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Quattro giovani malviventi in fuga. Intervista a Mario Valentini

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Per Le Tre domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Mario Valentini, in libreria da pochi mesi con il romanzo “Quattro giovani malviventi in fuga” edito da Exorma Edizioni. Mario Valentini, nato a Messina ha studiato e lavorato a Bologna, ora vive a Palermo. Mario Valentini ha fatto parte del gruppo che realizzava Il Semplice, messo insieme e guidato da Cavazzoni e Celati. Molti suoi racconti sono stati pubblicati in rivista (Il semplice, Fernandel, Il caffè illustrato, Mesogea, Margini), in diverse antologie, in riviste online (minima&moralia, zibaldoni, mesogeamag). Ha collaborato per diversi anni con l’edizione palermitana de la Repubblica. Ha realizzato lo spettacolo di letture ad alta voce “Animali Parlanti” con Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Ivan Levrini, Paolo Morelli, Paolo Nori e altri.
Tiene laboratori di scrittura narrativa. Ha pubblicato i libri Voglia di lavorare poca (Portofranco, 2001), In certi quartieri (Mesogea, 2008), Come un sillabario (Mesogea, 2015), Così cominciano i serial killer (Mesogea, 2018). Per Exòrma edizioni era già uscito “La Minuscola” nel 2018 nella Collana Quisiscrivemale, mentre per Quodlibet era stato pubblicato nel 2021 “I Vangeli Nuovissimi” nella Collana Compagnia Extra curata da Ermanno Cavazzoni.

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Sei tornato in libreria con un’altra delle tue storie ironiche e questa volta viene colorata di nero e di giallo la città in cui vivi, Palermo. Cosa ti ha ispirato a scrivere *Quattro giovani malviventi in fuga*? C’è un evento o un momento particolare che ha acceso la scintilla per questa storia?

Effettivamente sì, sono successi dei fatti criminali in città, ormai molti anni fa, che mi hanno molto colpito perché hanno coinvolto alcune persone che conoscevo. Mi sono reso conto che le storie e le vicende criminali non erano poi tanto distanti dalla mia vita. Anzi, erano proprio dietro l’angolo di casa mia e avvenivano proprio tra le strade che faccio ogni giorno.  E ho pensato che scrivere una storia di questo tipo poteva anche essere un modo per fare i conti con quest’aspetto della città in cui vivo. Scrivere storie è anche un modo di indagare, studiare e riflettere, e può aiutare a farlo meglio.
Poi, mentre scrivevo il libro, mi sono accorto che la mia familiarità con contesti come quelli che il romanzo racconta e descrive, vuoi per il mio mestiere di insegnante, vuoi per la stretta vicinanza con persone che hanno dedicato l’intera vita al lavoro nei quartieri, era tutto sommato abbastanza significativa. Avevo un mucchio di storie, di personaggi, di vicende e situazioni da raccontare.
Mi intrigava inoltre fare i conti con il romanzo a tema criminale dal punto di vista di uno che non ha mai avuto molto a che fare con questo genere di romanzi (o con i romanzi di genere): potere avvicinare questo genere con l’ironia di chi non vi si affida fino in fondo (o di chi addirittura diffida), e di chi, dunque, fa di tutto per disinnescarlo era una cosa che mi intrigava..
Infine, c’è un’altra cosa da dire: io racconto storie, mi viene abbastanza facile ormai -dopo molti anni di praticantato, rimasto a lungo quasi del tutto anonimo – esprimermi in questa forma, quella del racconto. Ma leggo più saggistica e cronaca che narrativa. E tra le cose che più ho letto, negli anni, ci sono studi e articoli sulla mafia. Spesso, il modo di avvicinare il fenomeno mafioso da parte di romanzi e opere cinematografiche o è stereotipato o è orientato poco correttamente, rispetto alla complessità del fenomeno. La mafia nel mio romanzo c’è e se ne parla, sebbene in modo laterale, come fenomeno di contesto. Mi sono chiesto: come ne posso parlare in un modo che risulti abbastanza corretto, ma senza rinunciare al piacere di immaginarsi delle storie, che è poi il bello dello scrivere narrazioni e romanzi?

Palermo come Scampia o il Bronx, in questa storia sgangherata dei quattro giovani del titolo che conosciamo dalle prime pagine con i loro soprannomi di Miracolo, Brum Brum, Palummu mutu e Minchiasecca. Mario, vogliamo raccontare nel dettaglio la trama di questa tua nuova narrazione ?


