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Paul Auster. Moon palace

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“A poco a poco vidi i miei soldi ridursi a zero, venni privato dell’appartamento nel quale abitavo, finii con il vivere per strada. Se non fosse stato per una giovane di nome Kitty Wu, probabilmente sarei morto di fame. L’avevo conosciuta per caso soltanto poco tempo prima, tuttavia tale caso finii per considerarlo una forma di predestinazione…”. 

Marco Stanley Fogg è uno dei tanti personaggi di Paul Auster in balia del caso. Cresciuto senza padre e orfano di madre, quest’ultima viene investita da un autobus quando lui ha undici anni, il giovane protagonista e voce narrante della storia è accudito dallo zio Victor, un clarinettista senza ambizioni che per qualche anno lo mantiene agli studi universitari e poco prima di morire gli lascia in eredità oltre mille libri. Per la precisione, 1492. Proprio dallo zio, Marco aveva appreso che inizialmente il suo cognome era Fogelman, poi però qualcuno nell’ufficio immigrazione di  Ellis Island lo aveva ridotto a Fogg. La stessa identica cosa era accaduta al nonno di Auster quando dalla vecchia Europa era sbarcato nel nuovo mondo in cerca di fortuna. Con la morte di Victor, Marco vede assottigliarsi le sue già scarse risorse economiche; per sopravvivere è costretto a vendere i libri: dieci, cento, mille, poi finisce per strada

“Quando me n’ero andato dal mio appartamento, quel primo mattino, mi ero semplicemente messo in marcia, diretto ovunque decidessero di portarmi i passi”.  

Qui la storia del moderno David Copperfield ha una doppia sterzata: prima l’incontro, ovviamente casuale, con la giovane collega universitaria Kitty Wu; poi Auster inventa un uomo ricco e anziano di nome Thomas Effing che assume Marco come suo badante accompagnatore. La lunga storia di Effing, la sua doppia vita, è un romanzo dentro il romanzo. Effing racconta di essere stato un pittore famoso e, dopo una serie di disavventure, di aver intrapreso un viaggio a piedi nel sud-ovest americano, sfiorando la morte e la follia. La complessa vicenda di Effing ha il sapore dell’epica del vecchio west, e si contrappone a quella metropolitana di Marco Fogg. Le due vite si congiungeranno in un finale di rinnovata solitudine per Marco, questa volta non vissuta a Central Park ma nel posto del mondo che somiglia di più alla luna, il sud-ovest americano 

”Per le prime due settimane, mi sentivo come qualcuno che era stato colpito da un fulmine. Tuonavo dentro di me, piangevo, urlavo come un pazzo, ma poi, a poco a poco, la rabbia sembrava esaurirsi e mi stabilizzavo nel ritmo dei miei passi”.

”Moon Palace” (il titolo si riferisce a un ristorante cinese di New York) è tenuto insieme da una serie di improbabili coincidenze. La mia opinione è che Auster in certi romanzi abbia voluto strafare oltrepassando il limite della credibilità e della verosimiglianza. Accade soprattutto in questo e in Leviatano. Tutti i personaggi del libro ci appaiono sopra le righe, quasi si trattasse di caricature, per quanto le loro sfide risultino appassionanti, nulla in contrario, così come i lutti di Marco Fogg (la perdita è il tema più incisivo di Moon Palace, che contiene molti altri argomenti interessanti, dal viaggio inteso come esplorazione all’amore impossibile, al valore iconografico dell’Occidente).

”Questo romanzo mi ronzava in testa da molti anni prima che mi sedessi e lo scrivessi”, pare abbia detto Auster. ”Poi, a un certo punto, è arrivata l’insegna di quel ristorante “Moon Palace” e…”. 

Angelo Cennamo 

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