Sei analfabeta dinanzi alla follia. Annerire l’anima è come ballare sui carboni spenti. Nel tramestio dell’agitazione speri di sentire, ancora vivo, il fuoco della vita. Ti distacchi da essa seccando la tua verità. Non sei legato più a niente, né all’alba né alle scelte. I ricordi ti tormentano, ti fanno battere i pugni contro il muro del delirio. Finisci nel reticolo di voci impastate di rimproveri, di tradimenti che vivi come impetuosi rovesci di una quotidianità abbracciata all’infamia. Appartieni al temporale che fa da coro ai pensieri ingoiati dal vuoto. L’assalto alla memoria spezza il presente confinando l’inferno negli istanti infiniti. Ecco che avverti il respiro dei nomi che appartengono al passato e di quelli che ti sono lontano farsi peso sulla parete della confessione che, per te, non sarà mai una vergogna. Addolorato dal tutto che tocca il niente, parli al di là dello scuro. Sai come e dove vanno a finire i pazzi. Ciò che ignori, sino a quando non lo diventi, è la muta delle idee che scombina e che cambia la verginità dei pensieri, tranne quelli sulla morte. Oscillano nell’aria perché accompagnarli con le parole sarebbe un ulteriore atto di follia. Vivi nel mondo delle ombre. Chi ti è accanto sente l’inverno nelle ossa farsi silenzio, rimpianto, pianto. Il tuo è un salto nel vuoto senza alcuna protezione. E’ il lutto perenne sugli avanzi di una vita che ti ha portato alla ribellione contro le porcate dei soprusi in ogni ambito e tessuto sociale. Il distaccamento dalla realtà avvelena la mente. Pensi, pensi, pensi e ancora pensi per trovare una risposta, pur minima, ai complotti interiori che ti sfiancano fino a lasciarti ebete in un terreno che non riconosci. La pazzia è il testamento della tua testa che ti dice cose che costruisci a modo tuo. E’ anche l’ammasso di pietre che poi crollano una ad una per fare spazio ad altre ancora più grandi e addirittura più pesanti. Non c’è verità che supporti l’idea di un delirio che arriva dal buio che prima è stato luce. Ti inginocchi sulla terra e trovi conveniente sciacquare i pensieri che trapanano la testa con ciò che non ti torna oppure che torna, ora, con precisa chiarezza. Sei la guardia di te stesso che resiste ai ricatti, alle offese, alle promesse, ai bisbigli e alla paura. Ti fai preghiera, supplica, voce senza suono e urla vacante per uno spazio che ti ha già risucchiato tutto. La parte più importante è quella che non si vede. Alcuni la insabbiano nella banalità altri ne fanno la partitura di una pazzia che diventa edera, crocevia e cenere.
In Di spalle a questo mondo di Wanda Marasco per Neri Pozza (pp 411) conosci una storia febbrile che incarna un dramma, quello di una coppia. Ferdinando Palasciano e sua moglie Olga Pavlova Vavilova conoscono la follia, uno perché la vive e l’altra perché l’ha respirata. Fin da bambino Ferdinando ha odiato la morte tanto da fare della salvezza la sua ossessione di medico. Una vocazione così grande trova posto nella pazzia. Olga, nella sua infanzia, ha conosciuto la follia della madre. Unico scampo dal delirio, la fuga frenata da una radice nascosta sotto la neve che, nella caduta, la rende zoppa. Marito e moglie sono destinati alla comunione con l’imperfezione. Ferdinando, nella sua ratio opacizzata, continuerà a salvare asini e pupi. Olga, invece, pur guarita dalla scienza e dall’amore per Ferdinando, tornerà a claudicare. Quando ci si spezza è per sempre.
Il romanzo è turbolento nella sua verità che non nasconde nulla finanche i segreti di una mente in balia del delirio irriverente e coscienzioso. La storia è immensa. La narrazione ha il potere del dramma nel tormento di ciò che i protagonisti patiscono differentemente quasi in una sorta di gioco di specchi che porta occhi negli occhi, anima nell’anima. La scrittura è sapiente. Le parole sono pietre, anche nelle schegge di verace napoletano, che incorniciano e che restano come grandi fuochi alimentati dalla cura e dall’accurata padronanza stilistica che assicura il talento della scrittrice.
Lucia Accoto