Questa settimana su Satisfiction, per la rubrica Le Tre Domande del Libraio, incontriamo Morena Pedriali Errani, tornata in libreria il 28 febbraio con il suo secondo romanzo per Giulio Perrone Editore, dal titolo ” Il Cielo sopra Gaza non ha colori”, dopo l’esordio e il grande successo del 2023 con “Prima che chiudiate gli occhi”, edito per la stessa casa editrice.
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La storia di due gemelle, Nur e Layla, costrette dal destino a separarsi in una fuga disperata e con un legame più forte della guerra che incombe. Morena ci vuoi raccontare cosa ti ha ispirato a scrivere questo romanzo struggente ambientato in Palestina e se c’è stato un evento o un momento particolare che ha acceso la scintilla per questa storia?
Mi occupo di Memoria rom e sinta nel quotidiano. Chi la conosce un po’, sa che è una storia volutamente invalidata e nascosta sotto il tappeto in quanto rom e sinti sono stati considerati dall’Occidente vittime “di serie b”. Quando ho visto la stessa incapacità (o meglio, non volontà) di riconoscere ciò che stava succedendo in Palestina come quello che è, ossia un genocidio e addirittura il primo a cui abbiamo assistito praticamente in diretta dai nostri telefoni, mi è sorta una domanda: quanto conta fare eventi, sensibilizzare e parlare di Olocausto se poi il nostro allenamento a una Memoria attiva e consapevole è così scarso, se non siamo in grado di riconoscere quando la storia si sta ripetendo nel caso in cui non si stia ripetendo direttamente su di noi? Parlo nel libro di Palestina, ma sono tanti i genocidi volutamente dimenticati nel corso della storia e ancora oggi. Mi sono chiesta perché sia così difficile prendere posizione sul presente se poi fingiamo di piangere sul passato, perché siamo così ipocriti. Da lì è partita la volontà di seguire un filo iniziato col primo libro, ossia di cercare per quanto mi è possibile di raccontare spaccati di Memoria, ma prima di tutto di Memoria di Resistenza.
Due gemelle orfane, delle quali una è cieca dalla nascita, in una Gaza devastata.
Hai voluto raccontare la guerra attraverso lo sguardo di chi non può vederla, ma la sente sulla propria pelle. Vogliamo dettagliare, per i nostri lettori di Satisfiction, la trama raccontando nello specifico questi due personaggi complessi e pieni di sfumature. Come hai costruito il loro carattere e se sono ispirati a qualcuno nella realtà?
Volevo che i due personaggi principali, ancora una volta, fossero donne perché sono proprio loro a portare avanti le battaglie più dure della causa palestinese, sono le loro vite che attraversano l’occupazione a essere maggiormente strumentalizzate dai media quando si parla di Palestina. Guardiamo, ad esempio, quanto poco si è parlato del tema delle violenze operate dall’esercito israeliano sulle civili palestinesi. O come poco si parli delle donne che fanno parte della Resistenza.
Al tempo stesso, la mia idea era quella di rendere l’infanzia delle bambine palestinesi che nascono e crescono nell’occupazione, di quest’infanzia mancata e del passaggio all’età adulta che purtroppo spesso viene loro negato. In particolare all’inizio della stesura pensavo a Hind Rajab, che aveva appena cinque anni quando è stata uccisa dai soldati israeliani con 355 proiettili, 355, mentre aspettava in mezzo ai corpi senza vita dei propri familiari che i soccorsi da lei chiamati arrivassero a prenderla. C’è la registrazione di questa sua ultima chiamata ai soccorritori, anch’essi uccisi, e ascoltarla pensando che ancora qualcuno sostenga che ciò che sta avvenendo sia ‘legittima difesa’ fa venire i brividi.
Mi hanno ispirato tanto le storie di varie attiviste e giornaliste palestinesi come Youmna El Sayed, incontrata a Internazionale 2024, la loro speranza e la convinzione che un giorno la Palestina sarà libera nonostante tutto. Penso che riuscire a vedere oltre le macerie in un contesto del genere, avendo visto solo macerie per tutta la vita, sia atto di coraggio straordinario.
Il 7 ottobre 2023 non è stato un evento e una data venuta da nulla, meno che mai la conseguenza di un attacco terroristico di Hamas o solo una questione di religione. Qual è stata la sfida più grande nel portare a termine questa storia e se
ci vuoi spiegare in che chiave deve essere letto un libro come questo?
C’è una noTa a fine libro in cui lo spiego. Trovo abbastanza fuori luogo che nel parlare del libro (che parte dal 7 ottobre ma che non parla solo di 7 ottobre perché è impossibile fare un’analisi corretta senza basarsi su tutto ciò che è avvenuto prima), si prenda quella data come inizio di tutto e si parli di attentati terroristici e di “difensiva” israeliana o, in ogni caso, si abbia paura a chiamare le cose col loro nome. È un atteggiamento occidentale che abbiamo visto da sempre in relazione alla Palestina che, di fatto, va a delegittimare le istanze della lotta palestinese, è un po’ un voler dire “eh ma se la sono cercata”, quando basterebbe approfondire l’argomento da un punto di vista non eurocentrico per capire quanto questa narrazione sia sbagliata (e irrispettosa per le vittime). Lo si fa per paura di sapersi coinvolti, di sapere che anche noi stando in silenzio o voltandoci o giustificando stiamo contribuendo a questo genocidio, per una comodità mentale che però ora, come allora, non è umanamente accettabile. A fine libro ci sono fonti per approfondire l’argomento più di quanto si possa fare leggendo il romanzo, la maggior parte sono voci palestinesi direttamente coinvolte, che vivono in Palestina o che lottano per il diritto al ritorno quando in diaspora. Penso che la prima e più importante cosa da fare sia ascoltare. Semplicemente ascoltarle.
Buona Lettura de “Il cielo sopra Gaza non ha colori” di Morena Pedriali Errani
Antonello Saiz