Aventino al giardino delle rose fiorite a guardare il tramonto sul Palatino. C’era qualcosa di maestoso e al tempo stesso di spaventoso. Per noi americani tutta quell’antichità ha qualcosa di incomprensibile. Ne ero affascinata ma in parte anche oppressa. Come si poteva creare qualcosa di nuovo di fronte a tanta perfezione, davanti a quella stratificazione di ingegno degli esseri umani?”.

Con empatia e immaginazione, Chiara Mezzalama dipinge il ritratto di una protagonista intransigente che fa del ballo la propria lingua madre: un inno a chi danza per esistere davvero.

#

1. New York

Primi anni Settanta

Prima balla, poi pensa. È l’ordine naturale

Samuel Beckett

Nella sala c’era un sentore acre di sudore e l’aria era pesante. Mi piaceva quell’odore; odore di sforzo, di corpo che lavora, di fati-ca.

Respirate a fondo, entrate nel vostro corpo. Adesso provate a sentire i muscoli a uno a uno. Percepite il vostro corpo dall’interno e solo quando lo sentirete completamente, potrete cominciare a muovervi, molto, molto piano. Adesso concentratevi sulle fibre muscolari e il rapporto con le ossa. Ecco lo spazio tra i muscoli. I muscoli sostengono le ossa, i muscoli abbracciano le ossa. Abbracciate le vostre ossa con i muscoli, abbracciate le vo-stre ossa: hug your bones”.

Nella sala qualcuno cominciò a piangere mentre io scoppiai a ridere, un ridere nervoso.

Non posso farlo, non ce la faccio, è troppo per me”, dissi, “non riuscirò mai ad abbracciare le mie ossa”.

Perché? Ridere, piangere, non c’è differenza, sono le emozioni profonde che emergono. Senza quelle emozioni la danza diventa un esercizio di ginnastica. Capisci?”.

Sì, capisco, ma non così. Così è troppo intenso, non ce la fac-cio. Per me la danza esiste insieme alla musica. È la musica che fa vivere la danza. Pensare alle fibre muscolari e alle ossa non mi aiuta a pensare la danza”.

La musica è qualcosa in più. Si può danzare anche senza musi-ca, la musica ce l’abbiamo dentro. Il nostro corpo è la musica e la musica sono le nostre emozioni. Ma non si può danzare senza il corpo, senza la consapevolezza profonda del nostro corpo”.

In ogni caso, non credo che potrò studiare con lei, signora Summers. Non mi trovo. Mi dispiace”.

Non dire sciocchezze, tutti possono studiare con me. Forse stai solo attraversando un periodo difficile, la danza ti aiuterà. E poi ti prego, chiamami Elaine, qui non siamo al conservatorio”.

La danza mi aiuterà… non lo so, ho troppi dubbi, la danza ha portato molti problemi nella mia vita”.

Adesso giratevi su un fianco e alzatevi mantenendo la stessa concentrazione. Ogni movimento, anche il più banale e quotidia-no, merita la vostra massima attenzione. Ogni movimento nasce dall’interno, sentite il movimento nascere dall’interno. Molto be-ne, potete andare. Abbiamo finito per oggi”.

I danzatori si sparpagliarono per la sala dopo un breve applau-so.

Andiamo a bere un caffè”, propose Elaine venendomi incontro, “voglio vederci più chiaro con te”.

Faceva freddo a New York quel giorno, un vento gelido del nord si infilava nelle avenues e sferzava senza pietà.

Odio il freddo”, continuò avvolgendosi in una grossa sciarpa, “devo raccontarti una storia, ma andiamo intanto a ripararci da qualche parte”.

Non ho molto tempo, devo andare a prendere i bambini a scuo-la, abitiamo uptown”.

Per prima cosa, se vuoi danzare, devi venire a vivere quaggiù. È qui a downtown che sta succedendo tutto. E perdere tempo in metropolitana, specie se hai dei bambini piccoli e con questo freddo, è soltanto uno spreco di energia”.

Tutto quello che diceva Elaine era giusto, ma proprio per que-sto mi dava fastidio. Mi sembrava di non azzeccarne una, mi sen-tivo sempre in affanno, in difetto, ero un disastro ambulante che sfrecciava su e giù per Manhattan senza tregua. Stavo bene up-town, avevo delle amiche che mi aiutavano con i bambini, anda-vamo a giocare e chiacchierare a Riverside Park. Ma tutti quei tira e molla con Sam, quello era il vero casino. E anche la danza; non sapevo mai cosa farne. Era davvero la scelta della mia vita? Ave-vo smesso di ballare così tante volte… da un anno studiavo rego-larmente, ma non ero più una ragazzina, e poi dovevo occuparmi dei bambini, avevano ancora così bisogno di me e io di loro. Non avrei sopportato di abbandonarli.

