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Frammenti di futuro. Ricordi di donne e uomini del Novecento. Intervista a Federica Montevecchi

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Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, è uscito “Frammenti di futuro. Ricordi di donne e uomini del Novecento” di Federica Montevecchi per la Collana Contemporanea di Edizioni Pendragon. La Lettura di questo volume, oggi più che mai, sembra essere fondamentale. Federica Montevecchi, docente e scrittrice, raccoglie in “Frammenti di futuro” i ricordi molto intimi, ma anche pubblici, di alcuni personaggi che, ognuno nel proprio campo, hanno dato un contributo fondamentale al Novecento, da Marghetita Hack a Carlo Bo, da Nilde Iotti a Giorgio Bocca, da Tullia Zevi a Vittorio Foa, solo per citarne alcuni. Si tratta di interviste sotto forma di ricordi scritti in prima persona: perciò coinvolgenti, intimi, in gran parte inediti. Il mosaico di ricordi che ne nasce è un invito a riflettere sull’importanza della memoria e sulla possibilità di stabilire un legame fra passato, presente e futuro, a partire dal proprio agire quotidiano. Federica Montevecchi è prima di tutto una cara amica prima di essere scrittrice e docente. La mia Filosofa ( come la chiamo io, scherzando) nella realtà si occupa con grande competenza e impegno del pensiero presocratico. Laureata in filosofia, ha compiuto i suoi studi dottorali e post dottorali in Italia e in diversi paesi d’Europa. Tra le sue pubblicazioni: Giorgio Colli. Biografia intellettuale (Bollati Boringhieri 2004), Empedocle di Agrigento (Liguori 2010), Sull’Empedocle di Giorgio Colli (Luca Sossella Editore 2018) e le curatele di Paula Philippson, Origini e forme del mito greco (Bollati Boringhieri 2006) e di Giorgio Colli, Empedocle (Adelphi 2019). Ha lavorato con Vittorio Foa del quale ha curato diversi scritti, fra cui i volumi Lettere della giovinezza. Dal carcere 1935-1943 (Einaudi 1998) e Lavori in corso 1943-1946 (Einaudi 1999). Collabora inoltre con strisciarossa.it e con «Alias-il manifesto.

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Federica, nella tua introduzione al libro, spieghi che questo collage di ricordi è un chiaro invito a riconsiderare l’importanza della memoria e la possibilità di riconoscere, a partire dalla propria esperienza, il legame individuale e collettivo fra passato, presente e futuro. Citi Marcel Proust, Ernst Bloch e Benjamin, ed io nelle nostre chiacchierate dal vivo ti ho suggerito quella potente, semplice e rivoluzionaria macchina dei ricordi che è “Mi ricordo” di Joe Brainard. Ci vuoi raccontare come è nata l’urgenza di un libro come questo e il processo di lavorazione che c’è stato. Insomma ci porti nel dietro le quinte di lavorazione di Frammenti di Futuro?

