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La verità su tutto. Intervista a Vanni Santoni

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La verità su tutto è l’ultimo romanzo di Vanni Santoni pubblicato da Mondadori nel 2022 e racconta il viaggio, semicircolare, di un risveglio. Cleo è la protagonista di un lungo e travagliato percorso che si snoda tra stadi onirici e stati altri di coscienza. La verità su tutto è in apparenza un romanzo piantato nella tradizione ma i cui rami divergono verso quella forma straniata di scrittura che ricorda Cărtărescuallora spegnevo la luce e mettevo i piedi incalzerottati sul termosifone e guardavo fuori dal finestrone tripartito») e Proust, tra gli altri. La voce narrante si rivolge a un tu, quel tu forse che è il mistero profondo di noi, il respiro cosmico che ci abita. Tanti gli adattamenti e i riferimenti a Cortázar, Weil, e altri fantasmi che appaiono a braccetto di una narrazione che alterna flussi di chirurgia cosmica dei mutamenti interiori a dialoghi perfetti e calzanti nell’uso dei gerghi e i dialetti. Questo romanzo, che apre con un’atmosfera da Personaggi precari, esordio di Santoni, amalgama alchemicamente studio e ricerca esperienziale, filosofia, mistica e musica, passaggi interiori e paesaggi infiniti. La verità su tutto è davvero «il risultato di meriti accumulati nel corso di innumerevoli vite.»

Gianluca Garrapa

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«Cleopatra Mancini? Sicuro! Eravamo insieme alle elementari. Era l’unica che aveva il coraggio di contraddire la maestra.» Prima della storia, le testimonianze. Un elenco di giudizi, di riconoscimenti che ricordano quell’avventurosa vita di Emilio Isgrò nelle testimonianze di uomini di stato, scrittori, artisti, parlamentari, attori, parenti, familiari, amici, anonimi cittadini, ma, ancora, la memoria va al tuo esordio, i Personaggi Precari. In che modo questo romanzo si collega alla tua produzione precedente? Mi pare che in qualche intervista tu ne abbia già parlato. Ci spieghi perché ogni romanzo è parte di un tutto?

Premesso che è verissimo quello che osservi, ovvero che nelle pseudo-epigrafi della Verità su tutto, che alla fine hanno “vinto” su molte epigrafi “vere” che avevo considerato, sono ricorso alle modalità espressive rodate in Personaggi precari, ho cominciato a comporre in una rete unica tutti i miei romanzi con Muro di casse. Lì, per raccontare la cultura rave, un fenomeno multiforme che ha tra le sue caratteristiche quella di essere una sottocultura “a vari gradi di partecipazione”, dai semplici fruitori occasionali a chi ne aveva fatto un radicale stile di vita, passando per chi l’aveva integrata in determinati percorsi politici legati alla pratica dell’occupazione, scelsi di dar parola a tre personaggi che corrispondevano a tali gradi di coinvolgimento, facendo corrispondere a ciascuno un “livello”: da quello fisico, edonistico, a quello intellettuale e politico, fino a quello spirituale. Quando mi posi la questione di come disegnare il personaggio a cui sarebbe stato attribuito il primo livello, quello edonistico/fisico, pensai che occorreva qualcuno abbastanza scanzonato e godereccio, che avesse vissuto l’epopea rave come mero frequentatore, e che fosse allo stesso tempo abbastanza lucido da far considerazioni sensate. A quel punto mi resi conto che un personaggio così lo avevo già, era Iacopo Gori degli Interessi in comune , il mio primo romanzo. Così presi Iacopo, lo invecchiai di dieci anni e lo piazzai in Muro di casse. La si sarebbe potuta dire una scelta pratica, o pigra: in realtà, quando la misi in atto, accadde qualcosa di potente: d’un tratto Gli interessi in comune e Muro di casse erano inscindibilmente fusi assieme. Trovai che questa cosa avesse un potenziale interessante, così ripetei l’esperimento, quando due anni più tardi scrissi La stanza profonda, riprendendo il personaggio del Paride, il più “nerd” del gruppo degli Interessi in comune, e cominciando a seminare anche indizi per futuro: alcuni lettori molto attenti hanno notato che nel gruppo di ragazzini che sperimenta il gioco di ruolo Dungeons&Dragons assieme al protagonista, c’è anche una certa Cristiana Michelangelo… Da lì questo approccio è diventato prassi: da un lato mi ha permesso di creare una sola macro-opera; dall’altro fornisce ai lettori affezionati livelli ulteriori di lettura. Per fare due esempi tratti da La verità su tutto, la stessa Cleo viene da Muro di casse (era il personaggio a cui era affidato il secondo piano, quello intellettuale/politico – ovviamente si trattava di una Cleo precedente alla svolta mistica raccontata in questo romanzo), mentre l’anziano Antonio del Paradisino, la curiosa comunità dove ripara Cleo nella quarta e decisiva parte del romanzo, altri non è che un anzianissimo Antonio Michelangelo, già padre dei protagonisti dei Fratelli Michelangelo.

