“Devo ricordare con precisione, mi dissi, ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me” (Patrimonio, Philip Roth). Così Angelo Cennamo inaugura il suo “Telegraph Avenue” (Argon Edizioni, 2025 pp. 255 € 20.00), in uscita nelle librerie il 19 marzo. L’autore realizza un’opera che scandisce il retaggio intellettuale e morale della letteratura americana ed esalta l’eredità di ogni irriverente, tragicomica e sarcastica riflessione sulla condizione umana, attraverso la testimonianza concreta della realtà sociale e la contemporaneità dell’immediata, essenziale, spiazzante direzione creativa e artistica di autori come John Fante, John Cheever, Raymond Carver, Richard Yates, Richard Ford, Bret Easton Ellis, Louise Erdrich. La scrittura asciutta, rigorosa e illuminante di Angelo Cennamo coglie, nell’intuizione profetica della tessitura dei romanzieri citati e amati, una nuova lettura del mondo narrato, fornisce l’interpretazione persuasiva di un universo interiore in cui l’estenuante analisi esistenziale affonda le origini di un’America pervasa di aspirazioni e di ideali, assegna l’epica divisibile della corrispondenza spregiudicata e irrequieta delle incertezze e delle speranze, eleva l’esercizio di una parabola letteraria nella possibilità del racconto e del suo insegnamento etico. Angelo Cennamo snoda, lungo il sentiero evocativo del perimetro periferico del quotidiano, la spiegazione del vagabondaggio emotivo, distingue le debolezze e le incoerenze della natura umana, illustra il passaggio inquieto e sfuggente dell’ispirazione, descrive l’oscurità della depressione e delle ossessioni tormentate, l’incomunicabilità impercettibile dell’ordinarietà.
“Telegraph Avenue” diffonde il senso frammentario della cronaca, dove l’improvviso bagliore della coscienza dell’attualità alimenta, nell’inesorabile e spietata sofferenza, le indefinite e invisibili vicende di una collettività alle prese con gli avvenimenti dolorosi, rinsalda l’esclusiva, accurata e ponderata lente di ingrandimento della percezione individuale, il segno originale della conferma artigianale della parola. L’approfondimento commovente e timoroso della solitudine, condizione silenziosa di un sentimento generato in tutti gli scrittori, accerchia la concentrazione del sincero e istintivo talento artistico e ne fa spontaneo paradigma nella moltitudine delle espressioni biografiche. Oltre l’esitazione implacabile dei conflitti interiori, l’indagine dell’autore oltrepassa il profondo e inconfessabile carattere privato della borghesia americana, appesantito dalla fragilità e dalla disillusione, dalla crudele malinconia del desiderio. Angelo Cennamo accentua, con l’arte preziosa e sapiente della divulgazione, gli interrogativi della vita lungo il confine psicanalitico, i comportamenti inavvertibili, evidenzia il quadro intenso e complesso dell’America, l’incarnazione di intere generazioni spinte tra tenerezza e ostilità, partecipazione e distacco. Restituisce a ogni memoria indebolita dalla macabra e impressionante inconsistenza, il tono infuocato e coinvolgente dell’attrazione per l’immaginario, varcando l’insinuazione impietosa sul presente.
Lo stile di Angelo Cennamo decanta l’impronta empatica e pungente con l’estensione di un’indipendenza spavalda e libera, ancorata a una resistente appartenenza del linguaggio, esempio fedele e trasformazione della combinazione tra passione e razionalità. La risposta audace e provocatoria del romanzo post moderno e l’ultima avanguardia di autori come William Gaddis, John Barth, Thomas Pynchon, Don DeLillo, William Burroughs, Paul Auster, David Foster Wallace, William Vollmann, Rick Moody, A.M. Homes, Jonathan Lethem, Joshua Cohen, Ben Lerner è una sagace affermazione del sarcasmo e dell’umorismo nero, nel labirinto dell’avidità umana e delle sue componenti cognitive. Angelo Cennamo fonde, con abilità affascinante, la propria voce insieme a quella degli scrittori, in una identificazione metaletteraria di suggestioni romanzesche. Indaga la sfrenata ritualità delle moderne psicosi, decifra il disordine evasivo della fatalità, l’errante vertigine della morte. Autori come Stephen King, Cormac McCarthy, James Ellroy, Kent Haruf, Don Winslow, Percival Everett, Donna Tartt, Colson Whitehead, inseriti nel capitolo Il genere oltre il genere, percorrono l’itinerario di un’esposizione simbolica e metaforica che dilata la sua essenza poetica nello spirito di una cupa e suprema comprensione. Rivelano l’imponderabilità del male, nell’equivoca ricerca dell’inatteso, nella fotografia arida e desolata della società. La tradizione ebraica di scrittori come Bernard Malamud, Saul Bellow, Philip Roth, Jonathan Safran Foer, stimola la qualità primitiva e misteriosa di intendere l’intelletto dell’uomo e il suo recupero, nella radice primordiale in bilico tra identità ed estraneità. Gli autori John Updike, Joyce Carol Oates, Jonathan Franzen, Elizabeth Strout, inclusi nel capitolo I Familiaristi, rintracciano la strada crepuscolare e indistinta della nostalgia, delle chimere, dei miraggi perduti, il passaggio schietto e immacolato degli accadimenti, orientano la digressione del conturbante. “Un nuovo canone” scompone, con gli scrittori Emma Cline, Rebecca F. Kuang, Raven Leilani, Tiffany McDaniel, la decadenza degli angeli caduti, la forza opposta tra la virtù e la colpa, la dirompente minaccia della violenza, il disagio dell’assenza e il chiaroscuro di ogni fallimento e di ogni cambiamento. “Telegraph Avenue” di Angelo Cennamo concede il merito salvifico e confortante della letteratura, incoraggia il significato commemorativo delle parole e la loro risonanza nelle pagine, regala un’infinita conversazione di rara grazia e di complicità tra autore e lettore.
