Abstine Substine, è un libro di ipotesi di racconto di Paola Silvia Dolci, uscito nella collana Glossa, Piedimosca ed., nel 2024. I frammenti del quotidiano si raccontano in cinque quadri dove la morte è tema e fondo dell’ambiente, taglioresto di una riscrittura laboriosa del lutto, «lavoro che parla della morte di un padre, e dello sgomento che si prova di fronte alla morte. È la voce di chi resta.» Ma il procedere del temposcritto non è esito di volontà dell’io, bensì del più profondo desiderio del corpo e la forma di diario trasmuta in bi-ario: dentro e fuori dal flusso scrittorio, l’autrice muove sé stessa come alter desiderante, agisce agita: «scrivo perché voglio essere qualcun altro». La materia incandescente della morte del padre illumina la nudità interiore di Dolci che espone sé stessa in un teatro crudele della parola dove la censura e l’auto-censura non hanno motivo di stare dato che «la biografia è sempre, almeno in parte, una narrazione immaginaria e imperfetta, particolarmente fragile quando riguarda una persona ancora in vita.» Abstine Substine è sospensione drammaturgica tra antefatto mitico e progredire fuoripagina, processo in molti sensi, più che soloprodotto. La scrittura di Dolci, che abbiamo letto in particolare qui, «è uno stato di transizione.» Abstine Substine ipotizza e attua navigazioni altre della scrittura desiderante…
Gianluca Garrapa
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Qual è stata la genesi del tuo libro e perché hai desiderato scriverlo?
È morto mio padre.
È un lavoro che parla della morte di un padre, e dello sgomento che si prova di fronte alla morte. È la voce di chi resta.
Nell’arco della vita non sono davvero molte le morti che ci toccano in profondità.
Il contenuto tratta di ricordi, pensieri, resoconti di vita vissuta, e sogni. Morte, quotidianità, viaggi, reali e metaforici, letture. In questa occasione, la scrittura è stata la via di fuga emotiva che mi ha riconsegnata alla realtà attraverso un oggetto concreto, un libro.
Quando scrivi, godi?
Sì, ma non abbastanza. Forse mi sono assuefatta. Più che altro mi dà sollievo. Io scrivo da quando ero bambina, per allentare l’angoscia. In particolare, per me, la scrittura è l’organo del sentimento, il primo rimedio. Lo strumento che mi aiuta a trasformare il veleno in cura. E poi, io scrivo perché voglio essere qualcun altro.
Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?
È difficile scegliere, provo una certa vergogna per tutto il libro. Ogni pagina è un’esposizione della mia vulnerabilità. Le prime pagine.
“Giugno
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Ho sentito papà. Non mangia, fa la pipì a ogni ora, e sanguina. Non vuole più vedermi, non lo vedo da un mese e mezzo, dice che si è pentito di avermene parlato. Mi causa un dolore. E resta la figura nebbiosa che è sempre stato per me.
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Non merito alcuno spazio: brucia pure il mio cadavere. Tutti gli altri, mi sembrate ladri.
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Se all’improvviso, per inatteso regalo, mia madre morisse.
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Anche la luna è un toro nel cranio del mondo.
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Quasi mi vergogno di me, sono brutta. Almeno dovrei lavarmi i capelli, tagliarmi le unghie. Dalla stanchezza non riesco nemmeno a piangere. Il dottore dice che sto così, perché io sono il costruttore della mia gabbia. Quali pensieri accompagnano il pianto, chiede. Come farò a fingere, a portare avanti tutto fingendo che vada bene.
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“Solo l’immacolata solitudine delle albe nei porti”. Il profumo del corpo di mia figlia, lavato, sulle lenzuola fresche. “Ascolta; ha smesso. Tutto è amore. Brucia i grandi rovi e i giornali di ieri”.
Luglio
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14 luglio. Buon compleanno papà, come se vivessimo lontanissimi. Gli ho detto, l’anno prossimo per il tuo compleanno starai bene. Mi ha risposto che gli ho sollevato il morale.
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Ho sempre voluto trattenere tutto nella mia vita (le pagine dei libri, eccetera). È piacevole lasciare andare. Ci fermiamo davanti a una vetrina per leggere i titoli.
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Subito dopo la nascita, era stato abbandonato dalla madre. L’aveva lasciato al padre e allo zio: era stata contagiata, e il padre non voleva curare la sifilide che aveva contratto quando era in guerra. Il padre e lo zio erano uomini violenti, e il bambino aveva chiesto alla madre di portarlo via con sé, ma lei si era sottratta. Il bambino era cresciuto debole e fragile, e paranoico. L’ultima volta che l’ho visto, qualche mese fa, soffriva già da un paio di settimane. Non potrò più rivederlo. Ora sta morendo di cirrosi. Io sono sospesa in attesa della sua morte.
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Ho la vita che volevo da bambina, mia figlia ha gli occhi blu. Ma non riesco più a vestire la mia realtà, non riconosco nulla, “come se” fosse un abito appartenuto ad altri. Forse, questo fenomeno è legato allo svanire nel mondo dell’immagine di mio padre.
In sogno: «Se fossi un serial killer, strapperei a tutti il cuore, iniziando da me»; «stanotte si era ritrovata solo la mia pelle (brandelli).»
«Mi sento debole come un sacco vuoto, dottore.»
Undicesimo comandamento: non morire”.
Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?
Un processo.
Che rapporto hai con la censura?
Quando mi censurano, mi viene da ridere, mi sento piuttosto innocua. L’auto-censura invece mi sfugge. La biografia, per sua natura, deve tenere conto di dettagli della vita privata che spesso rimangono inaccessibili o sono deliberatamente nascosti. Idealizzazioni, resistenze. Si prova sempre una certa diffidenza verso le biografie che scavano troppo nei dettagli intimi. La biografia è sempre, almeno in parte, una narrazione immaginaria e imperfetta, particolarmente fragile quando riguarda una persona ancora in vita.
Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?
Per me la scrittura è un passaggio attraverso la lingua, una testimonianza della coscienza.
La scrittura è uno stato di transizione.
La realtà mi mostra quello che sono.
La scrittura mi mostra dove posso arrivare.
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Paola Silvia Dolci, Abstine Substine, Piedimosca collana Glossa 2024.