Il libro racconta la sgangherata parabola criminale di una banda di quattro ragazzi che abitano in un quartiere della periferia di Palermo: dalle prime rapine fatte spostandosi in autobus quando hanno 15 anni, all’arresto, alla permanenza nel carcere minorile, fino alla loro scarcerazione. Quando ritornano nel loro quartiere, dopo la permanenza in carcere, si accorgono che niente è cambiato e che di soluzioni nella vita ne hanno ben poche. Cominciano a fantasticare su una carriera da criminali veri, progettando un colpo bene architettato, in un ufficio postale. Ma veri criminali Minchiasecca, Brum Brum, Miracolo e Palummu Mutu non lo sono affatto. Tutto va storto durante il colpo all’ufficio postale e i quattro si ritrovano a dovere improvvisare una fuga. Da un lato sono braccati dalla polizia. Dall’altro, cominciano a essere ricercati anche dagli uomini di Tanino Imparato, detto Gesù Cristo, il capomafia della zona. Ma una fuga non è facile da organizzare, soprattutto quando ormai ti hanno abbandonato tutti, anche i tuoi familiari. E qui mi fermo. Come va a finire la storia non lo dico.

La città e il contesto sociale in cui si muovono i protagonisti sono molto vivi nel romanzo. Quanto conta per te il paesaggio urbano nella costruzione della storia e, visto che nel libro si affrontano temi come la marginalità e i disagi e i conflitti delll’adolescenza, quanto questi temi riflettono il mondo moderno e il nostro tempo?

Più di metà dei libri che ho scritto sono tentativi di raccontare le città in cui ho abitato. Ma anche, in senso più generale, la città come particolare sistema e forma di vita. In questo libro l’ho fatto ancora una volta, provando a mostrare/raccontare la città oltre che attraverso i fatti che succedono anche attraverso i percorsi, gli spostamenti, le descrizioni dei luoghi, alcune dinamiche di fondo. Innanzi tutto, il luogo di cui più si parla nel libro è un quartiere della periferia di Palermo chiamato la Zecca (un quartiere che nella realtà non esiste ma che ne riassume tanti). Ma poi ce ne sono molti altri: le spiagge a ridosso della città; il carcere e la stazione dei treni con tutto il micromondo che li popola; stradoni, raccordi, tratti di circonvallazione; complessi residenziali di ville con piscina e quartieri popolari precari e degradati; fabbriche abbandonate, brandelli di campagna cittadina. Sono, questi ultimi, esempi di quel terzo paesaggio di cui parla Gilles Clement in un noto Manifesto che ho citato in apertura di libro: spazi ibridi, indecisi, semiabbandonati, calpestati raramente, in cui si può trovare una biodiversità impossibile negli spazi troppo controllati e addomesticati. Le vicende che racconto avvengono per buona parte in questi spazi poco o per niente battuti tanto dai residenti quanto dai visitatori che ormai affollano in ogni stagione la città.
Nel romanzo dunque la città non è semplicemente un’ambientazione né solo uno scenario: è un luogo che viene in qualche modo indagato e pensato. Vero e proprio soggetto. Tema e protagonista.
Sebbene lo sviluppo della città contemporanea sia ormai per lo più orizzontale, e tenda ad allontanare dal centro storico e relegare nelle periferie i più precari e problematici, una città come Palermo mantiene una sua particolare capacità di essere porosa: ci sono zone di contatto oltre che di separazione, zone di adiacenza, vicinanza e convivenza tra diversi ceti, contesti e culture. Nel bene e nel male, queste zone di contatto creano cortocircuiti, che possono avere talvolta derive comiche e surreali, altre volte drammatiche.
E poi ci sono questi quattro ragazzi, che si illudono di potere intraprendere una carriera da malviventi, sgangherata e che risulterà presto fallimentare. In parte, certo, la storia che li riguarda è peculiare: è solo loro e appartiene al contesto preciso in cui vivono. Ma in parte il disagio che qui si racconta è diffuso e va ben oltre la città in cui vivono e la loro giovane età. Sono situazioni che si possono ritrovare dovunque. Non sono affatto esclusiva di una città come Palermo e dell’età giovanile. Le storie che ho fin qui raccontato sono quasi tutte storie urbane, è vero. Ma è una città narrata con lo sguardo di uno che si sente dovunque spaesato e un po’ straniero: con la voce e con gli occhi di un disagiato, insomma. Ovvero: con gli occhi e la voce di uno che non si sente a proprio agio da nessuna parte, figuriamoci nel cuore di una città. Il disorientamento è di molti, non solo di questi ragazzi. Il disagio e lo spaesamento di questi ragazzi è certamente particolarmente scomposto e azzardato, violento e insensato. Ma siccome nemmeno io mi sento particolarmente a mio agio e appaesato nella città e nel tempo che vivo, mi guardo bene dal giudicarli. E, anzi, provo per loro, per i loro destini e per le vicende che li riguardano una sincera forma di partecipazione e vicinanza.
Buona Lettura di “Quattro giovani malviventi in fuga” di Mario Valentini.

Antonello Saiz

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