materia madre (versione minima) di Barbara Giuliani è il manufatto poetico numero 26 edito da Zacinto nel 2025. materia madre (versione minima) buca il testo e lo moltiplica in un carotaggio che diventa stratigrafia mancante del significante: «Il libro parte da una mancanza, una carenza, un burrone, un buco nero, uno scarto, un incarto, un ritornare e uno stare.» Il buco radicale come strappo della radice alla terra, come permanenza di un legame dissanguato da un cordone non desiderante né voluto. Il gesto di infilare ombrelloni, cazzi e imprimere segni sulla sabbiamateria, sono il tuttuno pendente del bucocosmico da cui si escetrafitti dal caosmo genetico. Siamo forse cilindri di terra in vertici e orizzonti plurimi? Evidentemente sì, se «la scrittura ti permette di sconfinare, di strappare circuiti, di rovistare in ogni atomo, di poter essere qualsiasi cosa e tornare alla forma ancestrale di un embrione.» L’etereo assente del materno che nega: in questo tubo è la sua presenza. Il desiderio mortomaterno scava buco essendo bucolei, la parola ci è piovuta addosso di un latte acido che spreme secchezza e si disfa in «nove storie poetiche che girano nell’intorno della relazione tra madre e materia, del ruolo di essere figlio, del non essere madre, del partorire, del morire e di tutta l’epopea legata alla figura della madre in quanto tale.» La scrittura di Giuliani pone allora costruzioni sul vuotobianco da inverginare o queste terre già da sempre si fanno gesto di noi partorienti e partoriti simboli senza reale ma di realtà colma? Il lavoro di materia madre (versione minima) si colloca sul potenziale materico di una poesia che «si possa vedere, non ipotizzare, che possa essere un grattacielo o una casa fungo, una strada sterrata o la via lattea, l’importante è che sia viva.» In questa descrittura è sempre da un tubobuco che passa lo sguardo, losguardo come laparola di lacaniana memoria, uno sguardo che pretende il desiderio della purezza incompatibile per natura con l’annegare censorio: «tutto quello che viviamo è filtrato, stiamo vivendo in un enorme setaccio, e non siamo noi a scuoterlo. Non sono interessata alla politica, mi annoia profondamente.» Quale estranea scava dal buco la stratigrafia? Un carotaggio è nascere e da terra, nella stesura studiata degli arti, osservare il blu farci buchi? Il fallo: è questo mancante a punta che stropiccia fogli e fa dei vuoti acuminati puntuali grembi indesiderati? La scrittura è percezione materiale di carne bucatabucante. Di fuorifori, sbalzi che nel vuoto conducono nel dentro macchinico perché la poesia di Giuliani è di «relazioni tra essere umani e non, e di loro non mi interessa la parte sentimentale, ma il tessuto sociale in cui sono colati. Attraverso i miei “personaggi” riesco a contestare lo status quo […]» E poi in quale scena del blu stanno le parole, e chi le dice, quando si nasce, chi ci nasce? Non è questo, è sempre altro lo scrivere in poesia di Giuliani…
Gianluca Garrapa
#
Qual è stata la genesi del tuo libro e perché hai desiderato scriverlo?
Ho iniziato dalla parola maceria e l’ho portata con me per molti mesi. Poi è arrivata la parola materia e l’ho custodita per altro tempo fino ad accoppiarla con madre. In quel momento ho capito che l’intuizione che avevo avuto era solo figlia di una storia che m’era stata raccontata. Mi sono ritrovata in una storia orale, che non era mai stata scritta. Il libro parte da una mancanza, una carenza, un burrone, un buco nero, uno scarto, un incarto, un ritornare e uno stare. Lo starter è stato non sapere chi fosse la madre. Ero in uno stato di non conoscenza, una sorta di nascondino al buio. Prima di iniziare a scrivere, ho costruito l’impalcatura del libro, i capitoli (rizoma, cartilagine e pigmento), e le trame. Ho letto altri autori, come per esempio Antonio Porta con Poemetto con la madre, Umberto Saba con Preghiera alla madre, e soprattutto Elsa Morante con Il mondo salvato dai ragazzini, da cui ho preso in prestito l’esergo, e altri autori, come Calandrone e Nove. Dopo due anni di gestazione ho iniziato a scriverlo, è stato scritto tutto interamente in sessioni COS, acronimo di collettivo operativo di scrittura, da agosto 2023 a gennaio 2024. Non l’ho desiderato questo libro, mi aspettava, un po’ come la sposa all’altare. Un ingegnere non desidera, progetta, un chirurgo non desidera, opera, un poeta non desidera, scrive.
Quando scrivi, godi?