«Così su sua indicazione mi leggevo A sangue freddo di Truman Capote e La freccia del tempo di Martin Amis e Body art di Don DeLillo e La palude definitiva di Giorgio Manganelli…»: La verità su tutto si abbevera alla fonte di molti testi, gli esercizi spirituali sono adattati dalla Brhadaranyaka Upanisad, con la letteratura europea è un continuo dialogo fantasmatico. C’è però, nel romanzo, una saggia miscela di testi scritti e esperienza. Che rapporto hai avuto con gli uni e con l’altra? Insomma quei testi gli hai letti pure tu e l’esperienza spirituale ti ha attraversato?

Se vogliamo, sebbene le conclusioni siano del tutto differenti, La verità su tutto è anche la storia del mio percorso, parallelo e in alcuni punti sovrapponibile a quello di Cleo, sia dal punto di vista bibliografico che da quello spirituale. Di certo ci accomuna la tensione tra scetticismo come prassi formazione, e trascendenza come aspirazione e natura.

La verità su tutto è però anche la storia delle stesse ricerche fatte per scriverlo: il tema è vastissimo, e anche se credevo di conoscerlo, quando mi ci sono dovuto confrontare davvero, le letture si sono, come è ovvio, moltiplicate. Anche per questo il romanzo ha richiesto quasi tre anni di lavoro, invece dei diciotto mesi che inizialmente avevo previsto.
Le letture, invece, più letterarie di Cleo, come le quattro che citi, fanno sì parte del mio percorso di lettura, ma non sono particolarmente legate alla scrittura di questo romanzo: sono tutte avvenute molto prima. Il fatto è che, mentre cominciavo le mie riflessioni, ho capito che rispetto al cosiddetto problema del male, che costituisce la scintilla che dà il la al percorso spirituale e romanzesco di Cleo, la letteratura, e in particolare quella del Novecento, aveva espresso risposte anche superiori a quelle della filosofia, e pertanto è stato inevitabile includerle.

«Che facevo io? Riscoprivo la mia attitudine al comando, all’organizzazione, alla teoresi, caratteristiche giovanili abortite per mancanza di contesti in cui esprimerle.» La verità su tutto è un viaggio anche nel tempo, oltre che nei luoghi altri della terra e della coscienza. Il contesto è davvero così importante e questo mi fa pensare al conflitto che spesso Cleo deve affrontare: tra spiritualità e politica, trascendenza e sociale. Che rapporto hai tu con la politica e la spiritualità?

Anche qua le posizioni di protagonista e autore – quantomeno quelle iniziali – tendono a sovrapporsi, con la differenza che nei movimenti di fine anni ‘90-inizio duemila non sono mai stato un “capetto”, dato che, a differenza di Cleo, non sono un bravo organizzatore.
Nel romanzo, però, il nodo e la dicotomia politica-spiritualità va molto oltre il livello a cui potevo arrivare nella mia esperienza personale. Intanto perché Cleo, con la fondazione di una sua comunità (e dottrina), si trova a confrontarsi col problema della salvezza individuale come qualcosa di potenzialmente opposto a quella collettiva – e quest’ultima è difficile anche solo da immaginare senza un’azione nel mondo: è il “problema del Bodhisattva”, come ha acutamente notato Lucia Brandoli in questo pezzo. Ma non finisce qui: dato che la comunità fondata da Cleo si trova poi a vivere una crescita ragguardevole, fino ad avere centinaia di migliaia di adepti, alcuni dei quali pure un po’ fanatici, come del resto è avvenuto spesso negli anni ‘60 a realtà simili alla “Fondazione Shakti” della Verità su tutto (e come a volte avviene ancora), emerge una questione ulteriore e più grande: si può esercitare il potere senza fare il male?

«comparve un fantasma»: il tuo libro è anche di immagini e musica. La musica del rave e il suono della meditazione sono tutt’uno con i colori e l’odore dei paesaggi. I luoghi che descrivi sono a volte familiari a volte lontanissimi. Ma torniamo a questa immagine e al desiderio che Cleo ha di andare a vivere a Parigi: perché proprio una filosofa e mistica francese?

In realtà il riferimento parigino viene anzitutto da Morelli: questo personaggio, che ho preso in prestito e rimaneggiato dal sommo Rayuela di Cortázar, e che incontra e ispira Cleo in modo decisivo, nel suo “romanzo originario” vive lì, negli anni in cui Parigi era ancora, se non il centro del mondo, almeno quello della filosofia e del pensiero. Questo punto di partenza “francese” mi ha permesso poi di arrivare a Weil, ma anche ad altri autori, tra cui citerei almeno Lyotard che, per quanto non presente esplicitamente nel testo, ha un ruolo centrale nella riflessione che sta dietro alla Verità su tutto: è stato lui, infatti, nella Condizione postmoderna, a notare per primo come il sapere si andasse separando dalla formazione umana, dalla Bildung. È questa lacerazione, di fatto, che mette in crisi la ben formata sociologa Cleopatra Mancini, innescando la sua ricerca, e il suo viaggio verso un ignoto che non di rado si fa grottesco, ma non per questo la vede desistere.

