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Mikhail Yuryev. Il Terzo Impero. La Russia come dovrebbe essere

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Più di 500 pagine, prova provata del fatto che la prolissità, almeno quella scritta, è ancora ben sedimentata nel DNA degli autori russi, dense di domande, già meno di risposte, per quello che comunque mi sento di non esagerare a ritenere un prossimo ingresso, e meritatissimo, nel gotha della letteratura utopica mondiale (Mikhail Leont’ev, autore di una delle due prefazioni presenti in volume, lo dice chiaramente che “il genere del Terzo Impero è la classica utopia […]. L’utopia è un genere che in seguito è stato completamente messo in ombra dalle distopie, meravigliosi allarmismi visionari su come le cose non dovrebbero essere, ma inevitabilmente saranno”; in quarta di copertina, però, a mo’ di hashtag, il genere dello scritto viene indicato dai termini #dystopic e #uchrony, ma è ovvio che la motivazione di questa divergenza stia nella posizione ideologica, con tutta evidenza differente, di autore e editore italiano)!

Ammetto che non mi è facile scrivere qualche riga su un romanzo (perché, in fondo, di romanzo si tratta, anche se le parti che io definirei saggistiche almeno doppiano quelle dialogico-letterarie) del genere, e non tanto perché non sappia cosa scrivere (fosse così, nemmeno avrei iniziato), quanto perché si tratta di un lavoro con così tanti significati sottesi che, a toccare un argomento, come in un gioco di scatole cinesi (anzi, di matrioske, per rimanere in tema russofilo) o effetto domino che dir si voglia, si rischia di continuare ad aprire parentesi, a dover fare precisazioni su precisazioni, indi per cui a non finirla più.

Nella postfazione a sua firma, l’autore, Yuryev, dichiara esplicitamente che “tutto ciò che è scritto in questo libro, secondo me, è il miglior futuro che il nostro Paese [l’allusione, ovviamente, è alla Federazione Russa] possa avere”. La domanda sorge dunque più che spontanea: di cosa parla questo romanzone?

Parla del mondo come l’autore si immagina, e augura, sarà nell’anno 2054: pochi Stati, tutti di caratura e respiro imperiale (o comunque sovranazionale) a spartirsi non solo le terre abitabili del globo, ma anche i poli e le colonie spaziali, risultato di una evidentemente riuscita corsa allo spazio. Dette compagini statali sono: la Federazione Americana, il Califfato Islamico, la Repubblica Celeste, la Confederazione Indiana e, ovviamente, il protagonista indiscusso e assoluto della trattazione, l’Impero Russo (definito “il Terzo Impero” poiché – è perfino inutile precisarlo – successivo ai due precedenti, quello zarista e l’URSS, che Mikhail Yuryev, nato e cresciuto in epoca sovietica, preferisce definire “Impero Rosso”).

Ciò che però può interessare ancora di più è la modalità di narrazione delle vicende: l’autore, infatti, interviene soltanto nell’altra delle due già menzionate prefazioni e nella sempre già citata postfazione; il narratore, decisamente onnisciente, del tutto non è infatti Yuryev, bensì tal Alvaredu Branku dos Santos, giovane cittadino della Federazione Americana di etnia latina (rivela di essere nato a San Paolo del Brasile nell’anno 2025), dottorando in Filosofia presso “l’università che prende il nome dai sette Bush, a Houston, in Pennsylvania” con una tesi dal titolo “Organizzazioni di rete autosufficienti nella comunità umana”, desideroso di dare eguale valore alla teoria e alla prassi e dunque, dopo l’iniziale opposizione del proprio docente supervisore (“tutti gli yankee – e ancor più gli yankee del New England, come il mio professore -, per ragioni comprensibili non amavano la Russia, a differenza di noi latini e brasiliani”), inviato in territorio russo al fine di potersi dedicare a “l’analisi comparativa di come sono organizzate le cose nei diversi paesi”. Stiamo parlando, però, di uno “studente con la camicia”, dal momento che il nostro narratore/dottorando rivela, nel presentarsi, parlando di sua madre, che “suo zio, mio prozio, Alvaredu Branku, è il leggendario fondatore e primo Presidente del nostro Paese”. I dodici mesi di permanenza nei territori del Terzo Impero fanno quindi maturare ad Alvaredu Branku dos Santos (l’ultimo è il nome di famiglia paterno) l’idea di scrivere un libro sulla Russia destinato a un pubblico più ampio di quello che sarebbe potuto essere quello interessato alla lettura di una tesi di dottorato in Filosofia Politica.

L’analisi del nostro si suddivide in due parti, la prima intitolata “La storia della Russia”, la seconda, più densa e composita, “La Russia di oggi” (ricordiamo che, con “oggi”, si allude all’anno 2054). Ed è proprio all’interno di questa seconda parte, che occupa i tre quarti abbondanti delle pagine, che si struttura la descrizione, per filo e per segno, di quella che mi spingo a definire (anche) la carta costituzionale di quella Russia! E, insieme a ciò – seguirà piccolo elenco non esaustivo -, riferimenti alla politica estera ed interna, ai rapporti tra Stato e fedi religiose, agli ordini (o ceti, o classi sociali o caste), il tutto presentato con una dovizia ed una ricchezza di particolari tale da far spesso dimenticare di essere tra le pagine di un romanzo utopico (o distopico o ucronico) e non tra quelle di un saggio a metà strada tra (geo)politica, sociologia, strategia militare e dottrina dello stato.

Ci sarebbe talmente tanto altro da dire che mi fermo qui. Anzi, no, almeno un breve cenno all’autore e alla “teoria del complotto” che starebbe dietro la realizzazione del libro – come se ce ne fossero poche – va fatto. Si dice che questo romanzo fosse molto popolare, tempo addietro (la prima edizione originale è datata 2007, la seconda 2018, questa è la prima traduzione italiana) tra l’entourage dei più stretti collaboratori di Vladimir Putin essenzialmente perché, tra le sue pagine, Mikhail Yuryev avrebbe “predetto con sorprendente accuratezza gli eventi che si sono svolti in Ucraina nell’ultimo decennio”; i meno “mistici” addirittura ritengono che questo testo sia stato preso a modello strategico per i successivi movimenti di conquista dallo Stato Maggiore dell’esercito russo! Nemmeno la persona dell’autore (oltre che uomo d’affari – non oligarca! -, imprenditore, esponente politico e conduttore televisivo) è esente da ipotesi balzane circa la sua morte, occorsa nel 2019, a sessant’anni d’età.

Personalmente, questi sono ambiti nei quali preferisco non addentrarmi; tra l’altro, ho letto abbastanza libri (per quanto sempre troppo pochi) per credere alle effettive capacità di preveggenza di diversi scrittori, e senza che debbano intervenire servizi segreti o ipotesi di scrittura sotto la dettatura dei fantomatici poteri forti, più o meno locali. Per quanto riguarda le illazioni circa la dipartita dell’autore, a me hanno sempre insegnato a rispettare i morti, dunque aggiungo solo – e poi veramente concludo – che mi dispiace che questa ci impedisca di gustare altre sue proposte, oltre a quella ottima che ho provato a recensire qui, al di là dell’idea che ciascuno di noi può avere sui fatti che stanno insanguinando la Vecchia Europa (ma almeno dal 2014, non dal 24 febbraio 2022).

Alberto De Marchi

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Mikhail Yuryev, “Il Terzo Impero. La Russia come dovrebbe essere”, Fanucci Editore, 2024, 538 pagine, euro 19.90.

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