In un tempo sospeso tra la guerra e la poesia, tra il rigore sabaudo e la fame di libertà, prende vita questa breve e immaginaria sceneggiatura teatrale ambientata nella Torino del 1942, all’interno della redazione Einaudi. Il pretesto? Una lettera realmente scritta da Cesare Pavese, in cui protesta contro dei sigari di scarsa qualità ricevuti in omaggio e contro il carico di incarichi redazionali, a suo dire svilenti. Intorno a lui si muovono figure reali, grandi protagonisti del Novecento letterario italiano: Giulio Einaudi, Italo Calvino, Natalia Ginzburg ed Eugenio Montale. Tutti realmente legati, in modi diversi e con tempi diversi, alla casa editrice. In questa finzione rispettosa della realtà storica, li vediamo confrontarsi con ironia, rigore, poesia e qualche sigaro stantio.
Note storiche e contestuali sono inserite in calce. Nulla è falsificato: solo teatralmente trasposto.
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Atto unico: Sigari e biciclette
Scena: Torino, aprile 1942. Una stanza sobria e ordinata. Scrivania in legno, scaffali di libri, posacenere colmi. Si sente un ronzio urbano lontano, forse un tram.
(Giulio Einaudi è seduto alla scrivania. Ha una cartellina aperta e lo sguardo concentrato. Davanti a lui, una scatola di sigari aperta. La porta si apre. Entra Cesare Pavese, cappotto stazzonato, sguardo stanco.)
Einaudi (senza alzare lo sguardo): Siediti, Cesare.
Pavese (restando in piedi): Preferisco restare in piedi. Dopo quei sei sigari, ho bisogno d’aria.
Einaudi (sollevando gli occhi): Erano un omaggio. Da Roma. Si chiama gratitudine, qui a Torino.
Pavese: Se è questa la gratitudine, mandatemi carbone. Almeno scaldo la stanza.
Einaudi: Tu invece ci scaldi l’anima con lettere come questa. (alza un foglio) “Sigari pessimi. Incarichi indegni. Sfruttamento integrale.” Cos’è, una denuncia o un componimento ermetico?
Pavese: Una dichiarazione d’amore. Alla libertà, alla bicicletta, al tramonto.
Einaudi: E al Bini? Anche a lui?
Pavese: Il Bini è un pretesto. Il problema non è lui, Giulio. Il problema è che io qui dentro sto morendo di noia. Di bozze e balle, come scrivo con affetto.
(Entra Italo Calvino, giacca troppo grande, occhi svegli, fascicolo sotto braccio.)
Calvino: Disturbo? No? Allora disturbo. Cesare, ho letto la tua lettera. Poesia pura. La mettiamo nel prossimo catalogo?
Pavese: Se me la impaginate bene, con margini larghi e senza sigari.
Einaudi: Italo, per favore.
Calvino: Solo per dire che magari… un incarico un po’ più alto per Cesare, no? Una prefazione? Un saggio? Un’idea inedita?
(Entra Natalia Ginzburg, veloce, occhi pungenti.)
Ginzburg: Se la smettete con questa commedia del mal di vivere, magari si lavora. Cesare, sei bravo. Ma sei anche noioso quando ti lamenti. Giulio, tu non ascolti mai. Calvino, piantala di fare il buffone.
(Silenzio. Si sente un colpo di tosse. Entra Eugenio Montale. Cappotto lungo, occhi piccoli ma svegli.)
Montale: Permesso. Non restate in piedi. Non ne vale la pena.
Calvino (a bassa voce): Il grande Montale. Se è arrivato anche lui, dev’essere grave.
Montale: Ho sentito parlare di sigari, incarichi e biciclette. Mi pare tutto molto… italiano.
Einaudi: Eugenio, ci aiuti. Pavese rifiuta un incarico perché i sigari erano infumabili.
Montale (guardando Pavese): Cesare, hai il dono di dire l’indicibile come se fosse una formalità. Ma lasciamelo dire: se rifiuti il lavoro, almeno comprati una pipa.
Pavese: Eugenio, sei venuto per farmi ragionare o per farmi ridere?
Montale: Per ricordarti che anche un poeta può essere utile. Perfino in redazione. La gloria, come il tabacco, si conquista con pazienza. E a volte con compromessi.
Ginzburg: Finalmente qualcuno che dice le cose con due sillabe. Che sollievo.
Einaudi: Allora, Cesare. Che si fa? Lo scrivi, ‘sto benedetto Bini?
(Pavese si avvicina alla finestra. Pausa. Fuori: colline, cielo torinese.)
Pavese: Lo scrivo. Ma voglio dei sigari decenti. E una bicicletta.
Calvino: Ce l’ha fatta. Il compromesso pavese.
Ginzburg: È già qualcosa. Ora possiamo tornare a litigare per la punteggiatura.
Montale: E io posso tornare a La Voce, dove nessuno mi chiede di scrivere il Bini.
(Pavese si siede. Si accende un sigaro. Lo guarda. Lo spegne.)
Pavese: Ma se fanno ancora schifo… la prossima lettera la pubblico.
(Sipario.)
Francesca Mezzadri
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1. Lettera autentica di Pavese: Cesare Pavese scrisse realmente a Giulio Einaudi lamentandosi dei sigari ricevuti e della mole di lavoro redazionale. La lettera è datata 14 aprile 1942.
2. Il “Bini”: Si riferisce probabilmente a un lavoro redazionale su un testo di Lucio Bini o comunque un incarico editoriale minore, sentito da Pavese come svilente rispetto alla sua vocazione letteraria.
3. Einaudi e i suoi autori: La casa editrice Einaudi fu, già negli anni Quaranta, punto di riferimento della cultura italiana. Pavese, Ginzburg, Calvino vi collaborarono attivamente, seppur in tempi diversi.
4. Montale e La Voce: In realtà, Montale non collaborò mai con La Voce, rivista che chiuse nel 1916. L’allusione qui è voluta, come simbolo di un luogo della critica più “alta” e meno pratica.
5. Torino nel 1942: In piena guerra, la città era sotto razionamenti, bombardamenti e un clima cupo. Ma anche fucina di intellettuali resistenti.
Fine atto unico