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“Perkins”, la collana di Polidoro Editore

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Questa settimana ci soffermiamo sulla Collana di narrativa contemporanea italiana di Polidoro Editore chiamata Perkins, a partire dall’ultimo libro pubblicato, il numero diociotto, dal titolo “Titanio”  e scritto dal ferrarese Stefano Bonazzi.

Polidore Editore nasce nel 2013 da un’idea di Alessandro Polidoro. Il progetto aveva inizialmente lo scopo di concentrarsi, attraverso studi, analisi e recupero delle tradizioni, sulla città di Napoli. Successivamente però gli orizzonti e gli interessi della proposta culturale si sono di gran lunga ampliati, in particolare verso la narrativa italiana e straniera. Un percorso che è diventato un vero e proprio laboratorio e che nel tempo si è trasformato in un progetto capace di unire il desiderio di occuparsi di letteratura alla volontà di offrire al lettore uno spazio dove affrontare tematiche sociali e intime della vita contemporanea. Perkins in onore di quel Maxwell Perkins, editore statunitense che “scoprì” Ernest Hemingway, F. Scott Fitzgerald, Thomas Wolfe. Nella collana Perkins a comporre il catalogo della casa editrice napoletana una serie di voci originali e promettenti, capaci di giocare con le forme e i generi della narrativa e , quindi, capaci di offrire nuovi spunti di riflessione su temi sociali. In poche parole un coro di voci che raccontano il nostro tempo ma con spirito “geniale” alla maniera di Maxwell Perkins.
Con i Perkins, in questi ultimi anni, si sono realizzate queste intenzioni e pensiamo ai testi di Flavio Ignelzi, Valentina Di Cesare, Alfredo Zucchi, Lucio Leone, Hilary Tiscione, Davide Mazzocco , Martin Rua, Marco Perillo, Francesca Guercio, Giuseppe Raudino e diversi altri.  A questo, ormai, nutrito esercito di sperimentatori, il 13 settembre scorso si è aggiunto Stefano Bonazzi, grafico e artista multimediale che aveva esordito con “A bocca chiusa” nel 2014 per Fernandel.

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Stefano ci racconti nel dettaglio”Titanio”, questo tuo terzo romanzo e che arriva a Polidoro Editore attraverso una trama capace di viaggiare su due linee narrative separate?

Stefano Bonazzi

Da un lato Fran, una ragazzino di tredici anni trattenuto in un istituto di detenzione, dovrà confrontarsi con Alan, un educatore a cui è stato affidato il compito di entrare in confidenza con il soggetto per capire come sono andati realmente i fatti che l’hanno portato in quella cella.
Fran, è un ragazzo introverso, brillante ma estremamente diffidente, passa le giornate leggendo, non si relaziona con gli altri detenuti e fatica a fidarsi del suo nuovo interlocutore. È cresciuto nella Ciambella, una sorta di roccaforte dimenticata dallo stato e dalle forze dell’ordine. Suo padre coltiva marijuana nelle cantine del palazzo abusivo in cui si sono stabiliti anni prima i suoi nonni e trascorre le sue giornate spacciando per il padre, perlustrando gli spazi decadenti di quelle cattedrali di cemento in cui l’unica distinzione è tra “chi è in grado di fare e chi invece non serve a niente”. Un luogo di confine in cui vieni considerato adulto solo quando “i tuoi piedi toccano i pedali e le mani raggiungono il volante”.
Durante le sue scorribande, Fran farà la conoscenza di Stella, una ragazzina che ha perso un braccio a causa di una sparatoria tra bande ma che conserva uno spirito combattivo e indipendente che fin da subito si rivelerà essenziale per la sopravvivenza fisica e psicologica del protagonista. La sua infatti, è una famiglia “particolare”, un nucleo malsano e cannibale che basa la sua indipendenza su un concetto tutto personale di “protezione”.
Dalla parte opposta, un uomo senza nome si sveglia in un luogo che non conosce. Ha il corpo paralizzato e ricoperto di bende. Ogni giorno una figura dai tratti inquietanti entra nella stanza per medicarlo e nutrirlo. Con il passare dei giorni l’uomo scopre di essere stato vittima di un tremendo incidente e saranno necessari parecchi mesi prima che possa riprendersi e alzarsi dal letto di quel luogo che somiglia sempre meno alla stanza di un ospedale e sempre più a una cella.
Tutta la narrazione è quindi un continuo alternarsi tra la confessione di Fran, che lentamente decide di aprirsi nei confronti di quell’unica persona realmente interessata a lui e la degenza dell’uomo privo di memoria, intrappolato in un corpo che non riconosce, bloccato in una ragnatela di cavi metallici.

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Il legame tra i personaggi e le loro sorti sono il fulcro centrale della narrazione di Titanio. Vogliamo raccontare le personalità dei vari personaggi?