Tutto risale alla fine dello scorso millennio, precisamente al 1995. Era un periodo storico difficile, di grande spaesamento, per ragioni diverse ma prevalentemente politiche: da poco Berlusconi aveva vinto le elezioni, i partiti dell’età repubblicana, così come l’avevamo conosciuta, sembravano essere giunti al termine del loro percorso storico, poi Tangentopoli aveva portato alla luce la corruzione che caratterizzava la maggior parte di loro, in più era ancora vivo il dolore delle stragi mafiose del 1992 e del 1993, per non parlare della tragedia della guerra in Bosnia, a due passi oltretutto dall’Italia. Pensai allora di andare a parlare con alcuni protagonisti della storia recente italiana, che avevano agito in ambiti diversi, non tanto per commentare quanto stava accadendo, ma per ricercare nel passato, di cui essi erano stati a diverso titoli attori importanti, possibilità di futuro non sfruttate che consentissero di guardare con occhi diversi al presente dell’epoca. È la conoscenza del passato, infatti, che consente di restituire vita a orizzonti di senso rimasti sepolti o bloccati nei loro possibili sviluppi, e che ci impedisce di cullarci nei falsi miti del progresso, che pongono il futuro sempre davanti a noi. In mente avevo l’esperimento del Je me souviens di Georges Perec – lo sentivo culturalmente più vicino rispetto al volume I remember di Brainard che tu ricordi e a cui Perec per certi versi si ispira. Nel suo scritto Perec riuscì a far vedere come i ricordi quotidiani di ciascuno siano in grado di riattivare la memoria comune, come l’autobiografia sconfini nella storia collettiva aprendo un gioco di rimandi e di legami fra epoche diverse, fra il nuovo e il vecchio, capace di ridimensionare le distanze temporali e individuali fino a mostrare che fra la sfera della singolarità quotidiana e quella storica vi è una relazione inscindibile, non già reciproca distanza. Invitai dunque le persone che incontrai a rinnovare l’esperimento di Perec e l’invito fu subito accolto con interesse e con giocosità, tanto che scrissi quanto ricavai dalle conversazioni con loro seguendo lo stile del ‘mi ricordo’. A distanza di quasi 30 anni da quegli incontri, in un tempo segnato da pandemia e guerra oltreché dalla fagocitazione temporale messa in atto dalla rivoluzione digitale, che spesso riduce la nostra esistenza al momento, sono tornata a quelle conversazioni. Nel rileggerle tutte insieme ho ritrovato in esse un’intatta energia vitale che permea i diversi ricordi e le immagini che da essi quasi emanano, tanto che mi è sembrato importante proprio oggi pubblicarle tutte insieme. Ne è venuto fuori uno strano libro: non è un saggio e non è un racconto, forse è un esperimento nell’esperimento perechiano, visto che all’epoca ascoltai e scrissi memorie di altri, che a loro volta oggi costituiscono una mia memoria di decenni fa ed entrambe si mischieranno a loro volta con i ricordi del lettore…

È molto chiaro che i singoli capitoli e i personaggi contenuti in questo libro sono punti di partenza “per scorgere il futuro nelle possibilità inespresse del passato”. Il meccanismo che metti in moto è molto semplice: un vero e proprio esercizio di memoria e di scrittura, che però coinvolge e appassiona il lettore, riuscendo a rievocare momenti particolari di esperienze che, anche se lontane nel tempo, risultano efficaci per questi tempi distratti. Vuoi entrare nel dettaglio del libro e raccontare come hai scelto i personaggi protagonisti di questi ricordi?

Il libro raccoglie ricordi di Carlo Bo, Giorgio Bocca, Antonino Caponnetto, Renato Dulbecco, Giulio Einaudi, Inge Feltrinelli, Vittorio Foa, Margherita Hack, Nilde Iotti, Mario Luzi, Mario Soldati, Elio Toaff, Leo Valiani, Tullia Zevi. Nel loro insieme essi  mi sembravano e mi sembrano rappresentare la storia italiana della cosiddetta prima repubblica in tutta la sua polarità. Voglio dire che fra questi ci sono figure eretiche rispetto alla politica di potere – penso a Vittorio Foa e Leo Valiani in particolare – così come c’è l’editore, Giulio Einaudi, che ha perso sul piano economico ma ha vinto sul piano della storia culturale, mentre al suo opposto Inge Feltrinelli ha pensato a tutelare anche le finanze della sua casa editrice; per non parlare degli scienziati inquieti come Margherita Hack, così lontana dallo scientismo tronfio che contribuisce a danneggiare la scienza. E ancora i letterati scanzonati come Soldati oppure calati in pieno nel loro ruolo come Mario Luzi e Carlo Bo, infine un certo mondo ebraico con il dolore e la fierezza che lo contraddistingue, e così via. Va da sé che la compresenza di inscindibili opposizioni – la polarità – che caratterizza ciascuno di loro con diversi gradi di intensità e il loro insieme mi pare la condizione decisiva perché si riescano a scorgere in quel passato possibilità inesauste. Senza contare che è proprio l’aspetto eretico, non finalistico di alcune di queste figure, a interessarmi particolarmente, forse perché esso è proprio ciò che accomuna la mia ricerca sul mondo antico – vedi Colli ed Empedocle, considerati ‘minori’ – e la riflessione politica a partire dal socialismo liberale che nell’agone del potere ha perduto, o meglio non ha mai vinto.  

