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Roberto Bolaño. Sepolcri di cowboy

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Il grande problema di questi ultimi mesi ha fatto invecchiare i libri sugli scaffali, non sono più così recenti, ma i libri belli rimangono belli e vale la pena di parlarne. Adelphi ha pubblicato Sepolcri di cowboy di Roberto Bolaño, una serie di racconti apparentemente scollegati, ma che sono una vera autobiografia attraverso il velo e i fantasmi dei ricordi. Straordinaria nella scrittura di Bolaño è la musicalità, il ritmo del racconto che diventa subito narrazione alla quale non riesci a sottrarti, dove il luogo e il tempo non hanno tanta importanza ma è l’io narrante che prende il sopravvento e ti trascina dentro agli avvenimenti e ti rende partecipe. Sono lampi di una vita, fatti successivi ma contemporanei al tempo stesso perché ognuno ha segnato profondamente anche se poi la scrittura ce lo restituisce con leggerezza, senza drammi apparenti: la vita e la morte, a questo punto hanno un equilibrio fragilissimo, ma in fondo non ha importanza.

Bolaño è un cantastorie, un Omero tardivo che attraversa i villaggi desolati o gli aeroporti, talvolta in compagnia, quasi sempre solo, e la sua descrizione assume un senso epico, definitivo perché, dopo, non c’è più niente. Il racconto inizia nell’aeroporto dove la madre e i ragazzi pensano di poter lasciare il Cile per il Messico, l’evento più importante è un libro che qualcuno regala al ragazzo, il resto è attesa, e nell’attesa i ricordi frammentati mentre l’altoparlante li convoca e la polizia li scorta. Il volo è un grande evento, nessuno dei suoi amici, neppure dei professori è mai salito su un aereo, qualcuno ha già fatto l’amore, ma l’esperienza del volo tocca soltanto a lui. Ha quindici anni, è vissuto disordinatamente in piccoli paesi sperduti del Cile. La madre, ci racconta, è una bella donna, legge in continuazione, riceve libri esoterici per corrispondenza e una volta nel pacco capita un autore di poesie, Nicanor Parra, che Bolaño tenterà di conoscere e incontrare. A Zaffarrancho dove vivono ha un cavallo e un cane, Duque, che lo segue nei suoi vagabondaggi. Li sognerà, è passato tanto tempo e non ci sono più ma nel sogno ritornano ed entrano in casa e passeranno la notte con lui. Un’infanzia vagabonda, tra paesi dai nomi improbabili: Cauquenes, Temuco, comici che imitano Batman e Robin, e gli spettacoli di una vecchia attrice Alcira Soust Scaffo che recita poesia e che gli farà odiare Pablo Neruda. La mamma si sposta per lavoro, si occupa di statistica ed è durante un corso di studio che incontra con il futuro marito, un padre improbabile ma importante per il poeta, che vive in un altro paese, lontano, e al quale stanno tentando di ricongiungersi. Ma l’ennesima attesa nell’aeroporto è vana. I ricordi incombono, come i nomi dei villaggi collegati con i pullman Via-Sùr: Valdivia, Los Angeles.

Patricia Arancìbia è un amore a prima vista. Lo sorregge dopo una rovinosa caduta dalla sedia sulla quale sale per recitare le sue poesie, ma arriva notizia del golpe e tutti corrono da qualunque parte, pur di aver l’idea di fare qualcosa; lui cade, Patricia lo aiuta a rialzarsi e lo porta con sé. Verso la casa dove vive con la balia mapuche. A lui basta guardarla e la amerà per sempre.

I personaggi, i volti, i fatti descritti con la sua prosa inimitabile diventano leggenda: Cerniakovski poeta, ma anche Bibiano Macaduk, il piccolo aereo della Luftwaffe, 1939, che solca il cielo sopra lo stadio dove i giovani sono reclusi, è il Cile di Pinochet che esce dalle pagine apparentemente distratte, dove il dolore e la morte appaiono e scompaiono, ma con leggerezza, come tutto è leggero per Bolaño; il piccolo aereo è un segnale di libertà. Il golpe viene fuori indirettamente, perché descrive e determina le assenze.

La dolente risposta di Eliseo Arancìbia che gli nega notizie sulla scomparsa di Patricia, sarà il ricordo di Eliseo Echaurren a restituirla ai presenti, ma Patricia non c’è più, probabile vittima del regime, desaparecida come tanti.

Ci sono ricordi di viaggio, l’amico Jonny Paredes e Dora la cantatrice che farà l’amore con entrambi, c’è l’eclisse e i misteriosi avventori che ballano galleada e sombrilla, e c’è il ritorno tra strade che non conosce guidato da una voce misteriosa che lo raggiunge nelle successive cabine telefoniche. È la voce del gruppo Surrealista Clandestino. Un racconto straordinario tra citazioni, invenzioni ricordi. L’incontro con Breton e la discesa nelle fogne di Parigi, sede e fondazione del gruppo clandestino.

Non sveleranno il mistero, sarà sempre una donna a garantire il denaro per la sopravvivenza dei surrealisti clandestini, ogni volta diversa, inafferrabile. Ma finisce la notte e il giovane poeta si ritrova seduto sul muretto del lungomare in compagnia dell’amico Aquiles, e rivede i ballerini dell’eclisse, che sono diventati ciechi avendo seguito gli astri senza proteggere gli occhi. Una ragazzina li accompagna, le indicheranno una pensione dove sostare.

Bolaño si racconta, inganna, mescola passato e presente ma tesse una ragnatela di parole, di fatti, di memorie di sogni dalla quale è impossibile districarsi. Un libro bellissimo, una scrittura unica, inimitabile.

Carla Tolomeo Vigorelli

Recensione al libro Sepolcri di cowboy di Roberto Bolaño, Adelphi, traduzione di Ilide Carmignani, 2020, pagg. 165, euro 18.

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