Per Le Tre domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Alex Ezra Fornari, in libreria dal 24 marzo con il suo secondo romanzo, “Uri”, quindicesimo titolo della collana Vertigo di Funambolo Edizioni. Questo libro arriva a tre anni di distanza dall’esordio con “Qualcosa di naturale”, uscito pef Wojtek edizioni nella Collana Orso Bruno.
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Alex, ci vuoi raccontare da dove nasce l’urgenza di raccontare una storia così particolare e insolita e cosa ti ha ispirato a scriverla, e se c’è stato un evento o un momento particolare che ha acceso la scintilla?
Ho iniziato a scrivere Uri nel maggio del 2020, subito dopo avere ultimato la stesura di Qualcosa di Naturale, che sarebbe uscito solo due anni dopo. In quel romanzo Samuele, il protagonista, ha un cane nero, uno Staffordshire Bull Terrier chiamato Uri, che vive con la sua ex moglie e le figlie. Da qualche parte avevo buttato giù un appunto in cui scrivevo che quel nome Samuele l’aveva preso da un libro letto da ragazzo. Così l’idea iniziale è stata quella di scrivere quel libro come se davvero fosse esistito, come se qualcuno davvero avesse scritto Uri agli inizi degli anni Settanta.
Ricordi quella cosa dell’essere la frana, che Samuele dice a un certo punto? È un concetto che Cinzia, la moglie defunta di Ferrante, uno dei principali protagonisti di Uri, annota sul suo quaderno quarant’anni prima.
Da ragazzo leggevo molta fantascienza e volevo che la storia che mi accingevo a scrivere avesse una voce narrante col suono che nei miei ricordi avevano quelle degli autori che più amavo, Ray Bradbury, J.G. Ballard, Robert A. Heinlein… Non mi sono andato a rileggere nulla, ho lasciato che fosse la memoria, cinquant’anni dopo, a ricreare una voce che suonasse più o meno in quel modo.
Ok, avevo l’idea. Una idea. E un terrier nero. Ma tu mi chiedi dell’urgenza e di un particolare momento scatenante, il vero e proprio via alla scrittura del romanzo.
Quell’anno mi ero ritrovato improvvisamente senza un lavoro, e con una data di nascita che nessuno voleva vedere stampata in un curriculum vitae.
È da quell’avvilimento che nasce Ferrante, sulle cui spalle ho però caricato problemi ben più grandi della perdita del lavoro: la morte della moglie e una vita grigia.
Così, nella prima pagina gli metto in mano una pala, indicandogli in quale campo scavarsi una fossa. Non prima di avergli fornito droghe iniettabili e una tristezza più profonda della fossa stessa. L’ho lasciato scavare per ore e sono sceso là sotto con lui.
Sono stato io a sussurrargli, a un passo dal gesto fatale: forza man, rifacciamo tutto da capo e trasformiamo questa cazzo di buca in una casa.
Mi ero calato nel 1972 e in quell’anno e nei due successivi sono rimasto i diciotto mesi serviti per la stesura del romanzo.
Là sono stato raggiunto dal fantasma di Cinzia, dal petulante e sfrontato Uri, e da Milena, persa nell’alcol in un appartamento al secondo piano di un condominio di un quartiere poco lontano.
Il protagonista del titolo di questa storia é uno strano ragazzino tredicenne, che in una piccola città del nord, agli inizi degli anni Settanta, irrompe nella vita di un vedovo sull’orlo del suicidio e una quarantenne alcolista e sola. Il rapporto tra Uri e gli altri due personaggi è complesso e talvolta pericoloso. Tre personaggi da cui partirei per spiegare, ai tanti lettori forti di Satisfiction, come hai costruito l’intreccio della trama e cosa volevi raccontare sulle relazioni umane?
Ferrante è un cinquantenne vedovo aspirante suicida, Milena un’alcolista di dieci anni in meno che vive confinata nell’appartamento dei genitori ormai morti. I due, pur abitando a pochi isolati di distanza, non si sono mai incontrati. Uri è un tredicenne che incontra Ferrante in una sera ventosa nel campo dove l’uomo si è scavato una fossa poi trasformata in casa e, successivamente, Milena nella cucina dove questa, dopo aver spaccato un bottiglione di vino, sta camminando scalza e ubriaca sui cocci di vetro. Uri tesse i fili, con questi crea legami, annoda e strappa. È l’adolescente a fare incontrare Ferrante e Milena, lui a risvegliare lo spettro di Cinzia, lui a vendicarla braccando l’inquietante amante Emanuele. Ogni personaggio è visitato da Uri, ogni personaggio è toccato da Uri, che a una spiritualità fastidiosa dal tanto è manifesta unisce una fisicità priva di barriere (l’eroe bisessuale appare nella letteratura di fantascienza proprio in quegli anni). Uri usa la mente e il corpo per raggiungere i suoi obiettivi, obiettivi che lasceremo sia il lettore a scoprire. Lasciamolo arrivare all’hangar, alla parete ovest, al popolo piccolo.