Relativamente. Scrivere è un atto che mi logora, sfinisce, sia fisicamente che mentalmente. Quando scrivo entro in una specie di trance agonistica mista a una trance onirica. Scrivere diventa un atto naturale, come respirare o camminare, tutto si allinea, posso permettermi qualsiasi azzardo. Questo è il momento in cui godo: osare. La scrittura ti permette di sconfinare, di strappare circuiti, di rovistare in ogni atomo, di poter essere qualsiasi cosa e tornare alla forma ancestrale di un embrione. Scrivere è il mezzo più potente e dannatamente pericoloso che conosco. Con la scrittura sono in grado di essere chi voglio, per questo quando si scrive la minaccia più grande è quella di perdere il controllo, sbrodolare nei sentimenti e farsi inghiottire dalla nostra parte ombelicale. Scrivere non è una cura, è solo un modo possibile di dominare e piegare il cosmo. È la cosa più vicina a Dio che mi sia capitata tra le mani, e per alimentare il nostro ego è il perfetto nutrimento.
Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?
Questa del libro è una versione minima, solo le poesie “ uno” dei capitoli rizoma, cartilagine e pigmento. La versione integrale prevede nove storie poetiche che girano nell’intorno della relazione tra madre e materia, del ruolo di essere figlio, del non essere madre, del partorire, del morire e di tutta l’epopea legata alla figura della madre in quanto tale. In questa parte il blocco più complicato per me è stato scrivere preghiera contro la madre un contro canto a Saba, in cui ho tentato di scrivere le cose in poetese, di non addobbare lo scritto con date, numeri, riferimenti geografici, ma di lasciare una sorta di purezza alle parole. Non lavorando in questo senso, ho dovuto piegare la mia scrittura al dire semplice, ma non sinonimo di facile. Questo libro non parla del rapporto con mia madre, cosa che potrebbe sembrare scontata, per quello credo che il ruolo deputato sia il mio terapeuta, con cui oltretutto negli ultimi anni condivido la mia esperienza di scrittura e ne parliamo durante la seduta.
Tratto dal finale di pigmento uno:
appendice.
preghiera contro la madre.
non chiedere di venire al mondo
a un figlio sconosciuto,
a un corpo ipotizzato negli strati,
a un agglomerato non urbano
di vendicare la tua terra.
lascia cadere in rovina il tuo grembo,
gettalo in un campo di ortiche in cancro,
rovinalo con relazioni violente, livide e sbottonate.
non perdere tempo nella tua giovinezza e
nella tua vecchiaia a cercare un nome
memorabile da poter piangere.
termina madre la ricerca di un dolore,
eliminato dal mio non esserci.
non ti affaticare a trovare
una soluzione nascente,
qui tutto è morto,
già diagnosticato e nessuno ti chiede
perdono, per esserci o non
stata.
smettila di sistemare la tua vita,
per accoglierne un’altra
che non vuole condividere con te
nemmeno lo spazio di una tregua.
arrenditi madre,
al danno epocale
che siamo stati capaci di creare,
ma non di debellare,
siamo una malattia atavica.
accomodati, ti lascio del rancore.
Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?
Sono ossessionata dalla poesia reale, una forma di poesia visibile, 3d, realizzabile, concreta nella materia, un luogo in cui la polvere si possa depositare. Collaboro spesso con artiste che hanno l’arte nelle loro mani e plasmano la materia a loro piacimento. Ecco io voglio che la mia poesia si possa vedere, non ipotizzare, che possa essere un grattacielo o una casa fungo, una strada sterrata o la via lattea, l’importante è che sia viva.
Che rapporto hai con la censura?
Censura? Cosa è la censura? Credo sia una prevaricazione dell’altro sull’altro, un modo come un altro per applicare la propria forza verbale, che si riversa poi in delle azioni. Non è applicabile nella scrittura poetica, la parola censura e la parola poesia non hanno modo di coesistere, la poesia per sua natura del fare non può sottostare all’inerzia. Posso autocensurarmi quando sono io a deciderlo, ma solamente perché il quel momento non ho voglia di discutere, ma sono consapevole che non ho questo potere decisionale sulle piattaforme social, perché potrei essere oscurata pubblicando un seno in una fotografia di Letizia Battaglia, ed è capitato. Voglio ancora credere di poter decidere, ingenuamente. Tutto quello che viviamo è filtrato, stiamo vivendo in un enorme setaccio, e non siamo noi a scuoterlo. Non sono interessata alla politica, mi annoia profondamente.
Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?
Entrambe. Quando scrivo ho dei mesi in cui mi dedico alla scrittura, all’interno di essi ho degli orari, una tabella di marcia, mi siedo, perché scrivere prevede lo stare seduti e non aspetto nessuna urgenza, quella solo per andare in bagno, e nessuna ispirazione, quella solo se mi dovessi trovare da sola sul Nanga Parbat, mentre un pakistano tenta di vendermi delle rose fuori stagione. Scrivere è un lavoro, non ci si improvvisa, occorrono studio, dedizione, un po’ di sacrificio sociale e alcolico. Scrivo principalmente di relazioni tra essere umani e non, e di loro non mi interessa la parte sentimentale, ma il tessuto sociale in cui sono colati. Attraverso i miei “personaggi” riesco a contestare lo status quo, proiettarli e muoverli come in un grande spettacolo teatrale.
#
Barbara Giuliani, materia madre (versione minima), Zacinto Edizioni,
2025.