«Ora stanno tutti a parlare di “Rinascimento psichedelico”, ma se non ci fossero stati i rave a portare la fiaccola, non è che qualche neoaddottorato in Inghilterra o in Svizzera si sarebbe rimesso a studiare l’LSD…»

Il filo rosso del romanzo è anche, in fondo, l’esperienza psichedelica e la cultura dei rave. La psichedelia come porta di accesso a una verità altra, come presa di coscienza dell’illusorietà della vita. Qualche tempo fa è uscito La scommessa psichedelica: che rapporto sussiste tra psichedelia e spiritualità nel tuo romanzo?

In un romanzo come La verità su tutto, la psichedelia non poteva non avere un ruolo centrale. E non solo perché è sempre stato uno dei miei temi, a cominciare da Gli interessi in comune. La prima ragione è infatti storica: se oggi le filosofie orientali, lo yoga, la meditazione, il buddismo, e financo il non-dualismo dell’Advaita Vedanta o il tantrismo, hanno la diffusione che hanno in Occidente, lo si deve al fatto che, negli anni ‘60, durante la prima “rivoluzione psichedelica”, decine di migliaia di giovani, posti di fronte a domande radicali dalle loro esperienze con l’LSD – esperienze che, per dirla con Leary, si potevano interpretare solo con le categorie dello spirito – finirono per muovere verso l’India, verso il Nepal, verso il Tibet. Nacque così la famosa hippie trail. Molti di loro, poi, tornarono indietro, riportandosi indietro idee, pratiche, dottrine, che misero radici anche da noi, a volte ibridandosi tra loro in modi inattesi. C’è poi il fatto che negli anni ‘90 la generazione mia e di Cleo, attraverso la cultura rave, che ha radici nel punk e nella soundsystem culture giamaicana, ma anche e forse più nella psichedelia degli hippie, visse un più piccolo, ma sempre decisivo, riavvicinamento alla dimensione rituale, mistica, dionisiaca.

«Ammiravo, nei testi indiani, la capacità di trovare le parole: lemmi come atman e brahman (l’anima individuale e quella universale, che sarebbero poi una cosa sola), dharma e karma (il percorso di ciascuno, ma anche la legge naturale; il frutto delle azioni, ma anche il principio di causa ed effetto), samsara, maya, samadhi e nirvana (l’oceano dell’esistenza, la sua illusorietà, lo stato atto a liberarsi dall’illusione e la definitiva liberazione), o ancora Shakti e Shiva (principio femminile e maschile, yin e yang, dualità»: è uno dei passaggi che preferisco. Che tipo di ricerca hai fatto per riuscire a mescolare finzione e taglio saggistico?

Tanto, tanto lavoro. Tanta lettura. Tanta selezione. Una cosa che ho cominciato a capire quando lavoravo a Muro di casse (che come detto è un romanzo-saggio sulla cultura rave) e alla Stanza profonda (idem ma sul mondo dei giochi di ruolo), ma che ho davvero inquadrato quando scrivevo la quarta parte dei Fratelli Michelangelo, quella dedicata a Cristiana Michelangelo, che è di fatto un romanzo nel romanzo con tratti saggistici (lì il tema è l’arte contemporanea), è che quando si è alle prese col romanzo-saggio è buona prassi non fare tutta la ricerca prima, ma tenerne almeno una parte da leggere durante i lavori, così che i materiali vadano a innervare una materia narrativa già in formazione. Questo processo è stato più facile, anche se più lungo, con La verità su tutto, dato che, essendo il tema la mistica sia orientale che occidentale, la bibliografia di riferimento è vastissima, potenzialmente infinita.

«Nell’armadietto, assieme a un mucchietto di corrispondenza inutile (quant’era che non lo aprivo?), c’era un libro arancione. Il libro di V. sulle feste, ma guarda.» Tra i protagonisti e coprotagonisti compare un V. chissà chi sarà … a parte lo scherzo, come hai lavorato sui personaggi per farli credibili e desideranti, e su te stesso per renderti parte del tuo romanzo senza essere voce narrante? Che legami hai con Cleo?

Questo dispositivo non è così nuovo: un caso recente è lo Houellebecq personaggio della Carta e il territorio, ma gli esempi sono molti, del resto il protagonista della Divina commedia è un certo Dante Alighieri… Certo il caso di Cleo è particolare: partita, come detto, in quanto personaggio secondario di Muro di casse, riapparve in veste, quasi, di alter ego, nel racconto Emma & Cleo, uscito originariamente nell’antologia L’età della febbre pubblicata nel 2015 da Minimum Fax. Da lì ha chiesto spazio, e quando si è presa un suo romanzo, ha anche cominciato a distanziarsi da me: via via che sviluppavo il suo background, i suoi affetti, la sua formazione, non si limitava a farsi più tridimensionale rispetto al personaggio-funzione visto in Muro di casse, ma diventava anche molto più autonoma rispetto al suo autore. Avevamo già idee un po’ diverse a quei tempi; adesso abbiamo un passato differente, un vissuto differente, e quindi ormai due personalità completamente distinte. In effetti, sono ormai abbastanza poco d’accordo con molte delle cose che lei sostiene o sosterrebbe.

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