Scrivo spesso di relazioni tra umani, di amore e disamore, di gioia di un attimo e disastro che s’addensa plumbeo all’orizzonte. Qui parlo di una coppia sterile e di come questa infecondità corrompa ogni cosa, scrivo di una gravidanza tardiva e così a lungo desiderata, tanto da trovare tutti troppo vecchi per goderla. Racconto dell’abuso inverso, di come un adolescente possa manipolare un adulto, ogni adulto, e dell’abuso perverso, nel quale un uomo convince l’amante malata di cancro a non sottoporsi alle cure chemioterapiche. Parlo di solitudine, di quella di coppia, doppia e desertificante. E della relazione che l’uomo può avere con gli animali e gli elementi naturali. E quella che tutti i personaggi hanno con il tempo.
In Uri descrivo soprattutto quel particolare caso in cui un incontro breve con qualcuno di speciale, si tratti di semplice conoscenza, amicizia o amore, ha il potere di modificare per sempre il corso della nostra vita.
Uri in ebraico significa mia luce. Ecco, parlo di questo: l’incontro con qualcuno in grado di illuminare una strada che abbiamo davanti agli occhi ma non stiamo vedendo.
In questi giorni sta spopolando una serie su Netflix, Adolescence, che fa sorgere tante domande scomode sui giovani e sul ruolo degli adulti. Una serie fuori dal comune per come è stata girata (ogni episodio è frutto di un’unica ripresa che segue metodicamente lo spazio temporale degli eventi) e poi perché la sensazione nella visione è che, non siamo noi che la guardiamo, è lei che ci (ri)guarda. Questa stessa sensazione si avverte anche nella lettura del tuo romanzo. Ecco, Alex, partendo da come hai lavorato, dal punto di vista formale, sulla scrittura, mi piacerebbe capire, se dovessi definire in poche parole cosa rappresenta *Uri* per te, cosa diresti e qual è stata la sfida più grande nel portare a termine questo libro?
Il Jamie di Adolescence ha tredici anni oggi, Uri li ha nel 1972. Omicidi entrambi, con conseguenze diverse di quel gesto. Jamie aveva accesso a Instagram e TikTok, Uri di certo era riuscito a vedere Arancia Meccanica come il suo amico Rory, e aveva sfogliato riviste porno come quelle che Ferrante nasconde in garage. Ogni epoca ha i suoi contaminanti dell’infanzia, e l’età dell’innocenza è un’illusione che dovremmo provare a spostare dall’adolescenza all’età senile. Dubito comunque che funzioni.
Ho lavorato sulle parti d’ombra del mio personaggio, di tutti i miei personaggi, mostrando il loro lato oscuro, in contrasto con quello in piena luce. L’ultraviolenza insensata in contrasto con l’amore, Aoe, come lo chiama il piccolo Gioele, figlio di Ferrante e Milena.
Il sogno oscuro sul Caravaggio di Milena opposto alla sua prima, gioiosa, gita al mare con Ferrante. E il quaderno di Cinzia, che la svela altra, aliena, una donna che Ferrante non aveva mai conosciuto.
Dovessi definire in una frase ciò che Uri rappresenta, potrebbe essere questa: il bene include il male, non è il suo contrario.
In quanto alla sfida più grande, riguarda l’accettazione di Uri da parte del lettore: sarà questi disposto a perdonare, a giustificare, o dimenticare, a essere madre, padre, figlio, sorella o amico di questo ragazzo?
In quanti credi che ricordino l’episodio in cui nella Bibbia Mosè uccide un uomo?
Sulla parete ovest dell’hangar nel quale spesso Uri si ritira qualcuno ha scritto U / R Who’s I?
Se U sta per Uri ed R per Rory, chi è quella I, quell’Io?
Il narratore o colui che questa storia la sta leggendo?
Buona Lettura di URI di Alex Ezra Fornari.
Antonello Saiz