Entrammo in un bar a Prince Street pieno di gente e di fumo e di calore umano, e subito mi sentii meglio. Mi piaceva stare in mez-zo alla gente, avrei voluto lavorare in un posto come quello e con le mance avrei guadagnato bene. Ci sedemmo a un tavolino in un angolo del bar.

Che prendi?”, chiese Elaine.

Un chai bollente”.

Mi raccontò della sua performance, Iowa Blizzard.

Insomma, l’anno scorso sono stata invitata all’università dell’Iowa come artist in residence. Ho detto che ne ero onorata ma ci sarei andata soltanto in primavera perché avevo sentito che l’inverno è micidiale laggiù. Così sono partita ad aprile e due ore dopo il mio arrivo c’è stata la peggior tempesta di ghiaccio degli ultimi vent’anni. Tutto era ricoperto da una coltre di neve, era in-credibile, sembrava di stare su una luna di cristallo. Naturalmente nessun danzatore professionista si è presentato all’audizione. Così mi sono dovuta accontentare di alcuni studenti che si erano offerti volontari. Non c’era tempo per le prove, faceva troppo freddo e allora ho inventato una danza estemporanea; ecco come ho realiz-zato Iowa Blizzard!”.

Elaine aveva una risata contagiosa, leggera come una brezza di primavera, i suoi capelli sottili accompagnavano il movimento grazioso della testa. Il calore del tè raggiunse il mio stomaco, le guance, le mani. Mi sentii bene, per un momento ero al sicuro in-sieme a quella donna più grande di me che sembrava così radicata nel suo corpo e nella sua danza.

Devi continuare a danzare, Grace”, mi disse facendosi im-provvisamente seria, “sei piena di talento. Sprigioni un’energia che devi mettere a frutto, sarebbe un vero peccato sprecarla. Ep-pure sento che hai dei dubbi, resti al margine, non sei ancora en-trata fino in fondo dentro te stessa. Non ci credi abbastanza. Gra-ce, sei sull’orlo del baratro, quella tua risata, prima, in sala, era piena di disperazione, mi hai fatto venire i brividi”.

Ho troppi pensieri per la testa, per questo non posso abbraccia-re le mie ossa. Ridevo di me stessa, della mia insicurezza, di tutto ciò che non riesco a risolvere”.

Mi presi la testa tra le mani e all’improvviso cominciai a sin-ghiozzare. Un fiotto di lacrime che sembrava non dover finire mai. Alzai lo sguardo e vidi gli occhi chiari di Elaine che mi guardavano.

Tieni duro. Prova a mettere nella danza questo tuo dolore. Prova a esprimerlo con il tuo corpo, attraverso il movimento. Dance it. E promettimi di non ridere mai più in quel modo di te stessa. Vieni a lezione, ti aiuterò”. C’era qualcosa di fermo e ras-sicurante nella sua voce, qualcosa che mi teneva insieme.

Attraverso la vetrina appannata del bar vidi i primi fiocchi di neve volteggiare nel cielo.

Ora devo andare”, dissi alzandomi di scatto, “devo prendere i bambini prima che arrivi la tempesta. Scusa Elaine, devo pro-prio… grazie. Grazie delle tue parole, verrò a lezione, promesso”.

Mi asciugai le lacrime con la manica del maglione, infilai il cappotto rosso, il berretto, la sciarpa, i guanti e schizzai fuori dal bar. Un attimo prima di uscire dissi: “Non sono pronta, mi dispia-ce, non sono ancora pronta”, ma Elaine non poteva più sentirmi. Il freddo mi agguantò al collo, togliendomi il respiro. Mi colava il naso per via del pianto, avevo gli occhi arrossati – stai a vedere che mi si congela il moccio, pensai – e affrettai il passo verso la stazione della metropolitana di Broadway-Lafayette Street. Nel vagone caldo e affollato mi appoggiai al palo e per poco non mi lasciai cadere giù dalla stanchezza. Che cosa stavo facendo della mia vita? Che cosa stavo facendo con Sam? Perché diamine era sempre tutto così complicato? Ci mancava soltanto la tempesta di ghiaccio, accidenti.

Click to listen highlighted text!