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David Mamet anteprima. Bambi contro Godzilla. Teoria e pratica dell’industria cinematografica

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La dura legge del film: “Perché la gente che lavora a un film si spacca il culo. Qualcuno protesta? Della troupe, nessuno. L’attore protagonista può protestare, e spesso lo fa. Viene coccolato, giustificato e incoraggiato (con tanto di compenso in denaro) a coltivare la mancanza di controllo dei suoi impulsi. Quando la star fa una scenata, la troupe, sempre beneducata, reagisce come il bravo genitore al supermercato quando il figlio di un altro, nella corsia accanto, combina un disastro. La troupe rimane impassibile e il regista, io, osserva quello straordinario autocontrollo e pensa: «Ti ringrazio, Signore, di questa lezione». Il regista, gli attori, il produttore e lo sceneggiatore sono sopra la riga; tutti gli altri sono sotto.”

L’industria del profitto: “Ho imparato presto l’oscuro segreto dell’industria cinematografica: tutti i film rendono. I soldi, di fatto, scendono dall’alto e più si è vicini alla vetta, più se ne fanno. Piu si è lontani dalla fonte e più si è poveri. E questo il significato del termine profitto netto, che si può tradurre liberamente con ah, ah, ah≫”.

È in libreria Bambi contro Godzilla – Teoria e pratica dell’industria cinematografica di David Mamet Minimum fax 2025, pp. 300, € 18 con traduzione di Giuliana Lupi

David Mamet (1947), maestro indiscusso del teatro e del cinema americani, è autore di pièce memorabili come Glengarry Glen Ross (vincitore del Premio Pulitzer), Oleanna e Perversioni sessuali a Chicago, oltre a sceneggiature cult come Il postino suona sempre due volte, Gli intoccabili e Hannibal. Tra i film che ha diretto spiccano La casa dei giochi, American Buffalo, Il colpo e Hollywood, Vermont. Per minimum fax ha pubblicato anche I tre usi del coltello.

Chi decide davvero quali storie diventano film? Come si presenta un soggetto a un produttore? E perché una sceneggiatura assomiglia tanto a un annuncio per cuori solitari?

Con la sua inconfondibile ironia, David Mamet – regista e drammaturgo di culto – svela i segreti e le assurdità dell’industria cinematografica, rispondendo senza peli sulla lingua a tutte queste domande (e molte altre).

L’autore affronta l’etica e il talento: “Sarebbe considerato di cattivo gusto chiedere un dessert gratis al ristorante perché si ha una zia che sta morendo di cancro. La stessa scorrettezza la si commette filmando o rappresentando il dramma della sofferenza. Chi è privo di talento, poco accorto o in malafede, ha sempre utilizzato espedienti sopradrammatici nella costruzione del dramma, servendosi del patriottismo (vedi quasi tutti i film di guerra) e del perbenismo (Indovina chi viene a cena e via dicendo), perché queste umanissime virtù, praticate in tutto il mondo, sono considerate (inconsciamente) dallo spettatore più valide dell’interesse per il divertimento puro.”

Un viaggio caustico e irresistibile dietro le quinte della più grande macchina dei sogni del mondo, tra inseguimenti perfetti, eserciti di produttori e verità spesso inconfessabili: “L’artista è, in effetti, una sorta di gangster. Si tira su i calzoni ed entra nella banca sorvegliata dell’inconscio per rubare l’oro dell’ispirazione. Il produttore è come uno che, mentre aspetta fuori dalla banca, si vende l’auto per la fuga e se ne resta lì gongolante per il buon affare fatto.”

Una lettura imprescindibile: per chi sogna di lavorare nel cinema, ma anche per si interroga sull’origine della magia del grande schermo.

Carlo Tortarolo

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Tutti i fiumi sfociano nel mare. Eppure, il mare non si riempie. Il cinema, nato come l’ultima trovata commerciale in fatto di divertimento popolare, sembra essere tornato al punto di partenza. I giorni della sceneggiatura volgono al termine. Al suo posto troviamo una premessa alla quale appiccicare le varie gag. Questi eventi, che una volta non erano che ornamenti della storia vera e propria, sono ormai quasi l’unica ragion d’essere del film. Nei thriller gli eventi sono le scene d’azione e le esplosioni; nei film dell’orrore gli squartamenti; nei polizieschi e nei film di guerra le sparatorie e i bombardamenti. Il cinema basato soltanto sui «punti culminanti» è figlio del cinema porno.

La disgregazione del film come dramma rappresenta la fase discendente di una parabola la cui fase ascendente è stata l’avvento del film di genere. Il film di genere aveva un effetto rassicurante sul pubblico che, sapendo già cosa l’aspettava, andava a vedere Bette Davis, Joan Crawford, l’ispettore Callaghan, James Bond, John Wayne e Sylvester Stallone proprio come si sarebbe potuto recare in un cinema a luci rosse o, se è per questo, a una corsa di stock-car.

Oggi le case di produzione puntano tutto sui franchise movie, vale a dire sul richiamo di un pubblico che si è già creato autonomamente. Ed è sempre più difficile collocare sul mercato film non quantificabili, man mano che il modello del franchising prosegue la sua avanzata verso il controllo totale dei budget delle case di produzione e, quindi, del mercato. Tutte le attività industriali migrano infatti verso il monopolio, e la ridotta concorrenza provoca inevitabilmente un calo di qualità.

I fenomeni se non possono crescere si riducono. Ci sono ingranaggi negli ingranaggi: è la fede a muovere l’ingranaggio più grande mentre, come sappiamo, quello più piccolo gira per grazia divina. Gli imbonitori che inventarono i primi cinema e i pubblicitari che ne amministrano l’incarnazione odierna hanno molto in comune; noi, gli artisti e gli artigiani, allora come oggi, ci flagelliamo e ci stracciamo le vesti lamentandone l’incompetenza e la mostruosa cupidigia.

Dopo la grande catastrofe, negli ultimi anni di vita del genere umano, si ritroveranno gli artisti che dipingono le volte delle caverne e i sensali che, come sempre, cercano di sottrarre la selvaggina ai cacciatori onesti. E chissà se qualcuno ricorderà ancora, o riuscirà a credere, che un tempo i due gruppi erano inestricabilmente legati.

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