Questi continui “mi ricordo” dei vari personaggi finiscono per essere degli incantevoli e sorprendenti pezzi di prosa che brillano per originalità e fantasia e mostrano come tu abbia saputo gestire in maniera impeccabile questa macchina della rievocazione e a raccontare dei frammenti di vita vissuta con uno stile semplice ma coinvolgente. A partire da Vittorio Foa, con cui hai a lungo collaborato, ci racconti chi ti ha più colpito per curiosità e vivacità e soprattutto ci racconti chi avresti voluto avere nella truppa degli intervistati e non è stato possibile includere?

Vittorio Foa fu il primo che pensai di incontrare e quasi contemporaneamente mi rivolsi anche a Giulio Einaudi. Entrambi erano stati esponenti della Torino antifascista e impegnata degli anni ’30 del secolo scorso, destinata a segnare positivamente il secondo dopoguerra italiano. Entrambi avevano frequentato il mitico Liceo D’Azeglio, dove insegnavano Angusto Monti e Leone Ginzburg: in quell’ambiente affondano le radici della casa editrice Einaudi, che contribuì in modo decisivo alla ricostruzione morale e intellettuale dell’Italia uscita dalla guerra e dal fascismo. Da quel liceo provennero insieme a Vittorio Foa molti dei militanti di Giustizia e libertà, il movimento antifascista fondato da Carlo Rosselli che si proponeva di combattere il fascismo a partire dalla considerazione che esso fosse l’esito dell’interesse esclusivo al proprio particolare degli italiani. Sono queste le ragioni di fondo che mi spinsero a iniziare le conversazioni sui ‘mi ricordo’ con Vittorio e con Giulio Einaudi. Erano molto diversi, ma avevano in comune una straordinaria ironia e una rara curiosità, tanto che a parlare con loro l’età anagrafica passava in secondo piano. Vittorio poi riuniva in sé l’intelligenza, il sapere e l’attenzione agli altri, ai quali infatti si rivolgeva con reale interesse, senza alcun atteggiamento pedagogico e senza alcuna autoreferenzialità o vanto (tratti detestabili, che nell’ambiente politico e intellettuale italiano sono purtroppo molto diffusi). Soprattutto Vittorio era alieno dal familismo che permea la storia italiana e la cultura di questo paese: non a caso dopo poco tempo dalla conversazione sulla sua memoria mi propose di lavorare con lui.

Accanto a Vittorio e Giulio Einaudi mi colpirono per carattere e per leggerezza Margherita Hack, Renato Dulbecco, Elio Toaff, Mario Soldati anzitutto perché la rappresentazione di sé non appariva la loro prima preoccupazione. Poi ho in mente l’imponenza di Nilde Iotti, quasi segno del suo coraggio: non bisogna dimenticare che oltre al fascismo ella dovette lottare anche contro il moralismo del partito che si opponeva alla sua relazione con Togliatti, oppure la forza e la sensibilità di Antonino Caponnetto che nella stanza della sua casa dove mi ricevette aveva una grandissima fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, trucidati pochi anni prima da Cosa nostra. Insomma sono stati incontri davvero non ordinari e quasi tutti coloro che avevo contattato risposero con reale interesse al mio invito. Dico quasi perché cercai di incontrare anche Norberto Bobbio, Rita Levi Montalcini e Carlo Maria Martini che per ragioni diverse non trovarono convincente – qualcuno mi disse che era un’idea poco seria – la ripresa dell’esperimento di Perec.

Buona Lettura, dunque, di Frammenti di Futuro di Federica Montevecchi.

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