All’università uscivo con una ragazza che doveva dare un esame che lei chiamava Virginia e le feste. Studiava lingue e letterature straniere così, pur senza dircelo apertamente, immaginavo si trattasse di un esame su Virginia Woolf, una scrittrice inglese che avevo sentito nominare, che però non avevo letto, sebbene volessi già scrivere ma immaginavo, allora, che non ci fosse molto oltre la letteratura nordamericana e, ovviamente, mi sbagliavo di grosso, ma avevo vent’anni ed era normale essere assoluti.
Virginia e le feste era diventato una specie di mantra perché lei, la mia ragazza, era preoccupata e lo ripeteva spesso, studiavamo tutti, almeno a me così sembrava, letteratura. Se non era inglese, era italiana, era francese. Studiavamo gli scrittori, leggevamo i libri ma non ne parlavamo se non per enigmi, enigmi senza pretese di soluzioni, enigmi infantili che valevano solo per noi, innocenti, come Virginia e le feste e tale è rimasta, anche dopo, anche adesso che di libri suoi ne ho letti diversi, dopo aver creato un personaggio che muore proprio come lei, per me Virginia Woolf resta Virginia e le feste o La signora Dalloway, libro suo che più ho amato e che Luciana De Palma in un saggio che esce per l’editore Qed, intitolato Virginia Woolf, Le parole, il tempo, la visione, non analizza direttamente, volendosi concentrare su altri tre capolavori ovvero La crociera, Le onde e Anon, tracciando così una parabola completa, dal primo lavoro all’ultimo passando per quello, forse, più complicato, stilisticamente ardito.
Luciana De Palma scrive un saggio molto scorrevole, di quelli che si leggono come una storia, con la capacità di restituirci Virginia come persona, oltre che come prodigio della scrittura, di tirarla fuori dalle pagine e dal lago, toglierle i sassi dalle tasche, il muschio dai capelli e ridarcela viva, con uno stile che ricorda le opere preziose di Ripellino e di Bertinetti, quello stesso Bertinetti che scrisse che la prosa di Virginia è frutto di una elaborazione formale senza tregua, spesso disperante, condotta nella solitudine della sua stanza…
E in quella stanza tutta per sé Luciana De Palma entra, ci conduce e ci mostra come lei riuscisse a tramutare la narrativa in letteratura, lo sforzo che richiese volersi spingere oltre le forme abusate del romanzo.
Di Virginia Woolf oggi salviamo soprattutto questo suo voler smontare il racconto, eliminare la trama e tutto il superfluo. Salviamo la lingua, la ricerca e la fatica per raggiungere gli abissi in cui si spinse e dove si perse. Perché la Virginia che troviamo nelle pagine di questo saggio davvero ben scritto è un’esploratrice degli abissi, abissi gelidi e disabitati dove la coscienza degli uomini si rifugia e dove lei, senza tregua, si avventurava per stanarli.
Le parole, il tempo, la visione è un saggio utilissimo per chi ha già letto i romanzi di Virginia perché in queste pagine troverà luce dove non gli era sembrato di capire, una luce calda e forte, accogliente e rivelatrice. Ma sarà ancor più bello per chi Virginia l’ha solo sentita nominare e se n’è stato alla larga pensando che i suoi racconti siano vecchi e complicati. A questi lettori sfiduciati Luciana De Palma mostrerà una donna ossessionata dalla scrittura, una donna appassionata, insicura, che cammina citando a memoria i suoi paragrafi a voce alta per estorcere alle parole il suono più accordato. Era splendida Virginia eppure molto triste come, quasi sempre, sono le feste.
Pierangelo Consoli
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Luciana De Palma, Virginia Woolf, Le parole, il tempo, la visione. Qed 2024, Pp.95, Euro 12.