Rita Bompadre
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Le station – wagon sono arrivate a mezzogiorno:una lunga fila lucente che attraversava il settore occidentale del campus. Giravano piano, una dietro l’altra, intorno alla scultura che sembra una putrella d’acciaio arancione, dirette verso gli studentati.
RUMORE BIANCO
“Tutti vogliono possedere la fine del mondo” scrive Don DeLillo nell’incipit di Zero K. È la frase che dà inizio al romanzo, ma che di fatto chiude il cerchio di una narrazione più ampia, iniziata molti anni prima, nel 1985, con un suo libro gemello. White noise – Rumore bianco, in Italia inizialmente edito da Tullio Pironti con la traduzione di Mario Biondi, e da qualche anno tradotto anche da Federica Aceto per Einaudi – è una storia carica di angoscia e di incertezza, un’opera ambiziosa incentrata sulla minaccia invisibile della guerra atomica, sul potere sconfinato dei media e sulla curiosità morbosa per le catastrofi. “Ogni tanto il nostro cervello si spegne. Ogni tanto abbiano bisogno di una catastrofe per interrompere il bombardamento incessante di informazioni a cui siamo sottoposti”.
Più in generale, un romanzo sulla paura della morte, che è uno dei temi ricorrenti nella bibliografia di DeLillo, un pensiero fisso che fa da corollario all’altro grande argomento delilliano:l’apocalisse.
“Penso che il mio lavoro sia influenzato dal fatto che viviamo in tempi pericolosi” dice DeLillo nel 2012 al “Chicago Tribune”.
La versione di Federica Aceto di Rumore bianco è uscita più o meno in contemporanea con una discussa e velleitaria trasposizione cinematografica:tradurre in immagini un autore come DeLillo richiede più incoscienza che talento, ma escludo che tra le due operazioni esista una correlazione. Della nuova traduzione colpisce innanzitutto la scelta del tempo verbale. “Non ho scelto il passato prossimo perché la vecchia traduzione era al passato remoto”, ha precisato Aceto in un post su Facebook. Il protagonista narra di eventi passati da non si sa quanto, ma ogni tanto “sbuca il presente nel flusso del suo racconto e già notando questo per il me il passato prossimo non dico che si sia imposto ma mi ha bussato sulla spalla. E io ci ho pensato”.
Il protagonista del romanzo, Jack Gladney, è un professore di studi hitleriani in un campus universitario dove gli scarti della cultura pop americana hanno oscurato qualunque altra forma di apprendimento. La quarta moglie di Jack, Babette, soffre di vuoti di memoria e di nascosto si sottopone a una terapia sperimentale per superare le proprie ossessioni, le stesse del marito.
“Il rimpianto più profondo è la morte. L’unica cosa da affrontare è la morte. Non penso ad altro. Il punto è uno solo: non voglio morire”, dice Jack al suo collega Murray nelle ultime pagine. Sono le parole che racchiudono il senso del libro e che lo tengono agganciato al suo testo gemello; il protagonista di Zero K, il miliardario Jeffrey Lockart, affida il sogno della resurrezione alla tecnica avveniristica della criogenesi, un’applicazione medica che consente il congelamento dei corpi e delle coscienze fino a quando la medicina sarà in condizione di curare in qualunque malattia.
I frame di Rumore bianco ci mostrano la quotidianità di una famiglia progressista con figli di matrimoni precedenti, larga come la trama del romanzo, che non scorre mai in divenire ma procede in orizzontale, attraverso un racconto di sensazioni e di nevrosi “E se la morte non fosse altro che un rumore?”. Il vero problema, dice Heinrich, il figlio sofista e catastrofista della coppia, sono le radiazioni che ci circondano ogni giorno: radio, tv, forno a microonde, fili elettrici. I campi elettrici e magnetici sono la nostra rovina. I luoghi di Rumore bianco sono diversi, dal campus universitario alla casa dei Gladney, fino all’abitacolo della loro auto. Non mancano posti simbolici come “il fienile più fotografato d’America” – chi scatta la foto non lo fa per catturare un’immagine, lo fa “per consolidarla…fotografano l’atto stesso di fotografare”. Esiste però un luogo che è più luogo degli altri, uno spazio chiuso e senza finestre, illuminato giorno e notte dai neon, sommerso dalla plastica e dalla carta, involucri, buste, etichette, dal ronzio quasi impercettibile dell’aria condizionata e dei balconi refrigeranti:il supermercato.
“…Gli uomini consultano elenchi, le donne no. Ora vi è un senso di sperdutezza, un umore di incertezza e tormento, di gente dal carattere mite portata all’esasperazione.Esaminiamo le minuscole scritte sulle confezioni, timorosi di un secondo tradimento. Gli uomini studiano le date, le donne gli ingredienti. Molti hanno qualche problema a distinguere le parole. Spampa alonata, immagini fantasmagoriche. Negli scaffali modificati, nel ruggito dell’ambiente circostante, nel banale e spietato fatto del loro declino, cercano di farsi strada nella confusione. Ma alla fine non importa cosa vedono o pensano di vedere. Le casse sono attrezzate di cellule fotoelettriche, che decodificano i segreti binari di ogni articolo, senza fallo. È il linguaggio delle onde e delle radiazioni, ovvero quello per il cui tramite i morti parlano con i vivi”.