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Eugène anteprima. Lettera al mio dittatore

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Appunti sull’inclusione elvetica: “Ah, le autostrade svizzere! Niente asperita, nemmeno un dosso da evitare: veri tavoli da biliardo. Meraviglie costruite nei dieci anni precedenti da operai spagnoli, portoghesi e italiani a cui le autorita svizzere vietavano il ricongiungimento familiare. Ma questo i miei genitori non lo sapevano”.

La presa di coscienza: “Alla fine abbiamo capito fin dove poteva arrivare la tua follia. La distruzione di duemila paesini su tutto il territorio romeno non la si poteva cogliere nella sua interezza. La Securitate operava nell’ombra, di conseguenza le sue azioni non erano spettacolari. Ma quando abbiamo visto il tuo palazzo abbiamo capito chi eri.”

La domanda del popolo; “Com’e possibile, compagno Ceaușescu, che in un paese ricco come lo e stato il nostro siamo diventati dei morti di fame? Com’e possibile che, morendo di fame, applaudiamo come se non fossimo mai stati più felici in vita nostra? Compagno Ceaușescu, non credi che abbiamo già avuto abbastanza oscurità, paura e fame?”.

È in libreria la traduzione italiana di Lettera al mio dittatore (Bottega Errante Edizioni 2025, pp. 144, € 17,00), romanzo dello scrittore Eugène, tradotto da Francesca Cosi e Alessandra Repossi. Il libro ha ottenuto importanti riconoscimenti, vincendo il Prix Suisse de littérature 2023, il Prix des Libraires Payot 2023 e il Prix du Roman des Romands 2024.

In Lettera al mio dittatore, Eugène esplora la sua relazione complessa con Nicolae Ceaușescu, il dittatore rumeno che ha avuto un impatto decisivo sulla sua vita. Con ironia e con sensibilità sottile, l’autore ricostruisce, sotto forma di lettera immaginaria, le atrocità della dittatura, raccontando una parabola che ha coinvolto l’intero popolo rumeno. Allo stesso tempo ripercorre e il suo cammino di migrante e di scrittore.

L’edizione italiana è nata quasi per caso, come raccontano le traduttrici: «Abbiamo scoperto questo libro durante un soggiorno alla Translation House Looren, una residenza in Svizzera che ospita traduttori da tutto il mondo. Lì c’è una grande biblioteca con libri di tantissimi autori svizzeri e, vagando tra gli scaffali, ci siamo imbattute per caso in Lettre à mon dictateur. Conoscevamo bene la storia recente della Romania e avevamo da poco trascorso un mese e mezzo nel Paese, visitando anche alcuni dei luoghi legati alla vicenda di Ceaușescu. L’interesse è stato immediato. Quello che ci ha colpito di più è stato il tono ironico con cui Eugène narra la tragedia vissuta dai romeni sotto il regime, sempre più impoveriti e oppressi. La sua capacità di descrivere con apparente leggerezza eventi tragici, dalla fuga della sua famiglia alla dittatura, ci ha fatto sorridere e commuovere al tempo stesso».

Una delle parti più interessanti è la tragicommedia del processo Ceausescu che viene così commentato dall’autore: “Il processo era talmente truccato che ho provato pietà per te. E se c’è una cosa che non sarebbe mai dovuta accadere e che uno come te suscitasse pietà. Quel tribunale ci è riuscito. Bel risultato!”.

Lettera al mio dittatore ci offre una chiara comprensione della vita sotto Ceaușescu. Con uno stile ironico ma allo stesso tempo vivo e sanguinante l’autore racconta la condizione di chi ha conosciuto la cultura comunista e quella democratica. E ci insegna che a volte può anche capitare di dovere essere grati a un dittatore.

Carlo Tortarolo

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I miei genitori vivevano vicino alla Gara de Nord, in un vecchio studio d’artista. Un’unica stanza di venti metri quadrati, con un cucinotto e un bagno grande come una tazzina da caffè. In un angolo della stanza c’era una stufa di terracotta che dovevano alimentare con i ciocchi. La scorta di legna era nascosta sotto l’impiantito: una cantina con un pavimento di terra battuta a cui si accedeva da una botola.

Niente a che vedere con le tue dimore opulente. Come assetato di lusso, passavi dal tuo palazzo alla tua villa e dal tuo castello alla tua residenza di caccia. Non contento di scorrazzare per tutta la tua cara patria, ti invitavi nelle case dei potenti del mondo. Dallo scià di Persia al Grande Timoniere Mao, chi non hai abbracciato con trasporto? Dato che non eri “allineato” alla politica del Cremlino, i presidenti occidentali ti adoravano. Ma ci pensi, Nicolae? Sei andato negli Stati Uniti più spesso della regina d’Inghilterra!

Tanto di cappello. Ti sapevi barcamenare.

Nel maggio del 1968 Charles de Gaulle è venuto a trovarti per una settimana. Il fumo delle auto date alle fiamme soffocava Parigi; il Quartiere Latino scompariva sotto le barricate; gli studenti lanciavano sassi contro i seimila agenti antisommossa venuti ad arrestarli; la Sorbona era occupata da ragazzi che discutevano animatamente; il malcontento degli universitari minacciava di estendersi al mondo operaio. Eppure de Gaulle non ha trovato cose più urgenti da fare che volare a Bucarest. Sabato 18 maggio, mentre un milione di lavoratori in sciopero paralizzava la Francia, Charles de Gaulle ha visitato l’università della capitale romena. È stato acclamato da studenti entusiasti.

L’estate successiva, il presidente Nixon è venuto a farti una visitina di due giorni. In tutta l’America migliaia di studenti protestavano contro l’odiato presidente che aveva mandato mezzo milione di soldati americani a ricoprire di napalm il Vietnam. Ma all’università di Bucarest, Nixon si è guadagnato una standing ovation!

Immagino le cancellerie occidentali che si passavano la notizia: “Siete criticati nel vostro paese? I giovani vi detestano? Non osate più scendere dalla limousine nella capitale? Non indugiate oltre: concedetevi un bagno di folla nella Romania di Ceaușescu. Applausometro impazzito. Ottima accoglienza garantita”.

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