Eccoli qui sotto i vincitori.
Ricordando all’alba Sergio Quinzio. L’ultimo pontefice, Pietro II, si leva nella notte della storia come un testimone che sa di profetizzare nel tramonto del (suo) tempo. Secondo l’antica profezia di Malachia, egli sarà il sigillo sul destino della Chiesa, il suo ultimo garante e custode e, insieme, il suo estremo finale sovvertitore. Affranto dall’agonia della promessa incompresa, egli scrive due encicliche che sono le ultime parole della Chiesa. La prima – Resurrectio mortuorum – afferma con l’inflessibile rigore della fede l’impensabile verità su cui il cristianesimo ha edificato il suo annuncio: la resurrezione, dimenticando il vangelo gnostico di Filippo: “Quanti affermano che prima si deve morire e poi risuscitare, si ingannano. Se da vivi non ottengono la risurrezione, quando moriranno non otterranno nulla”. Ma Pietro II non offre questa parola come speranza; la pronuncia con la gravità di chi sa che ogni fede si frantuma contro la necessità inesorabile del destino. L’annuncio della resurrezione è l’eco di un’altra certezza: la potenza del tempo ha già consumato la parola della salvezza.
Che cos’è la potenza del tempo? Il suo lottare inesorabile, la sua forza che tutto logora, dissolve. Il tempo è una realtà attiva, un destino che divora ogni certezza. Se la parola della salvezza è l’annuncio cristiano della resurrezione e della vittoria sulla morte, la potenza del tempo l’ha ormai consumata, rendendola inascoltata. Non perché sia stata smentita, ma perché l’usura del divenire ha svuotato la sua forza originaria, rendendola un’eco stanca in un’epoca che ha oltrepassato il suo orizzonte di senso, o meglio non ci è ancora permessa la visione di un nuovo orizzonte. Chi dichiara di vederlo è un impostore o, peggio, un semplice. Un tecnico. Ora, quattro parole: la prima è koinonìa, κοινωνία, che viene usata per indicare la condivisione, che i cristiani conoscevano tra loro nel cristianesimo primitivo; la seconda è l’intento verticale, la preghiera, προσευχή, l’intenzione, scrive Kierkegaard: “Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Perché io respiro? Perché altrimenti morirei. Così è con la preghiera.” La terza è l’enseñanza, che non ha fine, non ha scopo, non ha confini: l’insegnamento si riduce a questo, che non è poco, risorgere è comprendere. Infine, il pane allegorico, dove ognuno ci pone ciò che crede, ma senza dimenticare l’attenzione che dobbiamo porre alla nostra alimentazione: educare la nostra e l’altrui gola. La seconda enciclica disvela il mistero taciuto, il Mysterium iniquitatis su cui si sono chiusi gli occhi della Chiesa per secoli. Il male, che essa ha combattuto, nemico esterno, non è altro che la struttura stessa della sua esistenza: la volontà di essere baluardo contro il nulla ha sigillato in essa il principio della sua stessa dissoluzione. Così Pietro II pronuncia l’ultima “verità” della Chiesa: il cristianesimo, che si pronunciò come la luce della storia – dove la vita dell’Ultimo valeva quella dell’imperatore – si rivela ora la testimonianza suprema del suo fallimento.
Luca Sossella