I personaggi del romanzo si contano sulle dita di una mano. Fran/Francesco/Francesca (il nome con cui viene chiamato varia in base all’umore del padre) è un ragazzino schivo, intelligente ma anche ingenuo. Fran ha capito che per sopravvivere nella Ciambella bisogna stare alla larga dai problemi, quelli in casa e quelli fuori. Meglio crearsi dei mondi all’interno della mente piuttosto che rischiare la pelle in strada. Ma la fantasia è un’arma a doppio taglio. A volte ti salva, altre ti condanna e Fran non ha potuto scegliere o, forse, non ha voluto. L’incomprensione famigliare lo fa sentire perennemente in competizione, inferiore, inadatto. Uno status sociale e psicologico che si accentuerà dopo l’incontro con altri due personaggi fondamentali: Stella e Pietro.
La prima è una coetanea che abita nel suo stesso palazzo. Una ragazzina dalla forte personalità che in poco tempo riuscirà a guadagnarsi la stima e l’ammirazione del ragazzo. Stella è fiera, incurante del suo deficit fisico, ha le idee ben chiare sul suo futuro: appena sarà maggiorenne lascerà quel covo di falliti per farsi una vita decente, in un posto dove le pallottole non sono reliquie incastrate nei davanzali. Un posto lontano, civile, popolato da persone normali, chissà, forse lo stesso posto da cui proviene Pietro, lo zio di Fran. Anche lui personaggio fondamentale per la formazione del ragazzo, Pietro è il classico “zio d’America” emigrato all’estero in cerca di fortuna. Fran non l’aveva mai visto prima di allora e quando se lo ritrova in casa, dopo quello che è accaduto, dopo la cantina e quelle assurde richieste, a malapena riesce a capacitarsene.
È successo tutto così in fretta.
Prima era solo un continuo vagabondare per la Ciambella senza una meta, poi il cambiamento nel suo corpo, lo sguardo di sua madre, la cantina e la risalita, poi Stella e Pietro… in meno di un anno la vita di Fran è stata stravolta e ora ha dei nuovi paradigmi a cui ispirarsi, nuovi obbiettivi, nuove speranze per sopravvivere a tutto quello schifo.
Alan, l’educatore, dovrà farsi carico di tutto questo: la confessione di un tredicenne cresciuto troppo in fretta, in un luogo troppo pericoloso, nel baratro di una famiglia vorace. Alan, ultimo baluardo di stabilità, rifugio razionale in fondo al tunnel dell’ossessione. Alan, il mentore, colui che dovrebbe insegnare e invece si troverà lui stesso ad apprendere quanto possa essere arduo e inumano crescere in un posto dimenticato dalla legge.
Per ultimo resta quell’uomo, individuo senza nome, senza passato, bloccato in un letto di guarigione di un luogo sconosciuto, imbottito dagli antidolorifici e dalla morfina, stordito dai discorsi incomprensibili di una donna che sembra avere a cuore solo la sua salvezza e quattro parole che a volte ritornano, la notte, quando rimane da solo a fissare il soffitto sfuocato. Quattro parole che sono sinonimo di passato e forse di redenzione: fame, luce, sete, mare.

Le vicende della narrazione si snodano lungo questo continuo confronto tra i sogni e bisogni adolescenziali da una parte e un luogo fisico preciso e un contesto familiare atipico dall’altra . Vogliamo approfondire al meglio l’ambientazione e le atmosfere che si respirano nel romanzo.

C’era una domanda fissa nella mia testa mentre scrivevo Titanio: quanto un luogo e una famiglia possono influenzare la crescita di un ragazzo?
La Ciambella nel libro diventa essa stessa un personaggio. Quell’incessante vociare per le strade, le sparatorie, le sgommate, lo spaccio e le battone, il senso di pericolo ed esposizione perenne, anche all’interno della propria abitazione, anche dietro le inferiate delle finestre della propria camera… quanto di tutto questo può contaminare l’esistenza di un ragazzo? Se il concetto di “bene”, “male”, “famiglia”, “comunità” è travisato, deviato, corroso dalle stesse persone che dovrebbero occuparsi della formazione di Fran, a cos’altro può aggrapparsi questo ragazzo per non scivolare nell’abisso?
Ogni cosa che scrivo, anche la più breve, è una piccola indagine sulla paura. Ho vissuto per molto tempo in balìa della paura, da quella più banale a quella più debilitante, la ritengo una delle emozioni più forti, una delle più complesse e affascinanti. Mi piace pensare che la maggior parte delle azioni che compiamo ogni giorno sia spinta da essa. Anche la semplice domanda “come stai?” Non è forse un modo per accertarsi che tutto sia nella norma? Perché se una persona non sta bene poi subentrano i dubbi, le ansie, si deteriora anche il gesto più banale. Abbiamo bisogno di esorcizzare continuamente la paura e questo imperativo ci permette di restare all’interno di una bolla circoscritta di azioni e possibilità, Fran invece, da un certo punto del libro, dichiara a se stesso e al lettore di non provare più niente. Nulla. Un’assenza che può essere vista come qualcosa di negativo oppure come un superamento dei propri limiti. Quando la paura è assente, lo sono anche molte delle inibizioni che si porta dietro e allora forse subentra un nuovo modo di vedere le cose. Non necessariamente positivo, etico o comprensibile, semplicemente “diverso”.
Ho scelto di raccontare questa storia attraverso tre voci diverse (Fran, Alan, l’uomo delle ustioni), nel tentativo di rendere tridimensionale questa nuova concezione della sensibilità e dell’empatia che Fran ha sviluppato quel giorno, dopo aver risalito le scale di quella maledetta cantina.

Buona Lettura di Titanio

Antonello Saiz

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